Il 17 maggio ad un anno esatto dalla giornata più nefasta della serie di alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna – insieme alla Toscana ed alle Marche – è stata convocata una manifestazione a Bologna.
L’appello per la mobilitazione promosso da Ecoresistenze per Cambiare Rotta ha raccolto più di una quarantina di adesioni di varie realtà bolognesi (e regionali), e lancia “una marcia ambientalista per le strade di Bologna” che partirà da Piazza dell’Unità nel quartiere della Bolognina – con il concentramento alle 1730 – e giungerà sotto il palazzo della Regione.
Comitati di quartiere come il Comitato Besta ed il Comitato No Passante, realtà ecologiste, sindacati conflittuali, collettivi ed organizzazioni studentesche hanno sottoscritto l’appello facendo crescere le adesioni in quello che va configurandosi come un vero e proprio corteo cittadino.
Tra i primi firmatari vi è Potere al Popolo che un anno fa coniugò l’attività di volontariato nei confronti dei territori e delle popolazioni colpite, con una precisa denuncia delle responsabilità reali dei disastri causati, che ha avuto come conseguenze anche atti repressivi piuttosto surreali nei confronti di due sue esponenti, tra cui la porta-voce nazionale Marta Collot che come tanti militanti ed attivisti di Pap spalò il fango https://contropiano.org/news/politica-news/2024/01/16/potere-al-popolo-si-oppone-ai-decreti-penali-di-condanna-a-collot-e-santini-0168442 .
Una attività che ebbe importanti momenti di rappresentazione di piazza proprio a Bologna, il 2 giugno con lo slogan: “soldi ai territori e non alla guerra” ed il 17 giugno con le parole d’ordine “Fermiamoli!”.
Un’attività continuata in forme differenti durante quest’anno dentro i conflitti che hanno posto la necessità della pianificazione della transizione ecologica e dei diritto alla città come uno sbocco positivo alle contraddizioni che l’attuale modello di sviluppo ha accumulato ed acuito in una iperbole distopica di cui l’alluvione dell’altro anno è stato un esempio concreto.
La manifestazione del 17 maggio perciò non è una commemorazione, né tanto meno un Amarcord di quei tanti volontari – anche giunti fuori regione – che si rimboccarono le maniche e spalarono il fango, ma un vero proprio atto d’accusa che inchioda il governo regionale uscente di Bonaccini, e quello centrale della Meloni che ha giocato ad una vera e propria “guerra tra poveri” per gli aiuti alle popolazioni colpite.
Per venerdì 10 aprile alle 10:30 si è tenuta una conferenza stampa al Parco Don Bosco, nel quartiere San Donato: un luogo divenuto un simbolo della resistenza al “sacco di Bologna” https://contropiano.org/regionali/emilia-romagna/2024/03/08/contro-il-sacco-di-bologna-la-citta-si-mobilita-0170149 da parte del Comitato Besta – e dei suoi sostenitori – che ha aderito all’appello ed è intervenuto questo venerdì insieme alle tante realtà coinvolte, tra cui le Brigate di Solidarietà Attiva.
Una lotta, quella delle Besta che è servita da volano per le tante opere inutili previste dall’alluvione di cemento con cui l’attuale giunta di centro-sinistra vorrebbe stravolgere ulteriormente il tessuto urbano bolognese e che ha segnato una frattura non ricomponibile tra i bisogni di una parte della cittadinanza e la necessità dell’amministrazione di tutelare la rendita immobiliare, al di là della faccia green e sociale con cui presenta i suoi eco-mostri.
Nel testo di convocazione della conferenza stampa si può leggere: “tante promesse sono state fatte dal governo regionale e nazionale sugli aiuti e sul fatto che tutto sarebbe cambiato da quel momento. Ad un anno di distanza possiamo affermare con ancora più certezza che si trattava delle solite parole vuote”.
Un concetto ripetuto a più voci in conferenza stampa che ha visto l’intervento anche del circolo Granma, dell’Unione Sindacale di Base e dell’Organizzazione Studentesca d’Alternativa (OSA).
Dopo i tanti “Romagna Mia” cantati ad uso di telecamere e le passerelle dei politici – tra cui la Von der Leyen e Mattarella -, il nulla e la tanta decantata “rinascita”, per molti, è rimasta lettera morta.
A far luce sui problemi non risolti è un’interessante intervista fatta a Chiara Tadini di Ravenna Today dall’emittente radiofonica bolognese Radio città Fujiko.
Centinaia di persone sono ancora fuori casa, “i ristori” – per un massimo di 5 mila euro si sono rilevati insufficienti, i danni all’arredamento non sono rimborsabili e le procedure per i rimborsi dei danni risultano molto complesse, criticità che si sommano all’ “emergenza affitti” come in tutta Italia https://www.radiocittafujiko.it/sfollati-ristori-e-cantieri-le-criticita-a-un-anno-dallalluvione-in-romagna/
Ma l’inconsistenza di tale promesse è riscontrabile appunto, soprattutto, da parte del PD nel continuare con le politiche di devastazione ambientale dal Passante di mezzo alla “distruzione” e costruzione ex-novo delle scuole Dozza e Besta, dalla gigantesca operazione di speculazione edilizia alla Pescarola denunciata recentemente dal Comitato Lazzareto-Bertalia, fino al progetto del Nodo di Rastignano, ma l’elenco potrebbe continuare.
Il piano preliminare post alluvione presentato da poco da Regione struttura commissariale non ha dato le risposte all’altezza nonostante le sollecitazioni delle organizzazioni ambientaliste, anche quelle più dialoganti con le amministrazioni.
