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Bologna, “la città più libera del mondo”

Con una partecipata assemblea di circa 200 persone si è conclusa la giornata di lotta al Parco Don Bosco, contro lo sgombero del presidio permanente e la trasformazione di un “polmone verde” a San Donato nell’ennesimo cantiere per la speculazione edilizia.

É stata una giornata di lotta importante, dopo l’animato corteo cittadino del 10 marzo che aveva visto sfilare diverse centinaia di persone, dal centro verso la periferia, fino a quel parco divenuto una trincea contro l’espansione “tumorale” della Zona Fiera nel quadrante nord della città, uno dei tanti tasselli del “sacco di Bologna”.

É una battaglia vinta”, ripetono in forma diversa i differenti interventi al megafono.

Una vittoria non scontata, dovuta alla determinazione dei tanti attivisti e attiviste accorsi sin dal primo mattino – tra cui l’organizzazione comunista giovanile Cambiare Rotta e gli studenti e le studentesse di OSA – visto che già dalla sera precedente circolava voce che il mattino sarebbero intervenute in massa le forze dell’ordine e le maestranze della I.T.I impresa Generale S.p.a., incaricata dei lavori.

L’amministrazione ha cercato di installare il cantiere grazie ai manganelli di  e Polizia – la mobile di Bologna e Padova –  ha incontrato un vero e proprio muro umano di giovanissimi, meno giovani ed anziani che con la loro determinazione non sono arretrati di fronte al cordone, “tenendo” una buona mezz’ora di cariche piuttosto violente.

Poi hanno presidiato la metà del parco in cui le forze dell’ordine non sono avanzate ma che gli ha reso comunque possibile l’abbattimento di 5 alberi ad alto fusto.

Nonostante le promesse del dirigente della DIGOS in piazza, di non mettere in atto uno scenario repressivo, scudi e manganelli hanno fatto parecchi feriti, per la maggior parte lievi ma anche un braccio fratturato ad un sessantenne.

L’azione manu militari è iniziata attorno alle 10, dopo che “le truppe” hanno preso ad avanzare  in maniera piuttosto minacciosa.

In pieno giorno, di fronte alla scuola e a una cittadinanza “attonita” che frequenta il parco a quell’ora,  è stata usata la forza in maniera più marcata rispetto a quanto era già successo finora.

Le versioni on line delle maggiori testate locali – e i TG Regionali – sono state costrette a documentare quanto accaduto con foto e video che parlano da sé e che, almeno in parte, smentiscono i tentativi di narrazioni tossiche come quella, solita, del Resto del Carlino: “Gli anarchici hanno cercato di buttare giù il cantiere e la polizia li ha respinti.

Non molto dissimile la redazione locale di Repubblica che parla di “ala più radicale degli eco-attivisti che non vogliono la realizzazione di una nuova scuola al parco Don Bosco.

Più fedele ai fatti la cronaca di Bologna Today che dà la parola a differenti protagonisti della lotta e che riporta le parole ‘irricevibili’ di Simone Borsari, assessore ai lavori pubblici e strenuo difensore del progetto: “Ormai è evidente che gli alberi sono solo un pretesto utilizzato da alcuni per provocare violenza, e che a certe persone non importa nulla non solo della scuola, ma neanche del parco”.

L’assessore, che deve avere lo stesso non brillante consulente alla comunicazione dell’ex sardina Mattia Santori, continua con le sue farneticazioni: “Quando sei lì con i bastoni e incappucciato, che cerchi lo scontro con le forze dell’ordine, è chiaro che l’obiettivo è un altro”.

Nel primo pomeriggio, dopo questo ennesimo sfregio al parco, già penalizzato dal taglio di alberi sul lato dove si stanno già compiendo i lavori per la nuova linea tranviaria, i poliziotti si sono ritirati, il presidio è continuato ed è stato indetto un primo momento di confronto.

É il fallimento della giunta Lepore-Clancy”, è stato il giudizio unanime dei convenuti, e l’ennesima dimostrazione di come la “narrazione ecologista” dell’amministrazione sia solo una mano di greenwashing su un diluvio di cemento.

Come ha ben sintetizzato Potere al Popolo, che mette in luce tutte le responsabilità del tentativo di sgombero di mercoledì – comprese quelle del presidente di quartiere Locascio, che ha rifiutato qualunque discussione pubblica nelle sedi di quartiere – “Lepore + Clancy = Manganello e motosega”.

L’amministrazione, dopo la non favorevole sentenza di fine marzo sul ricorso presentato dal Comitato Basta al tribunale civile, aveva cantato vittoria proprio attraverso l’assessore ai lavori pubblici Simone Borsari che in un comunicato stampa aveva affermato: “l’azione dei ricorrenti innanzi al tribunale ordinario aveva natura puramente strumentale e dilatoria, e siamo contenti che questo dato oggi emerga in modo chiaro nella pronuncia del giudice”.

Una sentenza che il Comitato aveva commentato affermando che il comune aveva “poco da esultare per una vittoria solo sugli aspetti di forma e non di contenuto”. Secondo il giudice, infatti, tale azione di ricorso avrebbe dovuto essere indirizzata al TAR.

Significa che la politica di questa amministrazione non è in grado di preoccuparsi della grande questione dell’ambiente e della salute, nonostante tutti gli allarmi della comunità medica e scientifica”.

La sentenza pilatesca del giudice ed il rifiuto di dibattito pubblico nelle sedi di quartiere non aveva comunque fatto desistere il Comitato popolare.

La giunta comunale ha conosciuto ieri uno dei suoi momenti peggiori, qualificandosi come baluardo a difesa della rendita contro le istanze dei cittadini, e tramutando un problema amministrativo in una questione di ordine pubblico, nel solco di quella continua erosione della democrazia e di militarizzazione delle questioni sociali che contraddistingue ormai tutta la classe politica (dal governo ai Comuni).

Di fronte però ha trovato un’opposizione che non fa sconti e che non le renderà facile il compito di passare come un rullo compressore sulla testa dei cittadini.

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