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La delega alla cultura a Napoli: tra cabina di regia e nottolismo intellettuale

Alcuni giorni or sono, commentando la nuova Giunta insediatasi nel capoluogo campano, si discuteva, su Facebook, tra addetti ai lavori afferenti al settore spettacolo e cultura.

E quel confronto avveniva – specifichiamolo – subito dopo le improvvide e sconcertanti dichiarazioni del neosindaco Manfredi, circa la delega alla Cultura.

Delega che Manfredi diceva di voler tenere per sé, asserendo oserei dire senza alcun senso della vergogna che quella stessa delega gli sarebbe servita per “distrarsi” dalle onerose fatiche della sua sindacatura.

Un’affermazione che fotografa in modo eclatante una visione dell’amministrazione delle politiche culturali – da parte dell’ex rettore dell’accademia federiciana di Napoli – quanto meno riduttiva, per non dire mortificante e meschina.

Una concezione da venditore di patate, aggiungerei senza dolermene punto.

Non è certo la concezione che ci si attenderebbe da un intellettuale di vaglia, qual è stato presentato durante l’intero arco della campagna elettorale, e qual è senza dubbio il nuovo primo cittadino di Napoli.

Or dunque, nel corso di quel confronto social, a chi sosteneva che bisognasse aspettare ulteriori sviluppi per l’assessorato – ché forse il Manfredi ci avrebbe pensato su – scrissi queste precise parole, tra il serio e il faceto: «Ripescheranno il solito Nino Daniele. Buono per tutte le stagioni. Soprattutto per tagliare nastri e presenziare alle inaugurazioni!».

Ebbene, ecco come l’altra mattina, la stampa cittadina, a cominciare da Il Mattino, titolava sulle voci che si rincorrono nei corridoi di Palazzo San Giacomo: Cultura, il sindaco punta sull’ex assessore Daniele”.

Per poi aggiungere, nel catenaccio, che il sindaco avrebbe intenzione di creare una cosiddetta cabina di regia.

Tipica espressione tecnocratica, lo sappiamo bene, dietro cui malcelare gestioni rispondenti a criteri di efficienza e produttività, in linea con le draconiane misure di austerità dettate dall’Unione Europea. Ovvero dalla Troika.

Dunque, una cabina che dovrebbe vedere, alla sua testa, l’ex inutile assessore Daniele, e che avrebbe il mandato di eseguire, inesorabilmente, la linea politica dettata dal Sindaco.

Promettendo altresì, considerati i nomi papabili a costituirne l’organigramma, di procedere spedita verso un‘idea di cultura sempre più elitaria e clientelare.

E vediamoli i nomi. Tutti di prestigio, ovviamente. Ma, altrettanto chiaramente, funzionali ad un’amministrazione che, come ha detto qualcuno, si sta modellando sui diktat della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

Si parla di Raffaele Savonardo, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi.

Di Rossella Paliotto, imprenditrice il cui profilo interesserebbe in quanto presidente della Fondazione Banco di Napoli.

E ancora di Mirella Barracco, docente, nota per aver ideato, ai tempi di Bassolino, Il Maggio dei Monumenti, ma soprattutto acerrima avversaria dell’ex sindaco De Magistris e “padrona” di uno di quei salotti buoni della sedicente “sinistra”, frequentati da artisti e intellettuali di regime e da quel demi-monde borghese di Napoli, che ama spacciarsi per “aristocrazia” dai secolari blasoni.

E di Laura Valente, ex Presidentessa della Fondazione Donnaregina del Museo Madre.

Con tali premesse, non è difficile prevedere una cultura schiacciata, come si accennava più su, sulle logiche iper-produttivistiche, manageriali e mercantili delle major e dei potentati. E sugli interessi delle conventicole e delle diverse consorterie.

Modellata secondo i canoni del più sordido e tanghero star system all’italiana. Ma, soprattutto, concepita per farne una cassa di risonanza con finalità propagandistiche.

