Un fascicolo conoscitivo senza indagati e senza neanche ipotesi di reato anche se si tratta di un duplice omicidio, quello di Fausto e Iaio, uccisi la sera del 18 marzo del 1978 a Milano in via Mancinelli nei pressi del centro sociale Leoncavallo.
La procura del capoluogo lombardo in pratica è stata costretta a riaprire le indagini (anche se “riaprire” appare una parola grossa e spropositata) dalla lettera ricevuta a firma del sindaco Beppe Sala dopo che il consiglio comunale aveva approvato un ordine del giorno su iniziativa del consigliere Rosario Pantaleo del Partito Democratico.
L’ordine del giorno e la lettera del primo cittadino alla procura non contengono elementi di novità rispetto allo stato dell’arte, cioè agli atti di indagine rispetto all’anno 2000, un quarto di secolo fa, quando il gip Clementina Forleo archiviò le accuse a carico di tre militanti romani di estrema destra, dei quali non è il caso di riportare le generalità perché esiste un diritto all’oblio che vale necessariamente per tutti, ovvio pure per i fascisti perché in caso contrario cesserebbe immediatamente di essere un diritto.
Il giudice delle indagini preliminari Clementina Forleo archiviò il fascicolo perché non c’erano elementi in grado di sostenere l’accusa in un processo.
Il gip segnalò alcuni errori nella fase delle primissime indagini, di lacune in sede di accertamenti come per esempio in relazione a un cappello insanguinato. Ma si tratta di questioni impossibili da sanare a 46 anni dai fatti.
L’avvocato Davide Steccanella, uno dei massimi esperti della storia degli anni ‘70, spiega che la cosiddetta riapertura delle indagini è una “iniziativa demagogica” sicuramente destinata ad approdare a nulla.
Insomma servirebbe a dare pubblicità positiva a chi si è rivolto all’ufficio inquirente pur non avendo nulla in mano per chiedere di approfondire.
Il rischio potrebbe essere quello di dare spazio alla “dietrologia” che già non è mancata in questa storia soprattutto per iniziativa di ambienti di sinistra. Si fece un gran can-can sul fatto che Fausto Tinelli abitasse in via Montenevoso al numero 9 di fronte allo stabile numero 8 dove c’era l’appartamento usato come base dalle Brigate Rosse. Fu scoperto una prima volta con arresti nell’ottobre del 1978 e poi durante lavori di ristrutturazione nel 1990 quando dietro una intercapedine fu trovato una parte del memoriale Moro.
Si disse addirittura che Fausto potesse spiare le Br come se sul balcone a indentificarle ci fosse stata una stella a cinque punte.
Tutte fantasie perché la mamma dei dietrologi, come quella dei cretini, è sempre incinta.
Quella di Fausto e Iaio resta una ferita aperta, ma non appare certo sanabile per via giudiziaria.
I due giovani attivisti possono rivivere solo nelle lotte sociali purtroppo poche di oggi, quelle osteggiate da una giunta che cementifica Milano e alza tortelli di due metri e mezzo nella metropolitana.
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Andrea Vannini
…in una italietta dove gli autori materiali della strage di Bologna del 1980 sono liberi da decenni…come si diceva una volta…l’ unica giustizia é quella proletaria…o no?