In un continente in crisi, con due guerre in cui è coinvolto senza avere in entrambe un reale diritto di parola, un governo nazionale altrettanto in crisi di credibilità – sia interna che internazionale – si ritrova agganciato (anche per propria responsabilità) a un degrado generale della governance.
Andiamo con ordine. La nuova Commissione europea doveva essere presentata ieri da Ursula von der Leyen, confermata nel ruolo di presidente da una maggioranza che da quasi sei anni porta il suo nome ed è parecchio eterogenea: popolari, socialisti, liberali e qualche “indipendente” per raggiungere il numero minimo.
Ma all’ultimo minuto è stata rinviata di (almeno) una settimana. Sono stati addotti problemi formali (la Slovenia aveva cambiato il suo candidato per migliorare la “rappresentanza di genere”, e deve ancora ricevere l’ok del suo parlamento), ma specie socialisti e verdi – tedeschi e non solo – hanno esplicitato il loro rifiuto di attribuire a Raffale Fitto una “vicepresidenza operativa”, ossia un ruolo da protagonista nel “governo” europeo. Anche perché le deleghe di cui disporrebbe valgono nell’insieme circa 1.000 miliardi…
Il gruppo parlamentare cui appartiene – Ecr, quasi all’estrema destra – ha votato contro la presidenza von der Leyen, dunque non fa parte della maggioranza.
E’ necessario sapere che i “ministri” europei (chiamati “commissari”) vengono proposti dai singoli paesi e devono passare un “esame” da parte del presunto parlamento di Strasburgo (l’unico al mondo privo del potere legislativo!), che riguarda anche l’adesione o meno ai “valori” ufficialmente dichiarati dalla UE.
E tutti ricordano il caso della bocciatura di Rocco Buttiglione, proposto da un governo Berlusconi, a causa delle sue notorie posizioni omofobe.
Raffaele Fitto, di suo, è un classico democristian-berlusconiano disponibile a farsi concavo e convesso pur di emergere e galleggiare. Ma proprio questa attitudine “plastica” l’ha portato, alla fine del suo peregrinare tra liste elettorali “vincenti”, alla corte di Giorgia Meloni e dunque tra i nostalgici mussoliniani (quello significa la “fiamma” nel simbolo di Fdi).
Assomma insomma due difetti: a) rappresenta la destra estrema contro cui, nei diversi paesi, si invoca di “fare muro” (anche se poi Macron in Francia sta facendo un governo con i voti di Marine Le Pen), b) questa destra non fa parte della “maggioranza Ursula”.
E’ insomma tollerabile che possa comunque avere una delega da “commissario semplice”, ma non una delle quattro vicepresidenze operative che costituiscono in nucleo dirigente della UE.
La storia reale è ovviamente più intricata, per interessi nazionali e di schieramento politico, ma ufficialmente la motivazione è questa. In qualche misura è anche un “avvertimento” a von der Leyen, un po’ troppo disinvolta nell’aprire e porte alla destra (non solo sul “caso Fitto”).
L’errore di partenza, insomma, l’ha fatto Giorgia Meloni quando ha provato a tenere un piede in due staffe: da un lato col voto pubblico contrario a von der Leyen e dall’altro con la cucitura di un rapporto di fiducia personale con “la cavallerizza” tedesca. Come se la seconda postura potesse compensare la prima.
Se ci fosse una situazione normale, in Europa, probabilmente questo giochino sarebbe passato sotto silenzio. Ma come dimostrano sia il “rapporto Draghi sulla competitività”, sia le reazioni fredde o contrarie (soprattutto di Germania e “frugali” del Nord), la UE si trova a un insieme di bivi di carattere politico, economico, militare e quindi strategici.
O prova a trasformarsi in un vero “super-Stato” capace di reagire in tempo reale ai problemi, oppure il suo palese declino diventa occasione di deflagrazione. Per riuscire a cambiare – secondo il rapporto Draghi – deve stringere i bulloni della sua governance eliminando le decisioni all’unanimità (27 paesi guidati da governi diversi), istituendo un “debito pubblico comune”, un esercito e un’industria militare omogenei, ecc.
Cambiare o non cambiare, oppure come cambiare, è una partita tutta aperta. Sul “debito comune”, è partito immediatamente l’alt tedesco, anche se da parte del leader di un partito – i liberali – che oggi non supera la soglia di sbarramento, ma su questo punto rappresenta la storica posizione di vantaggio dell’economia tedesca (rifinanziare il proprio debito pubblico a costo zero, o comunque molto inferiore alla media degli altri paesi).
Dunque il varo della nuova Commissione deve necessariamente tenere insieme non solo le esigenze dei diversi governi dei diversi paesi, ma anche definire preventivamente una linea di evoluzione della stessa Unione Europea che va ben oltre la normale amministrazione prevista dal famoso “pilota automatico” costruito da trattati ormai chiaramene inadeguati ai tempi di guerra.
