La partecipazione dell’Italia alla guerra in Ucraina è un tema decisamente “imbarazzante”. La scelta che più di altre espone un paese ai contraccolpi sul piano internazionale e interno, vede parole e impegni a “mezza bocca” sia del governo che dell’opposizione.
Il primo sa che continuare a impelagarsi nella guerra in Ucraina non è affatto “popolare”. La seconda ne teme l’effetto “divisivo”, visto che una parte ha sostenuto le scelte dei governi Draghi e Meloni di partecipare alla guerra e inviare le armi all’Ucraina.
Infine, con una convergenza vergognosamente bipartisan, nessuno ha il coraggio di rimettere in discussione la cieca obbedienza alla Nato che continua a trascinarci sistematicamente nelle guerre e nelle avventure militari.
Entro il prossimo 31 dicembre il Parlamento dovrà votare il rinnovo o meno del decreto che consente al governo di continuare a inviare armi e soldi all’Ucraina nella guerra della Nato contro la Russia.
Le difficoltà degli Usa, emerso dal vertice di emergenza convocato da Biden su questo aspetto, lasciano intendere che dovrà crescere il volume di soldi e armamenti che dovranno fornire in più proprio gli “alleati della Nato” e tra questi l’Italia. Prevedibili le conseguenze sui capitoli delle spese sociali da tagliare ulteriormente per “reperire risorse” da gettare negli impegni con la Nato sull’Ucraina,
Il voto in Parlamento sul decreto per le forniture di armi e soldi all’Ucraina, in qualche modo sarà una redde rationem politica di prima grandezza anche sui consensi nelle prossime elezioni europee.
Per le forze, oggi minoritarie politicamente e in Parlamento, che chiedono lo stop all’invio delle armi e la fuoriuscita dell’Italia dal coinvolgimento nella guerra in Ucraina, si tratta di incalzare “la politica” di governo e di opposizione per dare voce ad un sentimento popolare contro la guerra che non è mai diminuito in questi venti mesi di conflitto.
Domenica 8 ottobre a Roma (cinema Aquila, ore 10.30), una coalizione di forze politiche, pacifiste, sindacali, studentesche, di personalità impegnate per la pace, si riunirà in una assemblea nazionale per discutere come rimettere l’opposizione alla guerra al centro dell’agenda politica e le manifestazioni già in programma.
E’ indicativo come le adesioni all’assemblea siano venute crescendo negli ultimi giorni.
Nelle prossime settimane già ci sono due appuntamenti di mobilitazione: uno a Pisa il 21 ottobre contro le basi militari e uno a Roma il 4 novembre per dire basta all’invio di armi e al coinvolgimento dell’Italia nella guerra in corso.
Una sorta di marcia di avvicinamento alla scadenza di fine anno entro cui il Parlamento dovrà decidere sul decreto per l’invio di armamenti all’Ucraina e che segnerà uno spartiacque politico destinato a pesare.
Non solo. Il governo di destra è riuscito a fare approvare dal Senato (con la convergenza della “opposizione”) un disegno di legge per rendere il 4 Novembre una “Festa della nazione”, con l’intento neanche troppo nascosto di utilizzarla ideologicamente nelle scuole e nelle università per veicolare il militarismo e lo sciovinismo in contrapposizione alla data “divisiva” del 25 Aprile.
Una contrapposizione tra “una nazione” che nasce dalla vittoria nel massacro di una guerra imperialista (quella del 1914-1918) guidata dalla monarchia, e una nazione diventata Repubblica con la vittoria in una guerra di Liberazione dal nazifascismo. Da quella vittoria emersero la Repubblica e la Costituzione che molti vorrebbero affossare.
La mobilitazione contro la guerra dunque non è “una vertenza” o “una rogna” da tenere sotto traccia, ma è una battaglia a tutto campo che coinvolge aspetti politici, economici, sociali, ideologici.
Un sentimento simile si è registrato anche nell’assemblea tenutasi al teatro Ghione sabato scorso sull’appello di Michele Santoro e Raniero La Valle, con la differenza che quell’incontro si è dato come sbocco la costruzione di una “lista per la pace” da presentare alle elezioni europee e che ha suscitato parecchie perplessità.
In particolare la liquidazione da parte di Santoro sulla uscita dalla Nato come problema “divisivo”, in una lista per la pace non è affatto un dettaglio, così lo è come il doppio standard che prevede interlocuzioni con Pd, M5S e SI ma “biodegradabilità” assoluta per i partiti di sinistra dentro l’eventuale lista.
Del resto le elezioni, come noto, sono sempre un terreno scivoloso per fare sintesi. Le esperienze di questi anni ci dicono che spesso sono più le prospettive che seppelliscono piuttosto che quelle che aprono. Ma su questo ci si confronterà nei prossimi mesi.
L’assemblea nazionale di domenica 8 ottobre al cinema Aquila nasce dalle medesime esigenze di entrare in campo contro la guerra ma con presupposti e obiettivi diversi.
“Sganciare” l’Italia dall’alleanza di guerra, oggi vuole dire indebolire il fronte oltranzista e creare condizioni migliori per il cessate il fuoco e il negoziato per porre fine alla carneficina in corso.
C’è la necessità di rimettere in moto un movimento contro la guerra che, partendo dalla contraddizione principale, disegni una alternativa all’esistente, senza fare sconti a nessuno.
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