Menu

Il parco di Aguzzano: un conflitto socio-ambientale

Il parco Regionale Urbano di Aguzzano è un importante polmone verde di 60 ettari letteralmente incastrato tra gli affollati caseggiati di Rebibbia, Casal de’ Pazzi, S. Basilio, Podere Rosa, viale Marx. Siamo nel quadrante nord-est di Roma, tra la Tiburtina e la Nomentana.

Questo “incastro” è dovuto al fatto che negli anni ‘80 del secolo scorso gruppi di cittadini e di associazioni ambientaliste si opposero con decisione all’idea che l’espansione edilizia che costruiva nuovi quartieri e strade in questa parte della città divorasse anche un lembo di agro romano che aveva fortemente caratterizzato la vita e la memoria degli abitanti delle storiche borgate circostanti. Fu uno dei primi conflitti socio-ambientali della città e fu animato dallo spirito battagliero di tre donne e dalla determinazione dell’associazione ambientalista Italia Nostra, presieduta allora da Antonio Cederna. In quegli anni, in genere sempre a seguito di forti mobilitazioni popolari, furono istituiti altri parchi cittadini e prese vita il grande Parco Regionale dell’Appia Antica. Anni dopo nacque l’ente che avrebbe dovuto coordinare e gestire questa straordinaria infrastruttura verde: Roma Natura.

Da allora il Parco di Aguzzano è stato fatto vivere solo grazie all’impegno delle associazioni del territorio. Particolarmente significativa fu l’esperienza della Biblioteca “Fabrizio Giovenale”, progettata e realizzata nei primi anni 2000 dall’associazione Casale Podere Rosa, in convenzione con l’amministrazione capitolina, e ospitata in uno dei casali storici del parco. Importante fu anche la realizzazione di un grande orto urbano e, a tutt’oggi, i molteplici interventi di manutenzione e pulizia svolti autonomamente dai cittadini e le attività sociali svolte nel casale Alba2 occupato da sei anni. Recentemente è stato studiato approfonditamente il valore ecosistemico del parco grazie a una ricerca sul campo condotta per più di un anno dell’associazione Casale Podere Rosa insieme a cittadini e studenti dei quartieri circostanti

Oggi ad Aguzzano si sta delineando un nuovo conflitto socio-ambientale. Il Municipio IV è intenzionato a destinare un altro dei casali storici presenti nel parco, il Casale Alba 1, ad una attività imprenditoriale, secondo la logica per cui “i parchi vanno messi a reddito”. A nulla sono valse finora le vivaci proteste dei cittadini e le puntuali obiezioni sollevate dalla “Rete per Aguzzano” . Tuttavia il parco è tutelato da un “Piano di Attuazione” che impedisce lo snaturamento delle destinazioni d’uso dei casali e che quindi dovrebbe rappresentare il baluardo a tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e di biodiversità.

I casali storici del parco di Aguzzano vanno certamente sottratti all’abbandono, messi al sicuro da possibili speculazioni e riempiti di progetti sociali e di contenuti, questo è lo scenario attuale del conflitto socio-ambientale. Va però sgomberato il campo da una falsa e pericolosa idea e cioè che per sbarrare la strada agli interessi speculativi di soggetti imprenditoriali si debba invocare la gestione diretta degli immobili da parte di Roma Capitale anche in sede locale attraverso società in house. Non è proprio possibile condividere una visione di questo tipo, innanzitutto perché si pone in netto contrasto con le ultra decennali lotte condotte da centinaia di realtà che hanno sempre rivendicato il diritto all’autogestione degli spazi pubblici lasciati in abbandono. Occupazioni e autogestioni che nel tempo hanno quasi sempre ottenuto forme di concessione e che tuttavia richiedono una costante vigilanza per impedirne la chiusura.

Inoltre il meccanismo delle società in house, partecipate al 100% dal soggetto pubblico, genera lievitazione dei costi a carico di tutti i cittadini e spesso comporta per i lavoratori condizioni precarie e malpagate. In generale definisce un ambito opaco nel quale sguazzano favoritismi, interessi politici, voto di scambio e varie mafiette locali.

Esiste invece, a mio avviso, un’alternativa virtuosa alla dicotomia “privato-pubblico” ed è quella dell’affidamento, tramite bando o convenzione, del patrimonio pubblico indisponibile (cioè destinato a servizi per la collettività, come sono i casali del parco) a enti del Terzo settore radicati sul territorio, soggetti per definizione senza finalità di lucro. Questa strada non solo è trasparente ed economicamente vantaggiosa rispetto alla gestione pubblica affidata a società in house, ma è anche la migliore garanzia che venga rispettata e valorizzata la vocazione, la funzione storica e l’utilità sociale di quel bene.

Certo, i casi nei quali dietro la parvenza delle finalità sociali si sono poi celati meri interessi commerciali, vanno riconosciuti apertamente e isolati senza alcuna remora. Ma invocare tout court la gestione pubblica degli immobili di patrimonio indisponibile pensando che questo possa costituire una garanzia per i cittadini, non solo condannerebbe la gran parte di questo patrimonio a rimanere nel degrado e nel disfacimento, non solo costituirebbe una lievitazione dei costi a carico della collettività, ma da un punto di vista sociale sarebbe anche uno scivolone “statalista”, molto pericoloso soprattutto in questo momento storico!

Altro punto importante nello scenario del conflitto socio-ambientale è il processo di partecipazione popolare che coinvolge la comunità locale. Su questo non si possono trovare scorciatoie, non si può ridurre il confronto a mera ratifica di decisioni prese altrove e non si può sostituire il complesso lavoro di progettazione partecipata “dal basso” con semplici adesioni di solidarietà, giuste quanto si vuole ma incapaci da sole di avviare un processo trasformativo.

I processi decisionali partecipativi richiedono una lettura attenta e a più livelli del territorio, la capacità di interpellare i cittadini e l’umiltà di ascoltarli. Richiedono di progettare soluzioni possibili, intelligenti e sostenibili in territori malfunzionanti, incapaci di fornire servizi adeguati alle necessità di vita della comunità. Illuminanti in questo senso sono le esperienze dell’occupazione dell’ex Asilo Filangieri di Napoli  e l’esperienza del comitato di cittadini per un progetto alternativo sulla rigenerazione urbana nel bosco “Prati di Caprara” di Bologna

È una strada complessa quella del conflitto socio-ambientale che si apre, ma è la sola che permette di pensare il parco di Aguzzano come un modello futuro di resilienza e sostenibilità ambientale, sul quale coinvolgere in nuove forme di governance anche le amministrazioni più recalcitranti.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • fabrizio giovenco

    Parole,parole solo parole.E intanto il Parco muore per asfissia sotto I rampicanti infestanti Che uccidono centinaia di alberi e I rovi che occupano ormai quasi 5 ettari di parco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *