Menu

Il Pentagono blocca possibili prove di crimini di guerra russi per paura di un precedente

Notizia di ieri, rilanciata da una fonte autorevole come il New York Times, è che il Pentagono vuole impedire alla sua stessa amministrazione e alle agenzie di intelligence di condividere quelle che sono considerate prove di possibili crimini di guerra russi in Ucraina.

La motivazione è di estrema brutalità, ovvero non creare un precedente rispetto alle guerre fatte in mezzo mondo dagli USA.

Alcuni attuali ed ex funzionari a stelle e strisce hanno fatto sapere che i vertici militari statunitensi vogliono impedire di condividere con la Corte Penale Internazionale dell’Aja questi dossier. Dossier che i servizi segreti, ma anche i Dipartimenti di Stato e di Giustizia, vorrebbero invece usare per incriminare Putin.

Le informazioni raccolte arricchirebbero di dettagli un’indagine del procuratore capo della Corte, Karim Khan, aperta dal via libera di 39 paesi membri, appena dopo l’inizio di quella che il Cremlino ha ribattezzato “operazione militare speciale” in Ucraina. L’indagine riguardava tutti gli atti commessi nel paese dal 21 novembre 2013, ovvero dall’inizio delle proteste di Euromaidan.

L’approfondimento avrebbero riguardato “tutte le accuse passate e presenti di crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio commessi in qualsiasi parte del territorio dell’Ucraina da qualsiasi persona”.

C’è da chiedersi se nei suoi risultati non ci si potrà trovare qualcosa che getta ombre sulle azioni portate avanti in Donbass, da agenti di Kiev ma anche da quelli occidentali.

Rimane il fatto che la motivazione che i funzionari hanno fatto trapelare intorno alla ritrosia del Pentagono a trasmettere queste informazioni sia la preoccupazione di creare un precedente, che potrebbe rivolgersi come un boomerang verso Washington. Esse riguardano le presunte decisioni russe di colpire deliberatamente infrastrutture civili e di “rapire” migliaia di bambini ucraini.

Bisogna innanzitutto dire che il gioco di accuse riguarda paesi che hanno un passato controverso con l’Aja. L’Ucraina non è membro del tribunale internazionale, anche se nel 2014 ne ha accettato la giurisdizione, mentre sia la Russia sia gli Stati Uniti hanno ritirato la firma dal trattato costitutivo. Dallo scorso dicembre, però, il Congresso statunitense ha modificato le restrizioni sull’assistenza che può essere concessa alla Corte, rendendo così possibile il caso in questione.

Il doppio standard USA in merito è di lunga data. Ha cominciato Bush Jr. già alla sua fondazione, e ha continuato nel 2005 Condoleeza Rice, annunciando che non avrebbe permesso alla Corte di intervenire sui diritti dei detenuti stranieri in territorio statunitense.

Nel 2017 all’Aja hanno cominciato a interrogarsi sulle torture dei militari a stelle e strisce su chi era recluso in Afghanistan con la qualifica di “terrorista”, e nel 2020 è stata aperta un’indagine per crimini di guerra perpetrati sempre in quel paese. La risposta non si è fatta attendere: sanzioni unilaterali al personale del tribunale e accuse pesanti al loro operato.

Alla fine, Biden ha ritirato le sanzioni e, in una sorta di scambio, l’allora nuovo procuratore Khan archiviò le indagini. Ma l’aiuto che parte dell’amministrazione Biden vorrebbe ora dare al tribunale dell’Aja viene visto con preoccupazione dai vertici militari, al punto che il tentativo di risoluzione della controversia tentato lo scorso 3 febbraio è stato un buco nell’acqua.

Appare evidente come dentro l’establishment di Washington le opinioni intorno a come comportarsi nei confronti del Corte Penale siano contrastanti. Del resto, la preoccupazione potrebbe derivare anche solo dai dubbi sul tribunale stesso, dato che lo scorso giugno il controspionaggio olandese ha svelato il tentativo di una spia russa di entrare al suo interno.

Ma questi fatti sono rivelatori anche di uno scontro interno su come procedere sulla guerra in Ucraina. La ricostruzione di Hersch sul sabotaggio dei Nord Stream, e una sorta di risposta al suo lavoro tramite rivelazioni dell’intelligence statunitense, pubblicate sempre dal New York Times, per cui dietro l’attentato ci sia un gruppo filo-ucraino, aumentano questa sensazione.

Insomma, la crisi ucraina è sempre più una questione di tensione e fibrillazione nel “ventre della bestia” imperialista per eccellenza. Potrebbe scoperchiare le violenze e le nefandezza fatte dagli USA negli ultimi decenni, e potrebbe anche segnare un passo decisivo nella perdita della loro egemonia mondiale, nel tentativo di sconfiggere sulla pelle degli ucraini l’ipotesi di un mondo multipolare.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *