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Bologna 2 agosto 1980: le voci che sembrano annunciare la strage

Le voci che sembrano annunciare la strage di Bologna del 2 agosto 1980 non costituiscono in sé delle prove sufficienti per condannarne i presunti autori, ma – quando risultano documentate e attendibili – possono diventare elementi utili per approfondire la conoscenza del contesto storico in cui essa avvenne ed eventualmente assumere i connotati di indizi da mettere in relazione con l’analisi dell‘arma del delitto e con le testimonianze oculari e video sulle persone sospettate di aver avuto a che fare con quel crimine.

Fatta questa dovuta premessa, entriamo nel merito della questione.

Nell’udienza del 9 gennaio 1988 per il processo di primo grado sulla “Strage alla stazione di Bologna” (https://www.radioradicale.it/scheda/25355/strage-alla-stazione-di-bologna) entra in scena un uomo detenuto dal gennaio 1980 nel carcere di Padova per una rapina, conosciuto nella stessa città dagli ultimi anni ’60 come militante neofascista del Movimento Sociale Italiano e coinvolto nell’attentato bombarolo del 15 aprile 1969 allo studio del rettore di Padova, un’azione compiuta dal gruppo diretto da Franco Freda per farla attribuire all’estrema sinistra (leggasi: “Attentato imminente. Pasquale Juliano, il poliziotto che nel 1969 tentò di bloccare la cellula neofascista veneta”, di Antonella Beccaria e Simona Mammano, casa editrice Stampa Alternativa, 2009).

Si tratta del testimone Luigi Vettore Presilio e quest’ultimo chiede un “rinvio a giudizio”.

In realtà, non avendo delle imputazioni in quel procedimento giudiziario e conoscendo poco e male la lingua italiana, vuole il rinvio della sua testimonianza poiché, stando alle sue parole e sulla base di un “certificato medico”, sarebbe diventato dipendente dall’alcool e non avrebbe più la capacità di intendere e volere.

Quel giorno lui ha senza dubbio un comportamento ambiguo, ma capisce bene quel che vuole far capire bene.

Ogni tanto guarda verso la gabbia degli accusati, dove c’è il padovano Roberto Rinani, segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano dell’Arcella dall’autunno 1976 al dicembre 1977, ed è come se, anche attraverso il linguaggio non verbale notato e contestato perfino dal Presidente della Corte, voglia fargli capire che ha intenzione di ritrattare le sue precedenti dichiarazioni.

Come capita ad ogni persona informata sulle vicende giudiziarie e di cronaca connesse alla strage di Bologna, Luigi Vettore Presilio sa che poco più di due anni prima, il 15 dicembre 1985, “la moglie di Rinani, Luciana Perulli, è stata aggredita (….) da uno sconosciuto mentre rientrava a casa a Mestre.

Ha reagito al tentativo di strangolamento e se l’è cavata con la frattura di un dito. L’aggressione è stata messa in relazione con la notizia, pubblicata da un giornale, di un possibile pentimento di Rinani, che sino ad ora non ha mai collaborato con gli inquirenti” (vedasi “I magistrati bolognesi: «Sulle stragi troppa disinformazione»”, di Giancarlo Perciaccante, pag. 5 del quotidiano “L’Unità” del 18 dicembre 1985).

Luigi Vettore Presilio guarda di nuovo verso il Rinani e gli fa capire di non avere alcuna intenzione di continuare a collaborare con la magistratura.

Come mai il Vettore Presilio ha deciso di non parlare più di Roberto Rinani?

Per comprendere a sufficienza il perché di questa apparente forma di schizofrenia, bisogna comunque ricordare che lui, non essendo sottoposto a misure di sicurezza, come invece sarebbe stato logico per un testimone a rischio di ritorsioni, martedì 25 novembre 1980 viene aggredito e ferito da persone sconosciute nel carcere di Padova.

Due giorni dopo quell’episodio, non a caso, il Giudice Istruttore esamina Luigi Vettore Presilio e quest’ultimo, fra l’altro, dichiara: sono stato accoltellato certamente per punizione in relazione alla pubblicazione sull’Espresso di notizie riguardanti la deposizione che ho reso a voi magistrati di Bologna.

Infatti le stesse persone che mi hanno colpito mi hanno informato che la ragione della loro azione era quella di punirmi per aver parlato. Sono certo che volessero uccidermi. Non ci sono riusciti perché io mi rotolavo e mi sono difeso disperatamente gridando ed infine sono riuscito ad infilarmi sotto la branda” (dichiarazione riportata dalla sentenza della Corte di Assise di Bologna del giorno11 luglio 1988).

Inoltre, sempre davanti al Giudice Istruttore, lui ufficializza per la prima volta la sua indisponibilità a “rendere ulteriori dichiarazioni” in relazione alle voci che nel carcere patavino, dove lui fa parte dei detenuti addetti alla lavanderia, quindi anche al ritiro delle lenzuola sporche e alla consegna settimanale di quelle pulite alle persone lì ristrette, avrebbe sentito da Roberto Rinani (vedasi: sentenza della Corte di Assise del giorno 11 luglio 1988).

Di fatto è un “testimone reticente” dato che non rispetta l’articolo 372 del Codice Penale italiano, ma resta sempre impunito per questo reato!

Al di là della logica del “do ut des”, che fino a poco tempo prima aveva animato il suo desiderio di ottenere in modo rapido la libertà provvisoria, Luigi Vettore Presilio fa delle dichiarazioni che risultano incancellabili e, senza dubbio, variabili nel tempo.

Subito dopo l’omicidio del sostituto procuratore Mario Amato, avvenuto a Roma il 23 giugno 1980 e rivendicato dall’organizzazione neofascista denominata Nuclei Armati Rivoluzionari, si riferiscono a futuri attentati contro magistrati come Pietro Calogero e Lorenzo Zen.

Dall’inizio di luglio e prima del 2 agosto 1980 trattano invece qualcosa di molto diverso: oltre a precisare che Calogero avrà salva la vita finché tale magistrato continuerà ad accusare di gravi reati gli Autonomi dell’estrema sinistra, riportano i suoi sentito dire su un futuro attentato al giudice Giancarlo Stiz e a proposito di un fatto molto più clamoroso che lo dovrebbe anticipare.

