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Università: mobilitazioni, riforma Bernini e crisi di governabilità

A partire dagli interventi delle ministre Bernini, Roccella e dopo la presentazione di una prima bozza della riforma della governance universitaria, in queste settimane abbiamo visto l’università tornare al centro del dibattito pubblico sulle pagine dei principali quotidiani e dei media di questo paese.

Tutto ciò è certamente conseguenza delle forti mobilitazioni studentesche che hanno saputo fare dell’università un campo di battaglia contro il sionismo e l’asservimento della formazione al mercato produttivo e al complesso militare industriale di questo paese.

Quello che stiamo vedendo sull’università è l’esempio plastico di una crisi di governabilità che le classi dirigenti, non solo di questo paese ma dell’Occidente intero, stanno affrontando. Infatti, il “pezzo studentesco” del BLOCCHIAMO TUTTO, di tutte le mobilitazioni e scioperi per la Palestina e contro la complicità del Governo Meloni, in queste settimane si è dimostrato capace di ottenere importanti vittorie in moltissimi atenei e singoli dipartimenti, di rottura reale di accordi e meccanismi di complicità.

Nel mentre però, la necessità impellente del Governo, esecutore delle esigenze dell’Unione Europea sul riarmo e la militarizzazione, è quella di andare in senso opposto, rendendo ancora più organica l’università agli interessi imperialistici e di mercato, sia materialmente sia ideologicamente.

Ed ecco che la risposta per rimediare a quello che sta succedendo è stata quella di un’immediata blindatura degli organi collegiali dell’università e un’accelerazione sul piano della riforma.

A Bologna lo abbiamo visto negli organi collegiali, consigli di dipartimento e senati accademici, dove il rettore Molari ha estromesso dalla discussione in diversi momenti le mozioni studentesche sul boicottaggio, così come quelle che si esprimevano contro il ddl 1627 e sfiduciando il Governo Meloni chiedendone a chiare lettere le dimissioni (LINK: https://www.instagram.com/p/DP1D-CjDyF/utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== ).

Sempre nello stesso ateneo si denunciavano poche settimane fa gli studenti della facoltà di fisica in occupazione.

Il caso di Genova, dove dopo anni di rifiuto da parte del rettore Delfino nell’instaurare un qualsiasi dialogo sulle istanze portate avanti dagli studenti, Il Rettore, (LINK: https://www.instagram.com/p/DO_qvOHAjpQ/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==) la Ministra Bernini, il Consiglio Regionale e il Consiglio Comunale della sindaca ‘progressista’ Salis sono arrivati alla denuncia (LINK https://www.instagram.com/p/DP0elzaAsFq/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==) e all’attacco diretto nei confronti degli studenti che occupavano il Rettorato UniGe.

Il risultato? Addirittura la delegata del Rettore al rapporto con gli studenti è arrivata a doversi dimettere per l’impossibilità di svolgere il suo ruolo.  Bologna e Genova sono sicuramente i casi più eclatanti, ma anche in tantissime altre università si sono verificate situazioni simili: a Bari il neoeletto Rettore Bellotti ha promesso un’interlocuzione per l’istituzione di un osservatorio contro la militarizzazione dell’ateneo, promessa prontamente disattesa, e oggi sembra non voler concedere nessuno spazio dell’ateneo per un’assemblea studentesca; a Torino il Senato Accademico UniTo ha riscritto a suo piacimento la mozione proposta dagli studenti cambiandone presupposti e finalità; e così via.

Dal punto di vista dell’attacco ideologico vediamo invece la proposta del ddl Gasparri 1627 che abbraccia anche le scuole e vuole porre un bavaglio a chiunque nei luoghi della formazione critichi lo stato terrorista d’Israele o semplicemente il suo governo eguagliando ciò ad un atteggiamento antisemita.

Nel delirio generale di questa crisi di governabilità tutta interna alle classi dirigenti c’è anche chi, come la ministra Roccella, propone di abbandonare le università definendole “il luogo del non pensiero”.

