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Il fatto che la maggioranza dei cittadini liguri abbia deciso di non votare in elezioni regionali, che pure erano state convocate per il collasso giudiziario della giunta precedente, non ha sollevato alcuna discussione nel sistema politico e nel suo corrispettivo mediatico.

Quello che a me pare il fatto più importante è diventato il tenue, scontato sfondo di analisi e proposte che stanno tutte dentro quel 46% che è andato alle urne. È meglio Renzi di Conte, o magari Grillo? E a Meloni va bene di vincere con percentuali dimezzate per il suo partito? E che faranno Schlein e Bonaccini, litigheranno? E Bonelli e Fratoianni per quale larghezza del loro campo tifano?

Politici e giornalisti di palazzo, cioè quasi tutti, si occupano del campo sempre più ristretto degli elettori attivi, il resto non interessa davvero. Del resto i politologi liberali hanno a lungo definito la riduzione della partecipazione al voto come il necessario effetto di un democrazia soddisfatta e matura. Non so se lo pensino ancora, certo che la nostra nostra democrazia più che matura sembra sempre più marcia.

Oggi non è la soddisfazione pacificata che riduce la partecipazione al voto, ma il suo esatto opposto, l’insoddisfazione rabbiosa e al tempo stesso rassegnata sulle possibilità di cambiare qualcosa della propria condizione ingiusta. È il popolo che in maggioranza non va più a votare, perché si sente sempre più suddito di decisioni immodificabili e non cittadino con diritti da rivendicare e far valere.

Oggi nella politica domina il vecchio acronimo di Margaret Thatcher: TINA, there is not alternative, non c’è alternativa.

Non c’è alternativa alla guerra e al genocidio, non c’è alternativa all’austerità economica, non c’è alternativa alla catastrofe ambientale. Chi propone vere alternative su questi temi vitali è subito tacciato di essere fuori dal mondo, ridotto ad un ruolo minoritario e, se protesta troppo, severamente punito. La competizione ammessa è quella tra chi si contende la migliore esecuzione della stessa politica, o al massimo la sua variante più mediatica .

È ovvio che la minoranza conservatrice e reazionaria, in questo campo ristretto, finisca per essere maggioranza o per dettare l’agenda alla maggioranza. Pensiamo alla questione dei migranti in Europa e negli Stati Uniti, dove è la destra reazionaria e razzista a spostare continuamente verso il fascismo la risposta ad una gigantesca questione sociale, con le forze liberal-democratiche che affannosamente inseguono.

L’Italia era il paese dove si votava di più quando c’era il più grande partito comunista dell’Occidente, ora è il paese dove si vota di meno, Nessun paese democratico ha avuto un crollo come il nostro nella partecipazione alle elezioni.

Pensiamo poi al fatto che è proprio alle elezioni regionali e per i comuni delle grandi città che vanno meno persone a votare. Ma come, la Regione ed il Comune sono le istituzioni più vicine ai cittadini, si occupano di tanti aspetti della loro vita quotidiana, eppure sono vissute come le più lontane?

Si chiamavano una volta enti locali, proprio per sottolinearne la maggiore prossimità verso le persone rispetto alle istituzioni nazionali. Ora un presidente di regione appare più distante di un presidente del consiglio. E adesso vogliono anche aggiungere l’orrore dell’autonomia differenziata.

La realtà è che la politica locale è ancora più imbragata di quella nazionale, che almeno a volte può fuggire nelle suggestioni. Negli enti locali domina brutalmente il partito unico degli affari, del cemento, delle privatizzazioni e dei tagli ai servizi sociali.

Avete capito che differenza ci fosse tra Bucci e Orlando, sulle dighe, sulle gronde, sul turismo, sulla casa, sulla sanità, sugli appalti? Io no e secondo me nemmeno la maggioranza degli elettori. La verità è che in questo campo ristretto della politica sono in tanti a salire più o meno metaforicamente sugli yacht degli armatori, anche quando non si commettono reati.

E così alla fine il cane si morde la coda: una politica sempre più escludente che viene sempre più esclusa dall’interesse dei cittadini. E al palazzo politico mediatico va bene così, altrimenti oggi avremmo riunioni su riunioni dei partiti per capire le ragioni dell’astensione, mentre gli inviati di giornali e tv sarebbero nei quartieri popolari a chiedere chi e perché non vota.

Invece non gliene importa niente. Anzi questo sistema è il loro migliore prodotto.

Hanno varato una miriade di regole burocratiche per impedire agli outsider di candidarsi. Poi hanno innalzato sbarramenti per essere eletti. Poi hanno costruito clientele e fedeltà e le hanno difese con montagne di soldi, senza i quali la campagna elettorale è proibitiva. Poi hanno i mass media e infine la selezione più radicale, quella del maggioritario. Si vota solo per chi può vincere, non per chi ti possa rappresentare meglio.

La democrazia è truccata e a chi è privilegiato dai trucchi va bene così.

Nasce però una domanda: c’è un limite oltre il quale il sistema entri in contraddizione con se stesso, una riduzione della partecipazione al voto tale da mettere in crisi il potere?

Nel suo romanzo distopico “Saggio sulla lucidità” José Saramago racconta della capitale di uno stato posta sotto assedio militare dal governo, perché alle elezioni non aveva partecipato nessuno. Arriveremo a questo? Magari no, però sarebbe ora di mettere la partecipazione al voto al centro delle preoccupazioni di chi si ritenga ancora un democratico.