La sentenza del processo di primo grado, emersa dopo quasi otto anni dalla strage di Bologna, ben lontana dal ricostruire in modo esaustivo i comportamenti del Vettore Presilio e lungi dal tenere presente la variabilità di contenuto nelle sue affermazioni, prende comunque in considerazione la nota del 6 agosto 1980 trasmessa dal Giudice di Sorveglianza di Padova, Giovanni Tamburino, al Procuratore della Repubblica, la conferma del contenuto di tale nota da parte del Vettore Presilio, la rivelazione fatta da costui in base alla quale la fonte delle proprie affermazioni sarebbe Roberto Rinani, il neofascista detenuto nello stesso carcere di Padova che il 13 maggio del 1980 si consegna alle forze di polizia dopo 11 mesi di latitanza perché accusato di aver ferito, con dei colpi di pistola, Umberto D’Affara, di 23 anni, iscritto a Scienze Politiche e aderente alla sinistra extraparlamentare padovana (vedasi: rapporto della Digos di Padova del 12/8/1980, documentata alla nota numero 71 della sentenza della Corte di Assise dell’11 luglio 1988).

Sentenza della Corte di Assise dell’11 luglio 1988

Il 6 agosto 1980, come afferma la sentenza della Corte di Assise dell’11 luglio 1988, il Giudice di Sorveglianza di Padova riferisce alla Procura della Repubblica di Bologna che il 10 luglio 1980 Luigi Vettore Presilio gli aveva informalmente dichiarato d’esser stato contattato da esponenti di un’organizzazione di estrema destra, che gli avevano proposto di partecipare ad un attentato ai danni del Giudice Stiz di Treviso.

L’attentato in questione, da compiersi nell’immediato futuro con un’Alfetta truccata da autovettura dei Carabinieri (il gruppo disponeva anche di divise dell’Arma), sarebbe stato preceduto – secondo quanto il Vettore aveva appreso – da altro attentato ad opera della medesima organizzazione, di eccezionale gravità, tanto che avrebbe “riempito le pagine dei giornali”.

A conferma della propria attendibilità, il Vettore aveva indicato un appuntato o brigadiere dei Carabinieri (tale Sibilia o Scibilia Giacomo) con il quale si trovava da lungo tempo in rapporto confidenziale.

Nella serata dello stesso 6 agosto il Vettore confermava tali dichiarazioni al Procuratore della Repubblica di Bologna, aggiungendo d’aver ricevuto le proposte di cui sopra da un compagno di detenzione.

A distanza di cinque giorni, l’11 agosto, il Vettore si decideva a rivelare che il compagno di detenzione autore delle riferite proposte era stato tale Rinani.

Il 3/9/1980, nel corso di una ricognizione personale cui venne sottoposto Rinani Roberto, detenuto nel carcere di Padova nel periodo (inizio estate) cui il Vettore faceva risalire i contatti e le rivelazioni in ordine agli attentati, il Vettore riconobbe nel Rinani la persona da cui tali rivelazioni avrebbe ricevuto.

Nel corso delle sue dichiarazioni istruttorie, il Vettore riferiva altresì di aver appreso dal Rinani dei contatti che costui aveva sempre intrattenuto con la cellula veneta già facente capo a Freda e Ventura, di cui all’epoca era principale esponente Fachini Massimiliano.”

Dal punto di vista della ricerca storica, le parole di Luigi Vettore Presilio sono documentabili e precedono la strage di Bologna.

Risultano essere oggettivamente confuse e generiche, ma da esse emergono tre dati: prima di tutto, pur non facendo esplicito riferimento a quella che sarà la strage di Bologna del 2 agosto 1980, prevedono un attentato di eccezionale gravità che avrebbe “riempito le pagine dei giornali”; permettono di sventare un possibile attentato mortale ai danni del giudice Giancarlo Stiz, cioè di colui che per primo individuò la cellula neofascista del Triveneto diretta da Franco Freda e Giovanni Ventura come responsabile della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969; in ultimo, ma non per importanza, fanno capire che Luigi Vettore Presilio ha un “rapporto confidenziale” con un uomo delle forze di polizia il cui nome sarebbe “Sibilia o Scibilia Giacomo”.

In realtà, durante il processo di primo grado sulla “Strage alla stazione di Bologna”, i giudici già sanno che quell’uomo è Scibilia Giacomo, e non Sibilia Giacomo, ma non sentono il bisogno di capire meglio chi sia, che cosa faccia e nemmeno di interrogarlo.

Eppure, già dal 27 agosto 1980 la magistratura sa delle cose molto interessanti.

Quel giorno, di fronte al giudice istruttore di Bologna, dottor Claudio Nunziata, compare l’avvocato Franco Tosello che riporta diverse dichiarazioni di Luigi Vettore Presilio.

Dal connesso verbale esce fuori la notizia secondo cui il Vettore Presilio avrebbe affrontato anche “il discorso relativo a un appuntato o maresciallo a nome Scibilia facente parte degli uomini del gen. Dalla Chiesa e che era venuto un ispettore da Roma per sentirlo” (dal verbale del 27 agosto 1980 scritto dal giudice istruttore di Bologna, dottor Claudio Nunziata sulla testimonianza dell’avvocato Franco Tosello, nato a Este il 27 aprile 1938 con studio in Padova, via Altinato 56).

Facendo un’indagine anche solo superficiale rispetto ad anni meno lontani, si può dire che, secondo il teste Enrico Carella, ex appartenente alle forze di polizia ascoltato nel corso dell’udienza del 30 aprile 2021 del “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri (strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980)”, nel 1980 Giacomo Scibilia è in servizio al Sisde (‘Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica’) di Padova ed ha un buon rapporto col capo del Sisde Giulio Grassini, tanto da esserne l’autista quando costui visita il Veneto (vedasi dal minuto 2:24 di https://www.radioradicale.it/scheda/635674/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-bologna-del-2 ).