Ogni Commissario, infatti, al momento dell’insediamento riceve una “lettera di missione” che definisce non solo le deleghe di cui dispone, ma anche la direzione che dovrà rispettare e far rispettare da ogni paese. Ed è questa, forse, la cosa più complicata che von der Leyen e il gruppo dirigente di Bruxelles si trova ad affrontare.
L’Unione Europea deve insomma decidere cosa vuol essere e questo mette in discussione tutti gli equilibri e gli interessi consolidati, mentre solleva attese di rivincita o riequilibrio tra chi aveva fin qui pagato dazio senza toccare palla. Se ci aggiungiamo anche l’ansia di apparire di parvenu che non sanno distinguere tra funzione pubblica e interessi privati (il governo Meloni è recordman in questa materia…), si comprende come le diffidenze siano tali da paralizzare tutto.
Ovvio che una Commissione dovrà comunque prendere forma al più presto. La terza area economica del mondo non può permettersi di restare ancora a lungo senza un “governo” (sono passati tre mesi dalle elezioni europee).
Ma la battaglia per determinare la direzione del “cambiamento” comincia soltanto ora. E non sarà un gioco per absolute beginners. Il governo Meloni, insomma, già minato dalla sua stessa inconsistenza prepotente (il caso dell’allontanamento dei poliziotti dalle “stanze chiave” di Palazzo Chigi ne dimostra lo spirito da “infiltrato nel potere”), si avvia come un vaso di coccio allo scontro tra carri armati.
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Giovanni Scavazza
Anamnesi politica:
Giorgia Meloni l’ho sempre vista per quello che e’: una coatta neofascista, una donna fastidiosa e “ignorante” -nel senso etico del termine- , priva di empatia, nemica del popolo, e incapace di parlare italiano corretto, come nella peggiore delle commedie di borgata. Non ho nemmeno mai creduto al mito della sua forza: al contrario, ho sempre pensato che la sua aggressivita’ fosse l’indice della sua profonda debolezza. Urla, fa la voce gutturale e tira gli occhi fuori dalle orbite perche’ e’ divorata dall’insicurezza, e dalla consapevolezza della propria incapacita’ di governare. Cerca di spaventare gli altri perche’ e’ lei la prima ad essere spaventata. Non credo di avere mai visto -come ultra settantenne- da quando ho memoria, un presidente del consiglio cosi volgare e imbarazzante: una che quando viene interpellata dalle opposizioni o da qualche -raro- giornalista “scomodo”, si mette a fare la cabarettista, e punta sulle battute di pessimo gusto, o fa le espressioni da psicopatica, e non si assume mai la responsabilita’ di risolvere le tragedie di questo paese. Si vanta di arrivare dal popolo, ma odia i poveri, e con lo sparigliare del RDC ha provocato una catastrofe sociale. Si vanta di essere una donna, ma si circonda di fascistoni e puttanieri, quindi e’ la portavoce del patriarcato piu’ retrogrado. Si vanta di essere una madre, ma sta facendo di tutto per coinvolgere l’Italia in un conflitto sanguinario. E’ un disastro sotto ogni punto di vista -etico, umano, politico- e ci portera’ dritti verso il baratro. Disastrosa lei, disastrosi gli italiani mononueronali che ancora la sostengono. Sara’ difficile sbarazzarsene, ma in questo periodo iniziamo un po tutti a percepire il suo disagio: passata la sbornia del post-elezioni, anche lei avverte il crollo del proprio castello di carte. I suoi atteggiamenti sempre piu’ isterici e agressivi ne sono la prova piu’ evidente. Facciamoci coraggio e aspettiamo la sua uscita di scena, sperando che arrivi prima possibile. Il giorno in cui questa squalluda figura lasciera’ per sempre la guida del paese arrivera’ sempre e comunque troppo tardi.
Saluti comunisti.
Prof. Giovanni Scavazza.
Mara
Meloni è molto contraddittoria quando non vota per Ursula ma poi pretende di scavalcare chi l’ha votata proponendo Fitto per la nomina a vicepresidente all’economia alla commissione europea..Non credo che ci riesca. Vediamo se baci e abbracci e calorose strette di mano alla Von der Lyen riusciranno a far raggiungere i suoi obiettivi.
Marzo Carlo
Nel frattempo il “puro” De Caro del PD in odore di mafia fa il presidente della Commissione PE più importante
Antonio ieraca’
la forza della meloni consiste dalla debolezza della sinistra ,del PD in primis ..che ha un solo merito agli occhi degli oligarchi e dei circoli finanziari della commissione europea e dei guerrafondai angloamericani : di disporre di un personale amministrativo più capace rispetto alle dx ! forse il governo delle vecchie glorie imploderà , certo il PD è scredidato fra i dipendenti,e i lavoratori ….e anche più dannoso secondo me ..vedremo come finirà la storia di Renzi,federatore dei due mondi …Berluscones e piddini ???! mah per chi lavora e per i giovani la vedo nera !