Prima di tutto bisognerebbe buttare a mare il maggioritario e ripristinare il proporzionale, con vere pari condizioni per tutti i partecipanti: dovrebbero essere i cittadini a selezionare con il voto chi deve rappresentarli, non chi è già nelle istituzioni e nei mass media e vuole escludere tutti gli altri.

Solo per questa via si ricostruirebbe una politica in grado di misurarsi sulle alternative reali e non su quelle finte. Solo per questa via la destra conservatrice e reazionaria sarebbe ricondotta alle sue proporzioni reali.

Ma so perfettamente che nessuno dei principali partiti sarà mai disponibile a cambiare il sistema da cui trae alimento. Attendiamo dunque, e magari operiamo per, la crisi inevitabile di questo sistema; fino ad allora il massimo di solidarietà a chi, pur sapendo che sarà sconfitto, partecipa testardamente alle elezioni per affermare i principi di una vera democrazia.

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10 Commenti


  • Oigroig

    C’è stato un tempo in cui la strategia era la rivoluzione e la scarsa partecipazione al voto era valutata come un segno positivo di disaffezione. Oggi gran parte dei “comunisti” sono tutti a mendicare il voto divisi in mille partitini, mentre tutti ricordiamo le bugie e le infamie di Rifondazione comunista e molti non si faranno più abbindolare dalle belle parole elettorali. Un programma rivoluzionario non c’è l’abbiamo, giusto?


    • Redazione Contropiano

      Attenzione però a non scambiare gli effetti per le cause…


  • Andrea vannini

    “la democrazia é il fucile sulla spalla degli operai”.


  • Mauro

    Si,se i miei colleghi operai avessero il fucile sulla spalla mi fucilerebbero perché comunista…


  • moreno stievano

    per cambiare le istituzioni e quindi anche le regole del voto, occorre cambiare le persone, altrimenti tutto rimarrebbe come prima e tutti a lamentarsi della mancanza di democrazia ecc. ecc.


  • Ornella

    Visione scorretta parziale e non pertinente.. le analisi su astensionismo vengono fatte eccome soprattutto a sinistra. Basta denigrare anzitutto.. Sembre un modo consolidato per mantenere uno spazio di visibilità.. Certo le criticità ci sono eccome nelle forze di sinistra ma anche positive innovazionLa Liguria insegna il voto. giovanile di Genova per esempio.. Sul non voto tante sono le motivazioni , occorre approfondire


  • Enea Bontempi

    La recente tornata elettorale segna per tutte le aree politiche un vero e proprio salto di qualità nella crisi organica che attanaglia da tempo lo Stato e la stessa società italiana. Così è, a tutti gli effetti, e i risultati elettorali, per chi abbia seguìto le tappe successive di tale crisi, solo in apparenza sono sorprendenti. La delegittimazione di massa della rappresentanza politica e la ristrutturazione in senso autoritario dello Stato borghese sono infatti due facce della stessa medaglia: due facce della crisi della formazione
    socio-economica italiana che vanno continuamente osservate, organicamente inserite nel contesto internazionale e congiuntamente analizzate, poiché costituiscono il problema fondamentale che oggi si pone nel nostro paese, così come in altri paesi europei. Ond’è che, se per un verso l’astensione testimonia il distacco o, più realisticamente, la nausea e il disgusto della maggioranza delle masse nei confronti di quelle maleodoranti stalle di Augìa che costituiscono, ai vari livelli, il parlamentarismo borghese, per un altro verso va posta a tema la modificazione che, nella fase attuale dell’imperialismo, è maturata nel sistema della rappresentanza politica. Infine, a mio sommesso avviso, “chi, pur sapendo che sarà sconfitto, partecipa testardamente alle elezioni per affermare i principi di una vera democrazia”, non si è ancora reso conto che oggi, e per un’intera fase storica, la tattica elettorale è per il movimento di classe un’arma spuntata da relegare nel museo delle anticaglie.


  • Maria Rita

    È vero, il voto dovrebbe essere la dichiarazione di chi vuoi ti rappresenti, non una scelta da menù preconfezionato.


  • Oigroig

    Credo che il non voto dipenda dal fatto che non vi è gran differenza tra partiti sulle cose che incidono nel quotidiano. Oggi i governi devono stare dentro precisi parametri di politica economica decisi da istituti europei e sono soltanto il «comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese» (Marx-Engels). Avrebbe senso presentarsi alle elezioni se fosse la mediazione di un movimento sociale e di un preciso programma rivoluzionario, ma non è così… e non metto in dubbio la buona fede di tanti militanti di PAP o RC, ma lo sforzo elettorale produrrà se va bene solo buchi nell’acqua e se va male altri Bertinotti ecc. Muoversi alla cieca non aiuta e abbozzare una critica non è denigrare.


  • Pasquale

    La crisi dei partiti quelli veri del novecento, parlando per la nostra parte, la sinistra, ha messo la politica nelle mani dei cosiddetti comitati d’affari che non rispondono più agli elettori ma ai padroni di turno. Da qui comincia lo stravolgimento della democrazia e la sua stessa manipolazione inventando leggi elettorali perverse. E’ necessario invertire la rotta. Bisogna superare lo “spirito di circolo” come dice il buon Lenin e riconquistare lo “spirito di partito” che diventi egemone nella sinistra e tracci la via del cambiamento reale.

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