Inoltre, si può ricordare che nell’udienza del processo denominato “La ricostituzione di Ordine Nuovo attentati e rapine della vecchia e nuova destra dal 1974 al 1980“, tenutasi a Roma mercoledì 4 ottobre 1989, il Presidente della corte chiede proprio a Giacomo Scibilia se conferma “una dichiarazione sull’episodio Vettore” e lui – lasciando intendere che conosce da molti anni e bene quell’uomo – risponde affermativamente. (https://www.radioradicale.it/scheda/33294/la-ricostituzione-di-ordine-nuovo-attentati-e-rapine-della-vecchia-e-nuova-destra-dal?i=2635640 ).

Giacomo Scibilia da svariato tempo utilizza come confidente Luigi Vettore Presilio, un uomo nato il 3 marzo 1938 che muore il 21 febbraio 2011 e viene poi sepolto nel Cimitero Maggiore di Padova. (http://www.inmiamemoria.com/scatole_dei_ricordi/Vettore/Presilio_Luigi/Vettore_Presilio_Luigi___1383036.php).

Partendo da questi elementi, dato per altro che un confidente delle forze di polizia non brilla certo per autonomia rispetto allo Stato, si sarebbero dovute capire meglio e subito alcune questioni, come quelle relative ai ruoli svolti da Scibilia Giacomo fra “gli uomini del gen. Dalla Chiesa”, dal capo del Sisde di Padova Quintino Spella e dal capo nazionale del Sisde Giulio Grassini rispetto a Luigi Vettore Presilio e alle dichiarazioni di quest’ultimo.

Invece il procedimento della Corte di Assise di Appello non si pone per niente queste problematiche e ciò si riflette nella sentenza del 18 luglio 1990: “(…) l’attenta rilettura, ed il riascolto, del brano di conversazione registrato (Vettore interrogato e sollecitato dal P.M.) non sembra possano attribuire alle parole del teste il significato certo individuato dalla sentenza di primo grado.

Ed invero, le parole utilizzate in quella circostanza richiamano, nel loro significato ultimo, ad un fatto di terrorismo diretto pur sempre contro un soggetto o un bersaglio determinato, sia pure di rilievo tale da suscitare enorme clamore.

Sentenza della Corte di Cassazione del 12 febbraio 1992

A seguito del ricorso per la Cassazione proposto dalla Procura generale e dalle Parti civili, il 12 febbraio 1992 le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione stabiliscono che, non avendo valutato in termini logici e corretti prove e indizi, il processo va rifatto.

Sentenza del secondo processo della Corte d’Assise di Appello del 16 maggio 1994

La sentenza del secondo processo della Corte d’Assise di Appello cerca allora, fra l’altro, di ricostruire la testimonianza di Luigi Vettore Presilio.

A tale proposito, ricorda il suo interrogatorio avvenuto la sera del 6 agosto 1980 nella casa circondariale di Padova da parte di due sostituti della Procura di Bologna, allorché lui ribadisce che “prima dell’attentato a Stiz vi sarebbe stato altro attentato di tali proporzioni per cui ne avrebbe parlato la prima pagina di tutti i giornali del mondo” e che l’evento di maggiore risonanza “si sarebbe verificato nella prima settimana di agosto”.

In tale occasione Vettore Presilio non sottoscrive il verbale e decide di non proseguire nella collaborazione “poiché non era stata accolta la condizione, da lui posta, che gli fosse concessa la libertà provvisoria”.

In seguito, il giorno 11 agosto 1980, “i due magistrati interrogano di nuovo il Vettore e questa volta le dichiarazioni del teste sono registrate su nastro”.

Il 27 agosto 1980 viene invece interrogato il legale di fiducia del Vettore, l’avvocato Franco Tosello di Padova, il quale precisa che il detenuto è stato da lui incontrato il 1° luglio e gli ha riferito di un progettato attentato al giudice Stiz.

Qualche giorno dopo, il Tosello riceve dal suo cliente un biglietto (prodotto in fotocopia ed allegato al verbale di deposizione; biglietto poi riconosciuto formalmente per suo dal Vettore in occasione della deposizione resa al G.I. di Bologna il 13 novembre 1980) con il seguente testo:

Egregio Avvocato Tosello.

L’ultimo colloquio che abbiamo avuto assieme, Lei sa di quello che abbiamo parlato non creda che io sia stato così deficente (SIC!) di avergli dato tutti i particolari precisi, ma bensì prima di quel fatto si sentirà per Televisione e quotidiani una notizia che farà molto ma molto scalpore, quindi la invito presto, presto di venire a un colloquio col giudice di sorveglianza o chi di competenza.

Vettore Luigi Presilio

Se le scrivo questo è perché una persona di mia conoscenza non deve uscire dal carcere prima di me.

Così avrò modo di lavorarmi i miei amici, sempre con nomi di battaglia.

Non se la prenda sottogamba altrimenti la ritengo responsabile di prima persona di tutto quello che avverrà

(vedasi: testo del biglietto pubblicato nella sentenza del secondo processo della Corte d’Assise di Appello del 16 maggio 1994).

In tale sentenza, oltre a ripetere che il 3 settembre del 1980, il Vettore procede nella ricognizione formale di Roberto Rinani e lo riconosce, si parla di nuovo della deposizione del Vettore registrata l’11 agosto 1980 da due PM:

In considerazione del fatto che la trascrizione del nastro eseguita nel 1980 conteneva taluni omissis che ne facevano sospettare una certa incompletezza e a seguito del difetto di motivazione che la Corte di Cassazione ha rilevato sul punto – non avendo i giudici di appello dato conto delle parole del Vettore sulla base delle quali erano pervenuti al giudizio riportato – questo Collegio ha disposto, in sede di rinnovazione del dibattimento, la trascrizione del nastro con le forme della perizia ed ha quindi proceduto all’ascolto, in pubblica udienza, dell’intera registrazione.

Nella predetta udienza, alla quale era presente anche il perito, si sono compiute talune correzioni del testo della trascrizione, dandosene atto a verbale di volta in volta.

