In risposta a un’interrogazione presentata da Alleanza Verdi e Sinistra in commissione Difesa ed Esteri del Senato, il viceministro e numero due di Tajani alla Farnesina, Edmondo Cirielli, ha confermato che l’Italia sta continuando a fornire armi per scopi bellici a Israele.
Questo tema aveva animato sin da subito il dibattito politico. Non che tutta la filiera euroatlantica non stia rifornendo miliardi e miliardi di materiale bellico a Kiev, ad esempio, per una guerra che dura da dieci anni e che finché non è intervenuta la Russia hanno sempre tenuto in secondo piano.
Però, di fronte all’evidente massacro indiscriminato dei palestinesi, non si poteva fare come per l’est Europa. Anche lo scorso 8 maggio il ministro Tajani aveva ribadito che “abbiamo cessato dal giorno 7 ottobre di vendere armi a Israele come facciamo con tutti i Paesi in guerra, perché così dice la legge italiana”.
Il 29 maggio è però arrivata la risposta di Cirielli all’interrogazione prima citata, e ha confermato che le armi italiane hanno contribuito al genocidio ora in corso in Palestina. E tuttavia Cirielli ha ripetuto che il commercio “avviene nel rigoroso rispetto delle disposizioni contenute nella citata legge n.185”.
La norma in questione regola il traffico di armamenti e sistemi militari con paesi coinvolti in conflitti e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Se Israele non è un paese in guerra, allora abbiamo ragione noi a dire che si tratta semplicemente di un genocidio senza appello, di cui il rischio concreto è stato sancito dalla Corte Internazionale di Giustizia ormai da mesi.
Sappiamo che questa legge è sotto attacco da tempo, e che la classe dirigente ha ormai deciso di superarla, perché non risponde più alle esigenze belliche del nuovo contesto geopolitico. È ora in esame nelle commissioni della Camera un disegno di legge che vorrebbe ridurre i divieti e l’informazione pubblica in merito.
Proprio dalla pubblicità o meno di alcuni dati il sito Altraeconomia aveva potuto sollevare dubbi sulle esportazioni italiane. Due accessi ai materiali dell’UAMA (Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento) sulle nuove autorizzazioni dopo il 7 ottobre sono stati negati.
Il viceministro Cirielli ha spiegato che i documenti richiesti “sono sottratti in via assoluta e relativa all’accesso documentale”. E ha poi aggiunto che il Parlamento è stato informato dell’export di armi verso Israele tramite la relazione UAMA del 2023.
Proprio a partire da questi dati, a conferma di quelli dell’ISTAT commentati da Altraeconomia, anche il Fatto Quotidiano aveva fatto notare che Israele aveva sicuramente ricevuto diversi sistemi bellici dopo il 7 ottobre. È stato dicembre il mese che ha suscitato più dubbi.
Le esportazioni hanno avuto un valore di 1,3 milioni di euro, più del triplo del dicembre dell’anno precedente. Quasi un milione era stato oscurato nei dati ISTAT, pratica tipica di quando si tratta di armi e apparecchi militari.
Con evidente coda di paglia, Cirielli ha specificato che non solo gli scambi sono avvenuti a norma di legge, ma che l’Italia è “impegnata nella ricerca di soluzioni che consentano di favorire il dialogo” e di giungere quindi a un “cessate il fuoco delle ostilità in Medio Oriente”.
Il governo Meloni sostiene invece anche materialmente lo sforzo bellico di una delle due parti in campo. È un esecutivo ‘partigiano’, anche se potrebbe non piacergli questa definizione: sta dal lato della storia frequentato dai fautori di un genocidio.
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