Adatte a costruire quel consenso popolare “facile”, attraverso la declinazione di un paradigma in perfetto stile statunitense, che fa della cultura stessa una mera industria dell’intrattenimento e dello svago depensante.

Con tanti saluti, conseguentemente, al pensiero critico e alla controcultura antagonista.

Una filosofia gestionale e allocativa, inoltre, subalterna ai criteri economici e alle esigenze tipiche del settore turistico. E dunque, tutta protesa verso l’incremento del Profitto.

D’altra parte, un altro dei nomi che circolano in queste ore per la cabina di regia, è quello di Agostino Riitano.

Direttore di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022, Riitano vanta un curriculum di indiscutibile caratura. Pur tuttavia, quello che salta all’occhio immediatamente, pensando all’equazione Cultura-Turismo, è un’altra sua specifica professionale.

Riitano è, infatti, membro dell’Organisation for Economic Cooperation and Development per l’attuazione del progetto Attrattori culturali per il turismo e l’occupazione nelle regioni del Sud Italia.

Un profilo che garantirebbe, insieme a quello della neo assessora Teresa Armato al Turismo e alle Attività produttive, la perfetta combinazione di elementi che porterebbero, ancora una volta, il settore culturale, in tutte le sue diramazioni, ad essere un semplice anello degli ingranaggi turistici e della più complessa Catena del Valore!

In altre parole, quella che si viene definendo è una filosofia in linea con le esigenze del Patto di Stabilità e con le direttive del Pnrr.

Il che si può facilmente tradurre, nel linguaggio della governance neoliberista, con tagli ai finanziamenti, politica dei grandi eventi e nessun investimento in una reale pianificazione culturale che tenga conto di innovazione, sperimentazione, formazione del pubblico, territori e cultura di prossimità.

Siamo al nottolismo culturale (dal nome di Edoardo Nottola, protagonista di Le mani sulla città di Gianfranco Rosi, ndr).

Con una élite che si appresta a fare del settore Cultura e Spettacolo, nella terza città italiana per importanza e numero di Teatri, e in quella che si poteva definire, dalla prima metà degli anni ’80 fino alla prima metà degli anni ’90, la “Berlino d’Italia”, un mirabile sistema di propaganda, consenso e narcotizzazione della coscienza critica.

Il tutto, in una città dove, negli anni suddetti, fiorivano esperienze e locali underground, e dove la controcultura antagonista e alternativa nulla aveva da invidiare a capitali europee come Londra, Amsterdam e, per l’appunto, Berlino.

Una città in cui il fuoco creativo ha sempre covato sotto la cenere della normalizzazione borghese e ben pensante.

Come dite? Esagero? Sono apocalittico? Dite che si tratta di intollerabili preveggenze, che manco Nostradamus?

Dite che bisogna attendere e star a vedere cosa succederà? Intanto su Nino Daniele pare ci abbia preso.

Quanto allo stare a guardare e all’attendere, sono quarant’anni che attendiamo e stiamo a guardare…

Nel frattempo, la letteratura, il teatro, il cinema di questo paese sono passati da Calvino, Pasolini, Fortini, de Berardinis, Bene, Neiwiller, Rossellini, Petri, Antonioni ai De Giovanni, Murgia, Baricco, Sorrentino, Virzì, Muccino, Servillo, Accorsi, Barbareschi.

Fino a considerare “attrice” persino Manuela Arcuri!

Ai posteri…

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2 Commenti


  • Peppe

    Ma quando Morvillo dice che i soldi di un’amministrazione gialla dovrebbero andare a “esperienze di controcultura antagonista” è serio?


  • Vincenzo Morvillo?

    E dove lo avrei scritto? Citami il passaggio dove dico che Manfredi dovrebbe finanziare la cultura antagonista. Ma perché caro Peppe, parli senza capire? Che sconforto!

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