Orbene, è risultato accertato (pag.16 della perizia e precisazioni a verbale che fanno riferimento alla pagina suddetta) che il giudice dell’appello è caduto in un evidente errore di percezione delle parole del dialogo tra i due PM e il testimone. (…)

Dal testo del dialogo, dunque, emerge con assoluta chiarezza che il fatto terroristico – diverso dall’attentato al giudice Stiz – di cui ha parlato il Vettore non consisteva in un attentato ad una persona e, anzi, si contrapponeva all’uccisione di una singola persona in ragione delle dimensioni dell’evento che, proprio per questo, avrebbe avuto particolare risonanza”.

Sentenza del Tribunale dei Minori del 2002

Ventidue anni dopo la strage di Bologna, si ha la sentenza del Tribunale dei Minori contro Luigi Ciavardini che presenta la ricostruzione istituzionale più chiara rispetto alla cronologia delle dichiarazioni di Luigi Vettore Presilio.

Con essa, in poche parole e senza dover qui ripetere ciò che è già stato scritto nelle altre e precedenti sentenze, viene precisato quanto segue:

«nel corso del primo casuale incontro con l’avv. Tosello, avvenuto intorno al 20 giugno, Vettore Presilio era in possesso solo di informazioni confuse sull’attentato a un giudice (parla di Calogero o di Zen). Il 1° luglio il dichiarante sapeva che si sarebbe dovuto colpire il giudice Stiz e conosceva nei minimi termini il piano predisposto dai terroristi per l’agguato.

Tuttavia, solo nella missiva inviata all’avv. Tosello il 7 luglio, Vettore Presilio mostra di essere a conoscenza dell’attentato di eccezionale gravità che avrebbe dovuto precedere l’assassinio del giudice e di cui avrebbero parlato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. (….)

Infine, solo dopo la strage, nel corso di un informale incontro con i giudici bolognesi, Vettore Presilio rivelò di aver appreso che l’attentato di eccezionale gravità sarebbe stato compiuto nella prima settimana di agosto» (vedasi: sentenza del Tribunale dei Minori del 2002 contro Luigi Ciavardini).

Sentenza del 9 gennaio 2020

A proposito delle voci che avrebbero preceduto la strage di Bologna, ben più confusa è la ricostruzione presente nella sentenza del 9 gennaio 2020 contro il militante neofascista dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), poi condannato all’ergastolo, Gilberto Giorgio Guido Cavallini.

Lì si riparla delle dichiarazioni rese il 10 luglio 1981 al magistrato di Sorveglianza Giovanni Tamburino di Padova da Luigi Vettore Presilio che – secondo la sentenza del 9 gennaio 2020 – sarebbero state “apprese da Roberto Rinani, che faceva parte del gruppo neofascista diretto da Fachini, e il cui nome venne rinvenuto all’interno di un’agenda, sequestrata al Cavallini contenente un elenco di numerosi estremisti di destra”.

Inoltre si precisa che il fatto di eccezionale gravità menzionato dal Vettore Presilio avrebbe “riempito le pagine dei giornali” nella prima settimana di agosto. In realtà, come abbiamo già chiarito, Vettore Presilio parla della “prima settimana di agosto” soltanto dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980.

Infine, sempre secondo la sentenza del 9 gennaio 2020, la sopraddetta circostanza sarebbe da mettere in connessione alle dichiarazioni di un “pentito” come l’ex militante neofascista Mauro Ansaldi secondo cui Giovanna Cogolli gli avrebbe confidato che, poco prima della strage del 2 agosto 1980, si sarebbe allontanata da Bologna su diretto suggerimento di Massimiliano Fachini.

Su tale aspetto sembra opportuno fare due precisazioni: prima di tutto, la Cogolli non ha confermato le parole di Mauro Ansaldi; in ultimo ma non per importanza, non ci sono prove sufficienti per dimostrare l’attendibilità di quel “pentito”.

Dichiarazioni di Aldo Del Re

Nei processi relativi alla strage di Bologna soltanto con la sentenza per Cavallini del 2020 si cominciano a riportare le dichiarazioni di coloro che affermano di aver sentito annunciare un grosso attentato nella città di Bologna, ma lo fanno molti anni dopo il 2 agosto 1980!

Costoro non solo sono ipocriti ma – a differenza di quanto riteneva la magistratura nella sua stragrande maggioranza in base alle leggi allora vigenti – avrebbero meritato di essere accusati di calunnia!

Aldo Del Re, ad esempio, dice di aver avvisato in anticipo – cioè prima del 2 agosto 1980 – la Procura della Repubblica di Venezia, ma quest’ultima non ne ha mai saputo nulla!

Lui afferma di averne parlato molto tempo dopo anche con il legale del neofascista Stefano Delle Chiaie, l’avvocato Stefano Menicacci, ma nel dicembre del 1990 proprio assieme a questo personaggio è coinvolto nelle indagini sulla trattativa per liberare Carlo Celadon, sequestrato dalla ‘ndrangheta calabrese, una vicenda inquietante che vede la presenza da un lato della “linea dura” del Procuratore generale di Vicenza dott. Ferdinando Canilli e dall’altro di alcuni “mediatori” fra cui l’avvocato calabrese ed ex ordinovista Aldo Pardo (leggasi: “Celadon. Il sequestro più lungo. Italia, ndrangheta: racconto di un’infamia” e “Una liberazione pilotata” di Giorgio Marenghi, in “Quaderni vicentini” n.1, 2016).

Chi è dunque Aldo Del Re?

Costui – definito “ordinovista veneto” a pagina 196 della sentenza del 9 gennaio 2020 – è un personaggio che, pur facendo finta di essere un non violento militante del Partito Radicale, risulta collegato per forza di cose ai servizi segreti dell’Egitto, è condannato impunemente all’ergastolo in Libia per il tentativo di colpo di stato del 6 agosto del 1980 contro Gheddafi e poi è protetto dai governi e dal Sismi (Servizio informazioni e sicurezza militare) dell’Italia di quel tempo.

In altre parole, non si sa se Aldo Del Re abbia frequentato in modo attivo o passivo l’area dei golpisti contro Gheddafi.

