Venerdì 11 ottobre Carlos Tavares, amministratore delegato del gruppo Stellantis, si è presentato a parlare in audizione in Parlamento riguardo alle prospettive della società che amministra. Sono mesi che la sua gestione fa acqua e che le promesse sui volumi di produzione e sull’occupazione in Italia non vengono rispettate.
Nonostante ciò, Tavares ha mostrato agli onorevoli delle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato tutta l’arroganza di cui è capace la “razza padrona” europea. Il manager ha chiesto nuovi “incentivi” per spingere gli acquisti di veicoli elettrici, perché non sarebbe possibile abbassare i costi di produzione in Italia.
Secondo Tavares, le opportunità offerte dall’Italia non sono competitive, in particolare per gli alti prezzi dell’energia. Altro risultato nefasto di una reazione a catena partita con la fallimentare politica guerrafondaia promossa da Bruxelles e Washington, un elemento da non dimenticare.
Da gennaio a oggi Stellantis si è sperticata in promesse e rassicurazioni continue verso il governo, affermando che l’obiettivo era la produzione di un milione tra auto e veicoli commerciali nel Bel Paese. I dati che abbiamo oggi parlano invece di un record negativo storico: meno di 400 mila vetture prodotte.
Il risultato si riflette anche sull’occupazione. Alla nascita di Stellantis, nel 2021, erano 53 mila i suoi addetti in Italia, mentre a fine 2023 si sono già ridotti di 10 mila unità. Si stima che quest’anno arriveranno, inoltre, oltre 3 mila nuovi esuberi e Mirafiori è ferma da un mese.
Questo scenario è così tragico che persino i politici che per anni hanno foraggiato la compagnia automobilistica si sono trovati nella spiacevole – per loro – situazione di dover criticare Stellantis. È da mesi che il ministro Urso porta avanti un braccio di ferro con Tavares, ora anche Calenda e Salvini hanno attaccato frontalmente il dirigente d’azienda.
Persino il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha tirato una stoccata al collega durante il convegno dei Giovani imprenditori a Capri. Ma le loro dichiarazioni fanno ridere di un riso amaro, soprattutto se si pensa che Salvini ha chiesto a Tavares di chiedere scusa, visto come ha “mal amministrato un’azienda storica italiana“.
Innanzitutto, bisogna dire che la FIAT non è un orgoglio nazionale, ma un affare di padroni indirizzato al profitto dei padroni. È vero che dagli anni Ottanta, con l’azionariato interno, i family day e altre trovate l’intento è stato quello di rappresentare l’azienda come una comunità unita, ma la verità era che tutto ciò era parte di una ristrutturazione produttiva finalizzata a contrastare le rivendicazioni dei lavoratori. Che nel frattempo venivano licenziati a decine di migliaia (erano oltre 200.000 a fine anni ’70).
La realtà era quella di un’impresa figlia di altri tempi, in cui la produzione e la valorizzazione avvenivano per lo più sui mercati nazionali. Ma quella logica è finita, così come i grandi agglomerati capitalistici si sono slegati dalle cornici nazionali e sono diventate le multinazionali che conosciamo oggi, e così Stellantis, che doveva essere un ‘campione’ del polo imperialistico europeo.
Diradata la nebbia della propaganda salviniana, rimane il fatto che lo Stato italiano automobilistica ha effettivamente finanziato la grande firma in ogni modo, sperando di trattenerla entro i suoi confini. Ma prima FCA e poi Stellantis hanno sostanzialmente preso i soldi e sono andate a produrre dove conveniva (come le leggi del mercato prescrivono).
E allora non è una questione di scusarsi, ma di ammettere il fallimento totale della classe politica nel suo intestardito asservimento al grande capitale e alla “narrazione dei mercati efficienti”. Stellantis ha fatto cassa e non ha rispettato uno solo degli impegni presi, e dunque non servono scuse, ma serve smettere di finanziarla e pretendere indietro i soldi.
Attivando, allo stesso tempo, una politica industriale e un intervento pubblico tali da compensare (o sostituire) la ritirata dei “privati” dal Paese.
Del resto, basta vedere un po’ di dati per capire che, senza lo Stato italiano, i vertici della Stellantis – e della FIAT/FCA prima di loro – non potevano nemmeno fare il proprio lavoro. E non si parla solo di quegli stabilimenti, come Melfi o Termini Imerese, che non esisterebbero senza i finanziamenti pubblici. Ma di un intero “modello di sviluppo” che, per esempio, ha privilegiato il trasporto su gomma invece che su rotaia.
Davide Bubbico, docente in sociologia economica all’Università di Salerno, ha stimato che, tra il 1990 e il 2019, il 40% degli investimenti dichiarati dal gruppo (4 miliardi su 10) venivano da trasferimenti statali. Secondo il Registro nazionale aiuti di Stato, negli ultimi otto anni, tra cassa integrazione, agevolazioni e incentivi abbiamo pagato quasi 900 milioni di euro.
Intanto Stellantis, da gennaio 2021 a maggio 2024, ha distribuito 16,4 miliardi di dividendi agli azionisti, ed ha già annunciato che l’anno prossimo saranno più ricchi di quelli di quest’anno. Perché ce la si può prendere – giustamente – con Tavares, ma il nodo rimane il capitale, rimangono gli azionisti, rimane il modo di fare profitti privati a scapito della collettività.
Ora, tra il 2022 e il 2026 è già previsto che Stellantis riceva altri 2,6 miliardi di euro. Perché invece di chiedere delle scuse, non si fermano queste erogazioni? E magari si rimette in piedi un’industria pubblica, visto che alla fine il privato le sue attività non le può fare senza i soldi pubblici?
Non è affatto detto che serva fare una “auto di Stato”, ma sicuramente servono tante produzioni che ormai sono state delocalizzate, anche in settori strategici, e senza le quali il Paese è destinato al degrado.
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