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Napoli. Per il 25 aprile fermi, multe e repressione, attendendo la fine del lockdown

Fin dalla mattina in numerosi quartieri della città sono stati affissi striscioni che legavano la Resistenza al nazifascismo con la lotta di questi giorni per il reddito, i servizi e i diritti sociali.

A metà mattinata a Bagnoli un gruppetto di manifestanti è stato fermato dopo aver distribuito mascherine ed aver esposto uno striscione. A Piazza Municipio altri tre sono stati fermati, identificati e portati in questura dopo aver esposto uno striscione che rivendicava Reddito, Salario e Tamponi per Tutte e Tutti. In entrambi i casi venivano rispettate e ricordate le misure di distanza, perché l’ultima cosa che interessava ai manifestanti era mettere a rischio e pericolo la popolazione.

Oggi, però, la polizia ha usato modalità d’intervento più forti circondando i compagni, identificando le persone e portando in Questura alcuni attivisti ai quali è stata elevata non solo la sanzione economica prevista dal DPCM ma anche la denuncia per manifestazione non autorizzata. Il tutto – come sta diventando prassi in questi casi – con un grande dispiegamento di uomini e mezzi e con una ostentazione della forza arrogante e provocatoria.

La Prefettura di Napoli, le Istituzioni regionali e cittadini e, soprattutto, gli “esperti” della DIGOS napoletana conoscono bene la città e le problematiche sociali irrisolte e capiscono che appena il lockdown sarà allentato potranno trovarsi di fronte ad una esplosione della crisi sociale. Già nelle settimane scorse il Ministero degli Interni ha “allertato le Prefetture e le Questure per il possibile accendersi di tensioni sociali”!

Sulla base di tale consapevolezza questa mattina – il 25 Aprile – hanno deciso di non tollerare una protesta pacifica e simbolica ed hanno scelto di usare le maniere forti a mò di preavviso anticipato in attesa dei prossimi giorni quando la dura realtà dei fatti si incaricherà di ricordare a tutti che l’accelerazione della crisi economica non potrà essere scaricata impunemente sulle spalle dei settori popolari della società.

L’area metropolitana di Napoli si è caratterizzata in questo periodo di crisi pandemica come una zona del paese in cui la stragrande maggioranza dei cittadini ha dimostrato un grande senso di responsabilità collettiva osservando tutte le indicazioni in merito alla necessità del distanziamento sociale.

Parimenti, però, sono andati crescendo tutti i fattori di crisi economica che hanno peggiorato le già precarie condizioni di vita e di lavoro che attanagliano l’esistenza di decine di migliaia di persone che già – normalmente – facevano fatica ad arrivare a fine mese o a pagare un fitto per una abitazione.

E’ evidente – quindi – dopo circa 60 giorni di “quarantena” che iniziano a manifestarsi le contraddizioni sociali ed il vero proprio disagio materiale di questi settori popolari che comprendono, giorno dopo giorno, come la loro condizione sarà sempre più penalizzata dal corso prossimo degli avvenimenti.

A questa situazione si sta sommando l’assenza di un vero ed articolato piano di protezione sociale in grado di ammortizzare, per davvero, i nefasti effetti della crisi pandemica.

Tutti gli interventi fin qui varati – da quelli del Governo nazionale a quelli della Regione Campania – sono escludenti di alcuni segmenti della popolazione (quella veramente dei senza niente) e, per i cittadini che sono riusciti ad accedervi, si registrano ritardi nell’erogazione dei fondi e ci sarà un periodo temporale limitato di questi sussidi.

Inoltre, anche sul versante della tutela della Salute, si assiste ad un procedere confuso che non punta alla prevenzione delle possibilità di propagazione del contagio infettivo privilegiando un modello di gestione della Sanità fondato, esclusivamente, sulla logica degli annunci e della spettacolarizzazione con l’obiettivo di strappare simpatie e convensi in vista delle prossime elezioni regionali.

Già nei giorni scorsi decine di attivisti sociali avevano manifestato (sempre con le necessarie norme di sicurezza individuale e collettiva) sotto la sede della Prefettura a Piazza Plebiscito reclamando reddito di emergenza, allargamento dei criteri di elargizione degli strumenti di welfare e l’avvio di un piano di screanning sanitari di massa. Una iniziativa ripetuta sotto il Comune di Quarto, un paese della cintura metropolitana di Napoli.

Non poteva – a questo punto – la giornata del 25 Aprile consumarsi solo tra retorica nazionale e gli ipocriti inviti alla collaborazione tra le classi. Se i padroni vogliono i lavoratori in produzione non si può pretendere di confinare le ragioni della protesta a casa.

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