A che gioco gioca, in quella circostanza, questo agente dei servizi segreti italiani mentre la linea ufficiale di politica estera dell’Italia non sembra essere contro Gheddafi e nemmeno, più in generale, contro il mondo arabo?

Il fatto che egli sia stato implicato in quel tentativo di golpe, avente come base organizzativa l’Egitto, fa ritenere che quest’ultimo abbia coinvolto i servizi segreti Usa, francesi ed italiani.

Il 21 agosto (del 1980, ndr) Moammad Yussef Lanagarief, ex ambasciatore libico in India, nel corso di una conferenza stampa parlò della rivolta militare avvenuta i primi giorni dell’agosto a Tabruk.

L’ex ambasciatore affermò tra l’altro che la rivolta era stata guidata da ufficiali un tempo noti per la loro lealtà a Gheddafi, tra cui Idris Shaibi, comandante della IX brigata e capo operativo dei servizi di informazione libici.

L’11 agosto, con l’accusa di corruzione e attività contro la sicurezza dello stato, venne arrestato un imprenditore italiano accusato di fare parte di un servizio segreto. Secondo una informativa del Sismi del 16 novembre 1988, gli italiani arrestati erano Orlando Peruzzo, Edoardo Selliciato ed Enzo Castelli, mentre Aldo Del Re risultava ricercato.

Il Peruzzo venne scarcerato il 7 dicembre 1980, mentre Selliciato, Castelli e Del Re vennero condannati all’ergastolo. Secondo una prassi consolidata nei rapporti tra servizi segreti, il 6 ottobre 1986 Castelli e Selliciato vennero scarcerati e scambiati con tre detenuti libici in Italia.

Ciò lascia intendere che essi furono veramente implicati nel tentativo di golpe, che ebbe come retroterra organizzativo l’Egitto e coinvolse i servizi segreti Usa, francesi ed italiani”

(Luigi Cipriani, “Il caso Ustica-Libia. 1990”, Stralci; in https://www.fondazionecipriani.it/Scritti/laffare.html ).

Ciò che Aldo Del Re conosce bene e direttamente è il tentativo di golpe in Libia del 6 agosto 1980, ma non fa niente per essere chiaro ed esaustivo rispetto al tema del coinvolgimento dei servizi segreti italiani e stranieri (oltre a quelli statunitensi e francesi, anche quelli israeliani) e preferisce diventare un “collaboratore di giustizia” parlando di ben altri fatti di cui non sa nulla o quasi nulla e rapportandosi, in modo e per interesse personale, alle mutevoli esigenze dei governanti dello Stato italiano.

In questo quadro, dichiara di aver ascoltato da Roberto Rinani delle parole annuncianti un’azione con l’esplosivo a Bologna.

Nell’estate del 1979, ha raccontato Del Re, egli si trovò al caffé Pedrocchi a Padova insieme al Rinani e captò dei discorsi che questi fece alla moglie: disse che avrebbe partecipato di lì a qualche mese a un’azione a Bologna che avrebbe comportato l’uso di esplosivo. Al che la moglie del Rinani avrebbe reagito malamente dicendo: «Voi siete dei pazzi, lì ci sono donne e bambini innocenti!»(pagina 197 della sentenza del 9 gennaio 2020).

Aldo Del Re potrebbe essere credibile rispetto ad alcune dichiarazioni da lui esternate, ma quella relativa a Roberto Rinani è del tutto priva di logica.

Il Rinani, che dopo il 13 aprile 1979 e fino al 13 maggio 1980 è ricercato dalle forze di polizia per tentato omicidio (reato poi derubricato in “lesioni gravi”) nei confronti di Umberto D’Affara, nell’estate del 1979 sarebbe andato nel famoso caffè Pedrocchi di Padova, un luogo notoriamente frequentato dall’estrema destra patavina, addirittura con la moglie e nelle vicinanze delle orecchie di Aldo Del Re, a parlare di un’azione con l’esplosivo da compiere a Bologna!!!

In pratica, poco tempo dopo l’inizio della sua latitanza, Rinani avrebbe fatto l’esatto contrario di quel che in genere fa una persona latitante.

Il caffé Pedrocchi di Padova, alla fine degli anni ’70, è un luogo di ritrovo dell’estrema destra locale. Ciò viene confermato dall’ex neofascista Niccolò Ghedini (futuro avvocato del fondatore di Forza Italia Silvio Berlusconi) nell’udienza del “Processo per la strage alla stazione di Bologna” tenutasi lunedì primo febbraio 1988 (https://www.radioradicale.it/scheda/25683/strage-alla-stazione-di-bologna?i=2694861) e dallo stesso Roberto Rinani nell’udienza del “Processo per la strage alla stazione di Bologna (II appello)” che si svolge mercoledì 7 novembre 1993 a Bologna (https://www.radioradicale.it/scheda/59181/processo-per-la-strage-alla-stazione-di-bologna-ii-appello?i=2417162&qt-blocco_interventi=1#!slide).

Di conseguenza, il tempo, il luogo e la circostanza della presunta voce raccolta da Aldo Del Re su Rinani un anno prima della strage di Bologna non corrispondono né ai criteri minimi di razionalità né ai comportamenti molto disciplinati con cui il Rinani si sarebbe caratterizzato secondo la descrizione fattane dallo stesso Aldo Del Re.

Come se non bastasse, nell’udienza del processo a carico di Paolo Bellini ed altri (strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980) che si svolge a Bologna il 6 aprile 2022 l’avvocato di Parte Civile Andrea Speranzoni precisa quanto segue:

In questa istruttoria dibattimentale sono entrati in possesso di questa Corte d’Assise anche i verbali di un teste Aldo Del Re (…); dico questo perché Aldo Del Re risulta a sua volta essere stato una fonte confidenziale a Padova facente capo anche all’Arma dei carabinieri; avete quei verbali” (vedasi da minuto 29:30 a 29:50: https://www.radioradicale.it/scheda/664754/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-bologna-del-2 ).

