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Eni a braccetto con chi sostiene l’occupazione israeliana. Rompere ora gli accordi!

A fine marzo la società britannica Itacha Energy ha goduto di un forte rialzo del valore delle proprie azioni, con dividendi milionari in vista. Ha esultato l’italiana Eni, che possiede una quota consistente delle azioni della compagnia con sede nel Regno Unito, la quale si occupa di pretrolio e gas, in particolare nel Mare del Nord.

L’accordo concluso lo scorso anno tra le due realtà, in cui Eni ha conferito gli assets che aveva nell’area a Itacha, e quest’ultima ha approvato un aumento di capitale che ha permesso a Eni Uk di ottenere il controllo del 38,6% del suo capitale azionario. Ma c’è un terzo attore di questa storia, che palesa la complicità italiana nel genocidio dei palestinesi.

Infatti, stando ai dati riportati da Reuters l’azionista di maggioranza (50,7%) rimane ancora oggi Delek Group Ltd, compagnia israeliana. La Delek è uno dei colossi dell’energia dell’entità sionista, e dal 2020 è nella lista nera dell’ONU delle società che sostengono l’insediamento illegale e la colonizzazione della Cisgiordania.

Dal 2020, Delek ha un contratto di fornitura di benzina e gasolio per le forme armate israeliane, e dunque è parte integrante della filiera di morte che sta causando il primo genocidio trasmesso in diretta televisiva. Per questo, lo scorso 4 aprile, Greenpeace Italia ha presentato al ministero delle Imprese un’istanza per accertare la violazione delle linee guida OCSE sui diritti umani.

Eni – che ricordiamo essere di fatto sotto il controllo del ministero dell’Economia in virtù di una partecipazione diretta e indiretta per mezzo della Cassa Depositi e Prestiti – è posto sotto accusa per violazione del capitolo IV “Diritti Umani” delle linee guida OCSE, per non aver sostanzialmente svolto in maniera adeguata la due diligence (la verifica) dell’impatto del suo accordo.

Greenpeace chiede di recedere dalla partecipazione in Itacha, per “mitigare un impatto negativo pur non avendo contribuito a provocarlo“, come indicano le linee guida OCSE. E la richiesta chiaramente allunga le sue ragioni anche sull’impatto ambientale delle attività portate avanti in relazione alle fonti fossili.

L’obiettivo postosi dalle due società è quella di arrivare a produrre 150 mila barili di petrolio al giorno dai pozzi del Mare del Nord entro il 2030. L’operazione con Itacha è stata simile a quella che Eni Norway ha effettuato con Point Resources, creando Var Energi nella stessa regione. Insieme, Eni e Var Energi, hanno poi acquistato la britannica Neptune Energy.

L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha definito quello della società italiana un “modello satellitare“, che sta proiettando con forza i propri interessi anche verso nuove opportunità, come in Africa. Ma che mantiene stabili legami anche con ‘vecchi’ partener mediorientali, come Israele.

Il silenzio sulle complicità nel genocidio dei palestinesi, che passano attraverso legami come quello tra Eni e Delek sta diventando assordante, e non c’è voce che possa rivendicare onestà e coerenza che non chieda di tagliare tutti i rapporti, economici, diplomatici e militari, con Tel Aviv.

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2 Commenti


  • Lorenzo

    inqualificabile usare termini come “entità sionista” comuni alla più becera propaganda di Hamas, Jihas Islamica e compagnia. Vergognatevi. Fate l’embargo a Iran, Qatar e Turchia, se volete pace in medio oriente.


    • Redazione Roma

      Entità sionista è la definizione che meglio si attaglia allo stato di Israele oggi. In quanto all’embargo molti altri paesi sono stati sottoposti a embarghi e sanzioni per aver commesso molto meno di quanto Israele ha fatto contro i palestinesi di Gaza. L’inaccettabile ipocrisia del doppio standard

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