Come afferma Paola Fagioli che fa parte del consiglio direttivo di Legambiente Emilia-Romagna ai microfono di Radio città Fujiko: “Indipendentemente dal territorio e dal cambiamento climatico il consumo di suolo è eccessivo, la legge regionale non ha dato risposte a dimostrazione che occorre utilizzare le aree più che cementificarne di nuove”.
Tornando all’alluvione di un anno fa.
Le province interessate più colpite furono soprattutto quelle romagnole di Ravenna, Forlì-Cesena e di Rimini.
Il bilancio di quella serie di conseguenze dell’alluvione che interessò dall’inizio di maggio la regione furono pesantissime in termini di vite umane perdute, di veri e propri “profughi climatici” e di ingenti danni materiali.
Le persone decedute furono ben 17 e 36 mila gli sfollati nei circa 100 comuni interessati: circa un abitante su 30 delle province più colpite, con interi comuni che andarono letteralmente sott’acqua o furono devastati dal fango, e le zone collinari tagliate fuori nei collegamenti.
Il gigante assicurativo Swiss Re aveva stimato i danni materiali in 10 miliardi, affermando che questo costituiva il più “costoso” evento climatico dal 1970.
Senz’altro la situazione era derivata da un “evento climatico eccezionale” ma non imprevedibile nel contesto degli stravolgimenti ambientali in corso che testimoniano il sempre più evidente infarto ecologico del pianeta anche nel cuore dell’Europa.
Ma questa serie di eventi sono avvenuti dentro un quadro di interazione negativa a causa dell’impoverimento delle tutele ambientali in un contesto di alto rischio idro-geologico e soprattutto dalle politiche di cementificazione attuate in regione.
Il tutto coperto dal greenwashing dell’allora coppia Bonaccini-Shlein che è stata vice-presidente dell’Emilia Romagna dal febbraio del 2020 all’ottobre del 2022, dopo essere stata euro-parlamentare negli anni precedenti, prima di divenire l’attuale leader del PD.
Straripamenti, frane e dissesti hanno impattato pesantemente il territorio, e le infrastrutture viarie e ferroviarie ed hanno messo in ginocchio il tessuto economico della regione dell’interno.
Compromesso in maniera duratura la parte più vulnerabile dei territori e della popolazione, più marginali ai processi di “valorizzazione” core del sistema emiliano-romagnolo presenti sul litorale adriatico.
La linea ferroviaria Bologna-Rimini riprese il servizio effettivo solo a fine mese, mentre solo il 23 il tratto autostradale che attraversa la regione è tornato ad essere interamente percorribile, in una lenta ripresa della “normalità” che ha lasciato ferite profonde nella coscienza dei suoi abitanti che le varie baracconate dei media non hanno lenito.
Diverse istituzioni scientifiche ed ambientaliste criticarono apertamente la Regione Emilia-Romagna per non essere intervenuta sulle problematicità del dissesto idrogeologico e sulla legislazione del consumo di suolo.
A essere messa sotto accusa è stata soprattutto l’insufficiente legge regionale n. 24 del 2017 e le continue “deroghe”.
Così Paolo Pilleri, docente di urbanistica e pianificazione al politecnico di Milano, commentando i dati ISPRA – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – dell’anno 2020-21 in una inchiesta di Fanpage del maggio scorso:
“L’Emilia-Romagna è la terza regione d’Italia per consumo di suolo con circa 658 ettari cementifici in un solo anno […] L’80% di questa superficie riguarda aree a pericolosità idraulica. […] la legge urbanistica consente di consumare in futuro il 3% dell’attuale quantità di suolo urbanizzato. Mi sono fatto dei conti: ai ritmi di cementificazione attuali l’Emilia Romagna continuerà a consumare suolo per i prossimi 7/10 anni. Insomma è una legge che non prende sul serio la questione e non coglie la sfida dei cambiamenti climatici […] con questi dati, se fossi un governatore, sarei allarmantissimo in vista degli scenari futuri”
É inutile ricordare che quell’allerta rimase inascoltata, e che il governatore in questione – Bonaccini – si è più preoccupato di preservare la sua carriera politica, candidandosi prima della fine del suo mandato alle elezioni europee del giugno prossimo, e che oggi è in piena campagna elettorale.
Con l’approssimarsi di quel nefasto anniversario si è riattivata l’attenzione su ciò che era successo da parte dei media con il fiorire di servizi giornalistici sulla stampa locale che hanno anche messo in evidenza come i problemi strutturali del modello Emilia Romagna non siano stati risolti.
Ed è chiaro che la rottura del “paradigma Emilia-Romagna” è la condizione necessaria per qualsiasi avanzamento sul piano ecologico e sociale.
Quella del 17, a cui parteciperanno anche realtà del sindacalismo conflittuale – come USB – ed esperienze di attivismo culturale – come il circolo Granma – si configura come possibilità di dare ulteriormente forza e coraggio a chi si oppone sia al governo Meloni che all’amministrazione di centro-sinistra, per costruire una vera opposizione e proiettare la propria iniziativa verso la manifestazione nazionale del 1 giugno a Roma.
Un’opportunità particolare, a cui stanno entusiasticamente aderendo realtà studentesche dei vari collettivi presenti in città e l’Opposizione Studentesca d’Alternativa (OSA).
Per le giovani generazioni che hanno maturato una coscienza ecologista sempre più radicale ma che ha difficolta a trovare sbocchi pratici “non rituali” alla propria necessità di iniziativa conseguente e percorsi di ricomposizione politica della vivace galassia ambientalista, il 17 maggio è una grande opportunità di rilancio.
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