In pratica, nel 1980 Luigi Vettore Presilio e Aldo Del Re sono fonti confidenziali delle forze di polizia, nello specifico dell’Arma dei Carabinieri, e quindi dei servizi segreti italiani di allora (Sisde e Sismi) che hanno al vertice proprio uomini dell’Arma dei Carabinieri. Un giudizio simile, in sostanza, merita di essere fatto anche per un altro testimone .

Affermazioni di Maurizio Tramonte

Maurizio Tramonte, il terzo testimone del problema di cui stiamo parlando, nella fase istruttoria del processo sulla strage di piazza della Loggia di Brescia, avvenuta il 28 maggio 1974 provocando la morte di otto persone, ribadisce in sostanza le notizie da lui inviate a suo tempo al Sid (Servizio informazioni difesa che dal 24 ottobre 1977 al 1 agosto 2007 sarà sostituito da due organismi: il Sisde e il Sismi).

Costui è infatti un informatore del servizio segreto interno dello Stato italiano. Il suo nome clandestino è «Tritone», ma sia di fronte alla Corte d’Assise che alla Corte d’Appello di Brescia decide di non confermare in aula quelle notizie e dice che le ha inventate.

Il suo dramma è che nel processo di primo grado viene assolto; invece nel processo d’appello è condannato all’ergastolo non tanto perché riconosciuto da una foto come presente in piazza della Loggia subito dopo la strage, ma perché lui stesso ha dichiarato di aver partecipato alla riunione preparatoria di quell’eccidio; tale sentenza è confermata dalla Cassazione nel 2017.

Dal giugno del 2022 la difesa del Tramonte chiede la revisione del processo, ma il 5 ottobre 2022 quest’ultima è respinta dalla Corte d’appello di Brescia sulla base del motivo fondamentale per cui lui è stato condannato in maniera definitiva (https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/10/05/piazza-loggia-respinta-la-revisione-del-processo-per-tramonte_07e3cc96-6b21-47de-ad54-3055b40e19b5.html).

Fatta questa doverosa precisazione, è opportuno aggiungere che ci sono agli atti molte informative di Tramonte sull’estrema destra veneta nell’arco di quasi tutti gli anni Settanta e pure la sua deposizione resa il 29/02/2000 al Pubblico Ministero di Bologna Paolo Giovagnoli:

«Io ero un infiltrato nelle cellule neofasciste operanti in Veneto […] e fino al 1977 riferivo a un agente del Sid tutte le notizie rilevanti che apprendevo […]. Le mie dichiarazioni continuano fino al ’77 […], ma avevo modo di continuare a vedere gli appartenenti al detto gruppo neofascista [che era costituito] dal dottor Carlo Maria Maggi di Venezia, da Giovanni Melioli, Gian Gastone Romani, Arturo Francesconi Sartori, Davide Riello e un certo Luigi, amico di Maggi […]

Con Melioli io ho continuato a vedermi sporadicamente, ma almeno un paio di volte all’anno, sicuramente fino al 1980 e forse anche per qualche anno dopo; in particolare incontravo Melioli nel periodo estivo e più di una volta siamo andati insieme, noi due soli a mangiare il pesce in ristoranti dei Lidi Ferraresi o Ravennati.

In una di tali occasione, credo che fossero i primi giorni del giugno 1980, Melioli mi disse ‘non passare per Bologna a fine luglio perché faremo un gran botto’, io intesi che voleva dire che lui e il suo gruppo avrebbero fatto un grave attentato; le parole potrebbero essere lievemente diverse, ma il senso di quello che mi disse è sicuramente quello che ho riferito.

Dopo qualche giorno che avevo avuto da Melioli tale notizia, decisi di riferirla a Don Nino Bisaglia, un sacerdote dì Rovigo […].

Nel giugno ’80 [lo] cercai pertanto […] sull’elenco telefonico di Rovigo e ci vedemmo in una chiesa nei pressi della piazza centrale di Rovigo, all’interno della chiesa, seduti sui banchi, io gli riferii quello che mi aveva detto Melioli, senza però fare il nome di costui, ma dicendogli che le persone che stavano preparando l’attentato erano un gruppo di destra di Rovigo.

Chiesi [al sacerdote] di ricevere le mie confidenze in confessione e gli feci indossare la stola da sacerdote, io infatti ho frequentato per poco tempo il seminario e ho qualche conoscenza delle regole religiose […].

Qualche giorno dopo il colloquio [il sacerdote] mi telefonò a Lozzo Atesino e mi chiese se ero disponibile ad andare a Roma e riferire quello che gli avevo raccontato a qualcuno che non mi disse chi era; io non lo feci finire e gli dissi che non ero disponibile e che poteva andarci lui che ne sapeva quanto me” (Dichiarazioni rese il 29 febbraio 2000 al PM di Bologna Paolo Giovagnoli nel pp. n. 263/ 97-44, fasc. Df pag. 286).

In sintesi: Tramonte da un lato dichiara che “in particolare” incontrava Giovanni Melioli “nel periodo estivo”, cioè solo in quel periodo, e dall’altro afferma di averlo visto “i primi giorni del giugno 1980”.

In realtà, come sanno pure i bambini delle scuole elementari italiane, “i primi giorni di giugno” non fanno parte del “periodo estivo”.

Anche il fatto che lui ne avrebbe dato notizia prima possibile a Don Bisaglia (che comunque non si chiamava Don Nino Bisaglia ma Don Mario Bisaglia) e che costui ne avrebbe parlato a suo fratello, il dirigente democristiano Antonio Bisaglia, a quel tempo ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, non depone certo a favore della sua attendibilità!

I due fratelli Bisaglia, morti annegati entrambi, il ministro in circostanze decisamente non chiare a Santa Margherita Ligure il 24 giugno 1984 e all’età di 55 anni, il sacerdote – di sicuro assassinato – ritrovato in un lago di montagna il 17 agosto 1992, sarebbero stati informati del progetto di strage a Bologna del 2 agosto 1980 nel corso del precedente mese di luglio.

