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Vittime mai: le donne de borgata si autodifendono

Gli episodi di violenza e i femminicidi degli ultimi mesi hanno imposto all’ordine del giorno la necessità di affrontare la natura e le possibili soluzioni alla violenza sulle donne.

Perché se il circo politico e mediatico della spettacolarizzazione della violenza a cui abbiamo assistito nei mesi scorsi si è andato – come da copione – a esaurire, il problema rimane e va affrontato con urgenza, invertendo le priorità sancite a livello istituzionale e ripartendo dai nostri quartieri, dalle nostre scuole, dai nostri posti di lavoro e dalle nostre università.

Lo vediamo, infatti, con il più recente caso di studentesse costrette dalla titolare a fare, durante una stage di PCTO, dei massaggi erotici ai clienti di un centro estetico a Brescia. Questo è solo uno degli ultimi casi violenza e sfruttamento di questo sistema scolastico e di questa società infame.

In questo senso, la proposta su cui abbiamo ragionato come donne de borgata ha preso un nome, l’autodifesa. Ma cos’è (e cosa non è) l’autodifesa per noi, per le donne, le ragazze e le libere soggettività delle periferie, per le lavoratrici precarie, per le migranti, per le studentesse dei quartieri popolari?

Uno. L’autodifesa non è una disciplina sportiva o un’arte marziale (o meglio, non solo, ma ci arriviamo), bensì un concetto ampio che va di pari passo con il rifiuto della delega da parte delle donne.

Perché a fronte di un governo che alla violenza sulle donne risponde con la criminalizzazione dei quartieri popolari e di un arco parlamentare che, dopo aver abbandonato per decenni le nostre periferie e distrutto il sistema sociale e dell’istruzione, vede come unica soluzione carcere e repressione, l’idea che le donne possano affidare alle istituzioni la soluzione del problema della violenza non è accettabile.

Anche perché, quando vogliono, queste sanno individuare coloro che “meritano” di essere difesi (vedi interessi economici e politici) e non sembra questo il caso: per le istituzioni la violenza infatti rappresenta solo un “effetto collaterale” rispetto alla valorizzazione e allo sfruttamento della differenza di genere e delle strutture patriarcali che il sistema in cui viviamo utilizza come strumento di dominio.

Un esempio lampante è quando ci vengono imposti ruoli di cura all’interno della famiglia per i quali siamo costrette a non lavorare (o a lavorare part-time), per scaricare sulle donne il taglio al welfare e ai servizi pubblici. Questa situazione, nel caso di violenza domestica, ci rende dipendenti dalla persona abusante e pertanto non ci permette di uscirne.

Due. L’autodifesa non è una questione individuale e personale ma assume un senso collettivo: è per noi la costruzione di una difesa di una comunità da parte della stessa comunità, in un’ottica di contrasto all’individualismo imposto da questa società e di (ri)costruzione di legami di solidarietà e di meccanismi sociali che rappresentino un esempio verso un modello di società più giusta.

Ed è per noi un’autodifesa operata insieme da donne, uomini e libere soggettività che condividono condizioni di sfruttamento e discriminazione, siano esse economiche, sociali, “razziali” o di genere. In altre parole, la nostra vuole essere un’autodifesa di classe.

Tre. L’autodifesa deve essere una pratica quotidiana e un “atteggiamento” cosciente che ci permetta di combattere contro ma anche per qualcosa.

Autodifesa è quindi lottare per i diritti che ci hanno tolto, per ottenere consultori pubblici e gratuiti, per i centri antiviolenza, per la contraccezione gratuita e per preservare il diritto all’aborto; è operare il controllo studentesco sull’educazione alla sessualità e rivendicare strumenti di supporto alle ragazze e ai ragazzi nelle scuole; è rivendicare servizi per i nostri quartieri e lottare per trasporti pubblici e taxi gratuiti di notte per le ragazze delle periferie; è scioperare per ottenere un lavoro e un salario decente o rivendicare un reddito per chi ne ha bisogno.

In questo senso, autodifesa vuol dire per noi difenderci “attaccando” le problematiche che viviamo quotidianamente.

