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Panetta, gli interessi sul debito, l’istruzione e l’austerità europea

Il Meeting annuale di Rimini, organizzato dall’area di Comunione e Liberazione, è sempre un’occasione interessante per tastare le preoccupazioni e le priorità della classe dominante, al ritorno dalle vacanze estive. Siamo quasi a metà di questo appuntamente e qualcosa è già uscito.

Questa volta è stato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, a fare alcune considerazioni che è utile commentare. Il nodo fondamentale che ha evidenziato l’economista è lo stesso che sentiamo da decenni: il compito del governo, di qualsiasi colore sia, è quello di ridurre il debito pubblico in rapporto al PIL.

Panetta ha dichiarato che “affrontare il nodo del debito richiede politiche di bilancio orientate alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati. Tuttavia, la riduzione del debito sarà ardua senza un’accelerazione dello sviluppo economico“.

Lo spauracchio evocato per il futuro è sempre quello delle proiezioni demografiche, con l’aumento del numero dei pensionati rispetto al numero di chi lavora. Ovviamente, è stato ribadito che bisogna aumentare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani, anche questa formula ricorrente in tv ma che mai si è tradotta in politiche concrete.

Anzi (ed è questo il dato che ha creato più scalpore), Panetta ha detto: “l’Italia è l’unico Paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione. Sottolineo questo confronto perché è emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni“.

Ma qui cominciano a crearsi delle crepe nella narrazione che siamo ormai abituati a sorbirci. Innanzitutto, perché è lo stesso governatore della Banca d’Italia a proporre un collegamento tra una componente specifica del debito pubblico e le opportunità di formazione e di emancipazione dei giovani del Belpaese.

Dal 1991 al 2020, l’Italia ha registrato un avanzo primario ogni singolo anno, escluso il 2009 – in seguito alla crisi del biennio precedente –  e il 2020, l’anno della pandemia del Covid-19. Possiamo discutere sull’entità di questo avanzo, ma Roma ha già fatto i compiti che gli affida Panetta, e non è cambiato molto. Anzi…

Il messaggio che l’economista sta mandando è che, in realtà, bisogna continuare a tagliare i servizi pubblici per diminuire la spesa o aumentare le entrate, mentre nulla può (o deve) essere fatto contro la speculazione sul debito. Almeno finché, nel nostro modello sociale, a governare davvero sarà il mercato e i suoi capitali, ci teniamo e facciamo crescere gli oltre 70 miliardi l’anno di interessi sul debito.

La speculazione ha tra l’altro approfittato della fase di alti tassi di interesse della BCE: al taglio di giugno l’Ufficio Parlamentare di Bilancio aveva calcolato un possibile risparmio di 3 miliardi per quest’anno. Con una diminuzione complessiva di 100 punti nel corso del 2024, il risparmio sarebbe arrivato a 7 miliardi nel 2025 e a 10 miliardi nel 2026.

Questo Panetta ha dimenticato di dirlo. Ha però ribadito un pensiero che ha già espresso in passato, e che non sempre si sente: “le politiche di austerità adottate [nel periodo 2010-12] hanno accentuato in più paesi gli effetti recessivi della crisi“, mentre “le risposte alle crisi più recenti, innescate dalla pandemia e dallo shock energetico, hanno invece segnato un progresso nell’impostazione delle politiche comuni“.

Il governatore della Banca d’Italia è da tempo un fermo sostenitore di un passo avanti nell’integrazione europea. Per renderla un polo autonomo capace di competere sul piano globale, come vorrebbe Draghi ad esempio, ma è comunque una linea che, seppur con lo stesso obiettivo, si distacca da quella che ha ripreso piede a Bruxelles.

A breve Palazzo Chigi avvierà il lavoro sulla manovra del 2025, ed entro il 20 settembre deve presentare alla UE il Piano strutturale di bilancio a medio termine, secondo le clausole del nuovo Patto di Stabilità. La procedura d’infrazione aleggia sulle scelte del governo e un’ulteriore tornata di austerità appare l’unica strada.

Del resto, è il pilota automatico dei vincoli esterni, quello europeo sulla spesa sociale a cui, oggi, è tornato ad associarsi quello della NATO della deriva bellicista. Senza rompere questa gabbia va rotta non se ne esce…

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