Ma la cosa curiosa è che il Tramonte, con queste sue “rivelazioni” ed in modo complementare a quanto fece un giornalista legato al ministro dell’industria Antonio Bisaglia, sembra aver fatto un piacere proprio a chi – come quest’ultimo – aveva delle azioni della Itavia, l’impresa proprietaria degli aerei DC9, e cercava di far credere che la strage del DC9 Itavia, avvenuta ad Ustica il 27 giugno 1980, fosse stata provocata dalla bomba di qualche neofascista dei Nar.

L’anonimo che il pomeriggio del 28 giugno 1980 telefonò per attribuire ai Nar la strage del DC9 Itavia non era (…) un terrorista o un agente dei servizi: era un giornalista amico del ministro.

Il Sismi lo sapeva e già il 2 luglio lo mise nero su bianco, evitando però accuratamente che fino a oggi presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari, commissioni d’inchiesta e giudici potessero venirne a conoscenza e salire il primo dei gradini che forse portano al livello di copertura politica di una strage se non addirittura due: Ustica e Bologna.”

(“Ustica, l’uomo di Bisaglia depistò le indagini” di Andrea Purgatori, Corriere della Sera, 13 ottobre 1995).

Quella telefonata, avvenuta alle ore 15 del 28 giugno 1980, giunge alla redazione romana del Corriere della sera; con essa si vuole far diffondere la falsa notizia secondo cui la strage di Ustica, avvenuta il giorno prima, sarebbe stata provocata da un incidente capitato sul DC9 dell’Itavia al neofascista Marco Affatigato che ha con sé una bomba e – cosa conosciuta solo dall’informatore del Sismi Marcello Soffiati – uno dei personaggi più importanti della destra stragista della Prima Repubblica italiana, porta al polso un orologio di marca francese Baume & Mercier.

Chi è Marco Affatigato?

Per dare una risposta sintetica ma esaustiva è qui sufficiente riportare quanto su di lui scrisse il parlamentare di Democrazia Proletaria Luigi Cipriani nella Relazione alla Commissione stragi inverno 1989-1990 su Ustica e Bologna:

… Affatigato, da tempo latitante in Francia, viveva a Nizza e dopo aver lavorato per la Cia divenne informatore del servizio segreto francese, lo Sdece diretto da De Maranche. Dove fosse latitante Affatigato era noto anche al Sismi perché frequentava un loro informatore, il massone Marcello Soffiati. Quindi solo il servizio francese e quello italiano erano in grado di conoscere il particolare dell’orologio con tanto di marca.” (https://www.fondazionecipriani.it/Scritti/usticae.html)

A maggior ragione, dal punto di vista metodologico, è opportuno valutare criticamente tutte le voci che sembrano annunciare la strage di Bologna, anche quelle solo vagamente riferite ad essa, e ricordare che nelle parole di tanti “collaboratori di giustizia” ci sono spesso cose vere mischiate a cose false.

Nell’Italia degli anni Settanta e del decennio successivo, in un periodo storico di sovrabbondanza di faccendieri, “pentiti, ciarlatani, megalomani e depistatori professionali, nei processi molte dichiarazioni sono a dir poco contraddittorie e quindi bisogna sempre evitare di considerarle tutte attendibili.

Un dato è certo: la voce secondo cui sarebbe stato imminente un fatto grave molto peggiore rispetto all’attentato ad una singola persona e di conseguenza destinato a riempire le pagine dei giornali circola solo dopo la strage di Ustica del 27 giugno 1980 ed è conosciuta negli ambienti italiani delle forze di polizia italiane, dei servizi segreti (Sisde e Sismi), e nel campo del governo diretto dal democristiano Francesco Cossiga e di cui fa parte il ministro Antonio Bisaglia.

Ciò è confermato da quanto emerge nel corso dell’udienza del “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri (strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980)” tenutasi a Bologna mercoledì 28 aprile 2021.

Testimonianza dell’ex giudice Tamburino del 28 aprile 2021

In tale circostanza, le parole dell’ex giudice Giovanni Tamburino, anticipate il 14 maggio 2019 dal confronto fra quest’ultimo e l’ex generale del Sisde di Padova Quintino Spella, avvenuto davanti ai magistrati della Procura generale che indagavano sui mandanti della strage di Bologna, dimostrano che il capo del Sisde di Padova del 1980, pur negando il fatto fino alla morte avvenuta nel gennaio del 2021, era stato informato da Tamburino delle dichiarazioni di Luigi Vettore Presilio prima della strage di Bologna e precisamente il 15 luglio.

A quel punto, secondo la ricostruzione del giornalista Roberto Scardova (“L’oro di Gelli: strage di Bologna”, Editore Castelvecchi, 2020), Spella informa il centro nazionale del Sisde e quest’ultimo decide di affidare le indagini al colonnello Amos Spiazzi – personaggio tornato in auge, con tanto di nulla osta di sicurezza (NOS) della Nato, dopo che dal 13 gennaio 1974 al 7 dicembre 1977 era stato in carcere in modo preventivo perché considerato al centro dell’inchiesta proprio di Giovanni Tamburino sull’organizzazione “Rosa dei Venti” (una specie di servizio segreto interno parallelo e collegato alla Nato) – e di mandarlo a Roma.

Spiazzi fa parte dell’Esercito; non potrebbe lavorare per i servizi segreti, ma ha un rapporto stabile con il centro Sisde di Bolzano (competente anche per le città di Padova e Verona).

Grazie a ciò parte per Roma e alcuni giorni dopo riferisce oralmente al maresciallo Francesco Benfari del centro Sisde di Bolzano. Su questa base nasce un testo, rinvenuto parecchi anni dopo nel corso di una perquisizione nella sua casa, nel quale – parlando in terza persona – racconterebbe il suo viaggio a Roma.

Soltanto allora il Sisde fu costretto a mettere a disposizione della giustizia il rapporto, datato 28 luglio, ma redatto da Benfari una settimana prima. In esso era scritta tutta la storia del viaggio a Roma” (pag. 97 del libro L’oro di Gelli: strage di Bologna”, di Roberto Scardova, Editore Castelvecchi, 2020).

Nel concreto, quel rapporto riservato arriva a Roma, al capo del Sisde e aderente alla loggia massonica P2 Giulio Grassini, prima della strage di Bologna del 2 agosto 1980.