Quattro. Per noi autodifesa è però anche non escludere la violenza agita, laddove necessaria per difenderci, e non delegarla a nessun altro, che sia lo stato, la polizia, ma anche amici o familiari.

In questo senso autodifesa è anche imparare a dotarsi degli strumenti per difendersi, praticando discipline sportive e corsi di autodifesa – insieme ad altre donne e uomini, ragazze e ragazzi – che permettano di acquisire la sicurezza necessaria per poter vivere la propria vita senza la paura che questa società e questo sistema vorrebbe imporci per disciplinarci.

E la storia è piena di pratiche di autodifesa collettiva che ci hanno dimostrato il suo valore, anche nell’utilizzo della violenza agita in risposta alla violenza subita: dalla resistenza contro il nazifascismo ai moti di Stonewall, dalla lotta per la casa all’esperienza del Black Panther Party, dalle combattenti curde alle rivolte nelle banlieu.

Cinque. Per noi l’autodifesa è uno strumento di rifiuto della vittimizzazione delle donne operata da questa società. Sebbene tenga dentro il concetto di “difesa”, che potrebbe suggerire una condizione di subalternità, in realtà per noi ne rappresenta proprio l’opposto.

Presuppone infatti la presa di responsabilità delle proprie azioni e il rifiuto del ruolo di vittima in cui questo sistema vorrebbe relegare le donne, per diventare invece soggetti che agiscono in prima persona e non delegano la propria difesa e le proprie battaglie per ottenere condizioni migliori di vita, di studio, di lavoro.

Un processo che inizia inevitabilmente a partire da noi stesse ma che si inserisce poi direttamente in una visione e una pratica collettiva.

Sei. In questo senso la concezione dell’autodifesa assume anche una funzione in senso culturale, nel contrasto dei ruoli di genere – che riguardano sia le donne sia gli uomini – e dei meccanismi di discriminazione e di violenza sulle donne imposti anche a livello di apparato ideologico e culturale da questa società.

L’ottica dell’autodifesa si trova così a contribuire allo scardinamento del ruolo e della visione di subalternità delle donne – che è poi alla base della violenza – e all’aspirazione verso una reale parità e liberazione che attenga a tutti i campi dell’esistenza, dal piano economico a quello sociale, da quello sessuale a quello affettivo e relazionale.

Una dimensione culturale che non può che essere combattuta con la pratica e l’attivazione quotidiana e con l’esempio che le donne possono rappresentare per le altre donne.

Sette. Infine, in generale, quando parliamo di autodifesa non parliamo della “legittima difesa” che lo stato “autorizza” nel suo impianto legislativo ma di un rifiuto e un ribaltamento delle logiche di potere su cui si fonda il sistema in cui viviamo, a partire dai nostri quartieri, dalle nostre scuole, dalle nostre famiglie e dai nostri posti di lavoro.

Un ribaltamento che, operato insieme alle altre donne, alle ragazze, agli uomini e alle libere soggettività, permette di ricostruire uno spazio collettivo in grado contrastare e “attaccare” la violenza e le oppressioni in tutte le sue forme, dentro e fuori casa, di genere così come di classe, operata sia dagli uomini sia dalle stesse donne di potere.

Se questi sono i caratteri della nostra autodifesa, è per noi importante farla funzionare fattivamente nella pratica quotidiana. In questo senso proponiamo, in avvicinamento al 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un programma di attivazione per agitare il tema dell’autodifesa a partire dai nostri luoghi.

È su questa parola d’ordine che lavoreremo quindi nelle scuole per il controllo studentesco dell’educazione alla sessualità e all’affettività proposta dal governo Meloni, che continueremo nella battaglia per i consultori e che ragioneremo su una proposta su trasporti e taxi gratuiti notturni per le ragazze delle periferie.

Ed è su questa proposta che organizzeremo degli incontri specifici sul tema dell’autodifesa nelle scuole e nei quartieri popolari, dove potremo confrontarci su cosa vuol dire per noi autodifesa ma dove potremo, insieme a degli esperti, acquisire anche tecniche pratiche di autodifesa.

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