La ministra Bernini invece sostiene che gli atenei vadano sgomberati dalle occupazioni e dalla politica. Chiaramente, a differenza della Roccella, per chi di università se ne occupa direttamente e prende gli ordini dal mercato e dall’UE è impensabile un abbandono di questo campo che invece è strategico per la competitività del sistema produttivo e per il riarmo e la tenuta ideologica sulle giovani generazioni.

La contraddizione è dunque sempre più evidente: la classe dirigente (che ormai sarebbe meglio definire dominante) non ha nessun interesse nel rendere accessibile l’università.

Mentre si impongono nuovi ed importanti tagli ad atenei già al collasso, di cui vediamo le conseguenze per esempio dal caso di Bologna dove sono a rischio 40 milioni di euro di borse di studio e centinaia di posti letto, il Governo ha l’unica necessità di accelerare sull’adeguamento dell’università alle esigenze di un Occidente e di un’Unione Europea alle prese con il riarmo e con la sua crisi di credibilità.

Dunque se le università devono essere per il Governo un punto di forza, in queste settimane sono state percepite da esso sempre più come un punto di debolezza.

Ciò è un sintomo importante della forza e del successo delle mobilitazioni del mondo accademico che studenti, personale TAB e docenti sono riusciti a mettere in campo dopo anni di passività.

È in questo contesto che secondo noi va letto il passo avanti che il governo sta cercando di fare con la bozza della nuova riforma consegnata proprio pochi giorni fa, che contiene il commissariamento governativo all’interno dei Consigli d’Amministrazione delle università attraverso la nomina di un componente a discrezione del Ministero, l’estensione del mandato dei rettori da 6 a 8 anni e la possibilità di confermare la carica al termine del mandato, infine un decreto ministeriale all’esame del Parlamento che mira a riportare sotto controllo diretto del MUR l’Anvur.

Questi strumenti di intervento forte dello stato nel controllo delle università, non vanno in contrasto con i fini dell’autonomia universitaria, anzi la presenza di un delegato governativo all’interno dei CdA, istituisce un nuovo meccanismo tramite il quale rafforzare la già importante e piena integrazione dell’università nelle filiere economiche.

Integrazione produttiva ottenuta nel tempo proprio grazie ai processi di regionalizzazione e autonomia, settorializzazione didattica, ridimensionamento dei fondi e formalizzazione dell’ingresso dei privati.

La questione centrale che vediamo è dunque quella di garantirsi una maggiore stabilità dei meccanismi di governance e dei processi decisionali universitari di fronte alla necesità di imporre un ritorno del keynesismo militare e fronteggiare la forte crisi d’egemonia in corso.

Altro elemento di novità, in questi processi, è stata la riqualificazione dello strumento della rappresentanza studentesca, prima ridotta ad un ruolo di mera concertazione con l’ateneo e di assolvimento di procedure burocratiche, ma che oggi invece viene riagganciata alla funzione di megafono delle lotte e delle esigenze del corpo studentesco: spalancare le porte delle stanze dei bottoni, rimettendo al centro la necessità di informare e far partecipare tutta la componente studentesca ai processi decisionali, e rompendo i ricatti delle trattative a porte chiuse della Governance, oggi alcuni rappresentanti degli studenti, combattivi, in diversi atenei d’Italia stanno ridando credibilità ad uno strumento che per anni è stato rifiutando dal corpo studentesco ed identificato come arma dell’istituzione e non propria.

Le prossime date di mobilitazione e rilancio dell’organizzazione degli studenti universitari sono: lo sciopero studentesco del 14 novembre ‘No Meloni Day’, in cui dimostrare in maniera forte al Governo l’opposizione degli studenti alla riforma Bernini; il 15 e il 16 novembre poi, in contemporanea a Roma, Bologna e Bari, si terrà l’assemblea nazionale dei giovani delle scuole e delle università “BLOCCHIAMO TUTTO PER UN MONDO NUOVO” sulla necessità di organizzazione del movimento, e rilanciare la mobilitazione verso lo sciopero generale del 28 Novembre e manifestazione nazionale del 29 novembre contro la finanziaria di guerra in cui ancora una volta scenderemo in piazza al fianco dei lavoratori.

 

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