In quel documento, ieri depositato dall’accusa, si dice che i Nar stavano preparando qualcosa di micidiale e rastrellando, insieme ad altri gruppi dell’estrema destra, armi ed esplosivo. Ma non una parola sulle rivelazioni di Vettore Presilio, insabbiate.(“Strage di Bologna. Il giudice Tamburino: «Così avvisai i Servizi»”, di Andreina Baccaro, Corriere della Sera, 29 aprile 2021).

Di conseguenza, le indagini svolte da Spiazzi sono allontanate dal Triveneto, appaiono ambigue e imprecise e non tutti le ritengono nate nel mese di luglio del 1980.

Ad esempio, secondo Ugo Maria Tassinari, “il presunto viaggio a Roma alla metà di luglio, nel corso del quale Spiazzi avrebbe incontrato un fantomatico «Ciccio», capo dei NAR, va retrodatato al novembre ’79: ne esce rafforzato il sospetto che apparati statali e internazionali si siano messi al lavoro, dopo la strage di Ustica, per coprire le responsabilità del disastro” (pag 316 di “Fascisteria”, di Ugo Maria Tassinari, Sperling & Kupfer, 2008).

Un dato è certo: quella riportata da Luigi Vettore Presilio è l’unica voce che sembra annunciare la strage di Bologna. Non sappiamo però se il Vettore Presilio sia stato sincero, cioè se all’origine della suddetta voce ci sia stata l’area neofascista del Triveneto diretta da Massimiliano Fachini, oppure se sia stato bugiardo di propria iniziativa o su pressione dei servizi segreti italiani per cui era diventato un collaboratore.

Le dichiarazioni di Cecilia Loreti

Le parole di Luigi Vettore Presilio potrebbero infine apparire complementari nei confronti delle dichiarazioni di Cecilia Loreti di cui si parla spesso nella vicenda giudiziaria relativa alla strage di Bologna.

Esse riguardano la telefonata che, in base a quanto da lei riferito al Giudice Istruttore di Roma il 23-12-1980 e successivamente al Giudice Istruttore di Bologna del processo di primo grado, il neofascista latitante e allora minorenne Luigi Ciavardini (poi condannato in via definitiva a 30 anni per quella strage) avrebbe fatto in casa di Marco Pizzari per far posticipare, a causa di suoi gravi problemi, il viaggio ferroviario da Roma a Venezia programmato da Elena Venditti, Cecilia Loreti e Marco Pizzari.

Quella telefonata sarebbe stata ricevuta da Marcello Pizzari (padre di Marco) che, a sua volta, avrebbe telefonato a Luigi Loreti, zio di Marco abitante a Ladispoli, affinché fossero avvisati i tre giovani che in quel periodo si trovavano in quella località marittima della provincia di Roma.

Un primo problema è costituito dal fatto che Marcello Pizzari non ha mai confermato di aver ricevuto quella telefonata (vedasi sentenza del 1990).

Un’altra questione è che non si sa con esattezza né l’ora né il giorno in cui sarebbe stata fatta la telefonata del Ciavardini. In particolare, non si sa se sarebbe stata fatta il 31 luglio come ritiene l’Avvocatura dello Stato nel ricorso avverso alla sentenza del 1990, il primo agosto 1980 come ritengono la sentenza di assoluzione del 1990 e le sentenze di condanna dello stesso Ciavardini, oppure il 2 agosto 1980, a strage avvenuta, come sostiene Elena Venditti che, all’epoca, era la fidanzata del Ciavardini.

Come se non bastasse, non si sa di preciso nemmeno a che ora e in quale giorno, dopo il 2 agosto 1980, sarebbe avvenuto l’incontro del Ciavardini con la Venditti, la Loreti e il Pizzari (assassinato il 30 settembre 1981 dai Nar perché avrebbe favorito l’arresto del suo vecchio amico Ciavardini), il 4 agosto secondo le dichiarazioni del 23 dicembre 1980 della Loreti al Giudice Istruttore di Roma oppure il 3 agosto secondo le dichiarazioni della stessa Loreti al Giudice Istruttore di Bologna del processo di primo grado (vedasi sentenza del processo di primo grado).

La circostanza più credibile è che la telefonata del Ciavardini a casa Pizzari sia stata effettuata il primo agosto e ciò risulta compatibile con quanto affermato dai suoi avvocati difensori, cioè con l’ipotesi che il posticipo dell’appuntamento a Venezia dal 2 al 3 agosto sarebbe stato motivato solo da problemi di documenti necessari ad una persona latitante come lui.

Conclusioni

In estrema sintesi, l’unica voce documentata che annuncia qualcosa di paragonabile alla strage di Bologna è quella di Luigi Vettore Presilio, sembra provenire dall’area neofascista di Ordine Nuovo del Triveneto diretta in quel periodo da Massimiliano Fachini e nasce soltanto dopo due fatti di grande risonanza internazionale: la Dichiarazione di Venezia prodotta dalla CEE il 12 e 13 giugno 1980 sul conflitto israelo-palestinese che trova la completa ostilità degli Usa e di Israele, e la strage di Ustica del 27 giugno 1980 su cui gli Usa (e la Francia) hanno senza dubbio delle dirette responsabilità https://insorgenze.net/2013/01/29/strage-di-ustica-quando-giovannardi-fu-sputtanato-da-wikileaks/).

La strage di Bologna, obiettivamente parlando, giova al “partito dell’ordine” che sul finire del 1980 si contrappone all’occupazione operaia della Fiat a Torino e contribuisce a distogliere l’attenzione dai responsabili della strage di Ustica, con i suoi 81 morti, e da chi, come l’allora ministro dell’industria Antonio Bisaglia, è fra i proprietari della Itavia.

Ciò, a sua volta, spiega da un lato l’inconcludenza della magistratura italiana rispetto alla strage di Ustica e dall’altro anche il perché dei depistaggi ed ‘impistaggi’ dei servizi segreti italiani, statunitensi e francesi rispetto alla strage di Bologna.

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