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Il “doppio standard” sui crimini di guerra

Quante volte, negli ultimi mesi, abbiamo ascoltato la richiesta d’un intervento della Corte Penale Internazionale per Putin?

Ogni ospedale o città bombardata diventava – giustamente – la circostanza per condannare la Russia e per esprimere solidarietà all’Ucraina. E ciò diveniva, nell’ottica del rispetto del diritto internazionale, quasi un imperativo, poiché indirizzava il giudizio sugli atti dei russi; una sorta di obbligo morale e politico.

La ragione direbbe: questo è giusto sempre; in quanto tutti i popoli sono uguali, un crimine di guerra va condannato ogni volta e il criminale, chiunque esso sia, perseguito.

Ma la ragione, in tutta la sua spiazzante semplicità, si perde nel concreto delle politiche internazionali, indirizzando il giudizio sulla base delle alleanze o delle convenienze; di conseguenza, non tutti i popoli che subiscono crimini di guerra sono uguali.

Può dunque capitare, come negli ultimi giorni, di non ascoltare richieste analoghe a quelle avanzate per Putin e la Russia di fronte ai crimini di guerra compiuti da Israele; il popolo palestinese, così, perde la facoltà di essere riconosciuto come uguale a quello ucraino.

È un problema – anche – di razzismo, per lo meno indiretto; ma soprattutto è un atteggiamento dettato dalla logica del “doppio standard”, condizione mentale tanto diffusa in Occidente, quasi una “malattia dello spirito”.

Una tale logica – distinta dalla ragione egualitaria – è ormai dominante in Europa, presso tutte le “cancellerie”; che lo sia per convinzione o per una dipendenza dagli Stati Uniti (per i quali il diritto internazionale è uno strumento per affermare i propri interessi di nazione), qui non conta.

Di certo vi è che l’Unione Europea, dimenticando la propria storia, sta consegnando il popolo palestinese alla dannazione dell’inferno; per essa, i crimini di guerra a Gaza non sono tali, ma la punizione conseguente al diritto di Israele di difendersi.

Si potrebbe dire che l’astratto della ragione, che trova nel diritto la sua possibilità di affermare la giustizia, entra in contradizione con il concreto degli interessi geostorici.

Sul piano operativo, dunque, è impossibile anche solo pensare alla natura criminogena degli atti di Israele; e così, un crimine di guerra può essere taciuto, tollerato e persino sollecitato.

Ecco, dunque, l’innata diseguaglianza del “doppio standard”: l’eccezione dipende dalla posizione occupata dal popolo che subisce l’atto criminale; il popolo “amico” (dei nostri interessi, ovvio) otterrà sostegno appropriato, quello “nemico” lasciato alla sua mala sorte.

Insomma, sembra proprio che in base all’esperienza recente si possa concludere che per l’Unione Europea il diritto internazionale cessa di essere uno strumento di uguaglianza tra i popoli, ormai catalogati sulla base d’una convenienza politica.

Ed eccoci allora di nuovo sulle sponde della barbarie, là dove la corruzione della ragione egualitaria apre le porte al dogma del suprematismo (liberale e atlantista, ça va sans dire).

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