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Fascisti sotto botta per come abusano del potere

E’ più forte di loro, non ci possono fare niente. Non sono serviti decenni di bagni a Fiuggi (la città dove Gianfranco Fini aprì il processo di trasformazione del Movimento Sociale in un partito “costituzionale”) per cambiare la natura dei fascisti italiani.

Semplicemente, non riescono ad accettare alcuna differenza o contrasto. Non reggono il confronto, dunque lo eliminano…

Già in difficoltà per la penosa esibizione di Daniela Santanché sui banchi del Senato – impegnata a spergiurare di “non essere indagata” per le altrettanto penose vicende delle sue “imprese”, proprio mentre tutti i giornali erano obbligati a parlare della sua “iscrizione al registro” fin da novembre 2022 (desecretata perciò da febbraio, tre mesi dopo, come da codice di procedura) – i “fratellini nazionali” guidati da Giorgia Meloni hanno dovuto affrontare l’”imputazione coatta” per il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro.

Immediata è partita da “ambienti di Palazzo Chigi” una nota avvelenata che si chiedeva retoricamente se «una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee».

Sembra Berlusconi fin dai primi giorni, certo, ma adesso è “Giorgia”.

Come i nostri lettori sanno, non amiamo affatto la magistratura italiana. A parte pochi casi di persone davvero “indipendenti”, questo corpo dello Stato è composto da personaggi disponibili a molti e diversi compromessi, sia con “la politica” che con “le imprese” o “i servizi”.

I casi più recenti – quello di Luca Palamara o quello che ha avuto per protagonista l’avvocato Amara – hanno illuminato un mondo di relazioni quantomeno “non istituzionali”, dove si decidono le carriere e le fortune in base ad appartenenze più massoniche che partitiche, e dove quindi si contratta di tutto. Meno che la Giustizia.

Ovviamente questo significa che molte inchieste contro “la politica” possono essere “sospette” quanto a tempistica o settore preso di mira, ma – per la natura stessa dell’azione giudiziaria contro “personaggi di potere” – praticamente sempre incentrate su una quantità di prove assolutamente superiore a quelle prodotte in un procedimento contro persone “normali”.

Lasciamo perdere le miserie della Santanché e occupiamoci invece della vicenda Delmastro, che già altre volte abbiamo trattato.

Intanto la notizia: indagato per rivelazione di segreto d’ufficio (i colloqui in carcere tra parlamentari del Pd e Alfredo Cospito, in 41bis) il Gip di Roma non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, ed ha quindi disposto l’”imputazione coatta”. Ossia obbligatoria per chi dovrà, in caso di processo, rappresentare la pubblica accusa.

Tanto per chiarire come nella stessa magistratura si possa ragionare in termini “politicamente amichevoli”, la Procura aveva – sì – riconosciuto “l’esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo” da parte del sottosegretario alla Giustizia, ma aveva eccepito “l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, determinata da errore su legge extrapenale”.

In parole povere: la violazione c’è stata ma Delmastro non se n’è reso conto… E meno male che l’hanno fatto sottosegretario alla Giustizia per i suoi “meriti”!

La rivelazione o meno del “segreto”, però, non è a nostro avviso il problema principale. E’ un problema, naturalmente, ma quasi “minore” rispetto all’altro che è venuto fuori dai protagonisti di questa vicenda, perché illumina sul modo in cui questa leva di fascisti promossi incautamente “statisti” gestisce il potere dello Stato.

Si ricorderà che il suo “compagno di stanza” – Giovanni Donzelli, altro “meloniano” senza se e senza ma – aveva denunciato in un discorso alla Camera la visita fatta a Cospito da alcuni parlamentari del Pd (le visite in carcere per verificare le condizioni dei detenuti sono una prerogativa esclusiva, normale, di parlamentari e consiglieri regionali), cui l’anarchico aveva esposto una ovvia e lunga serie di critiche al regime di 41bis in cui lui e altri detenuti comuni sono sottoposti nel carcere Bancali di Sassari.

La stessa mattina, però, prima della visita dei parlamentari, Cospito era stato messo nello stesso cortile per “l’aria” insieme a detenuti diversi da quelli solitamente scelti dalla Direzione del carcere (al 41bis, in isolamento totale, non è concessa alcuna libertà di scelta neanche per questa unica occasione di scambiare quattro chiacchiere con altri esseri umani).

E quella volta, contrariamente al solito, Alfredo si era ritrovato con Francesco Di Maio dei Casalesi, il ‘ndranghetista Francesco Presta, il mafioso e neofascista Pietro Rampulla.

Chiacchiere ovviamente registrate dai microfoni piazzati nei cortili, e incentrate – che stranezza! – sull’invivibilità di quelle condizioni, sul 41bis e sullo sciopero della fame condotto da Cospito.

Tutto scontato e banale se non ci fosse stata subito dopo la visita dei parlamentari, cui Cospito – altrettanto ovviamente – denuncia quelle condizioni di vita e detenzione, esponendo le ragioni del suo sciopero della fame.

Dov’è la stranezza, invece?

Proprio nel fatto che quella mattina Alfredo, invece di essere messo con i soliti colleghi di passeggio (a “minore pericolosità”), ha trovato almeno due “boss”. Per decisione del Direttore, non sua.

Ed essendo Delmastro sottosegretario alla Giustizia, non è per nulla difficile “sospettare” che l’ordine di “cambiare le formazioni” nei passeggi proprio quella mattina sia venuto “dall’alto”. Creando così volontariamente la situazione che poi il “compagno di stanza” Donzelli ha potuto denunciare come “scandalosa” nel suo delirio in aula.

Lo stesso Cospito, lucidamente, ha poi denunciato la “strumentalizzazione” di quei colloqui, così come fatto da Luigi Manconi ed altri giuristi che sanno bene come funziona il carcere… e la politichetta italica di più infimo profilo.

Resta invece completo il silenzio – istituzionale e non – sul regime del 41 bis. Cui Cospito è ancora sottoposto nonostante la Corte d’Appello di Torino abbia cancellato la condanna all’ergastolo ostativo (che secondo i forcaioli di ogni colore lo “giustificava”).

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