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Regione Lazio. Approvato il piano rifiuti, una toppa ben poco “green”

Seduta fiume quella tenuta in Consiglio regionale mercoledì 5 agosto, dove il Pd ha approvato il tanto atteso “piano rifiuti” per il 2019-2025, due anni dopo la scadenza del precedente targato Polverini, peraltro da tempo abbondantemente “superato” perché non teneva conto della chiusura della discarica di Malagrotta.

In sostanza, il piano prevede la diminuzione della produzione dei rifiuti, l’aumento della raccolta differenziata al 70% entro il 2025 (adesso è poco sotto al 50%), la non costruzione di altri termovalorizzatori e l’obbligo di autosufficienza per ognuna delle cinque province laziali (ambiti territoriali ottimali – Ato).

In un clima da piena campagna elettorale in vista di Roma 2021, l’approvazione del piano regionale si è immediatamente trasformata in un occasione di polemica buona perlopiù a (tentare di) smuovere l’elettorato, ma che non prende in considerazione né la voce degli abitanti, né sembra attendere gli sviluppi necessari prima dell’avvio della nuova discarica che, nei piani, dovrebbe sorgere di nuovo a Malagrotta.

In breve, per tamponare (non certo per risolvere) il problema rifiuti il Pd alla Regione punta all’istituzione di nuove discariche, mentre il M5S al Comune di Roma anche se punta il dito contro Zingaretti per non aver mantenuto la promessa di “solidarietà” tra gli Ato per l’utilizzo dei Tmb, di fatto non boccia l’impianto generale.

La Lega e Fratelli d’Italia (FdI) mirano invece a inserirsi nella “diatriba di governo”, ma l’alternativa proposta sono gli inceneritori (o termovalorizzatori), soluzione inefficiente sul piano economico-energetico (consumano più energia di quella che recuperano) e soprattutto ecologico (sono altamente inquinanti, oltreché incompatibili con la raccolta differenziata), abbandonati infatti anche dalle fin-troppo-citate democrazie nordeuropee, come testimonia lo smantellamento di quello di Copenaghen.

Come ci ha tristemente abituato la politica degli ultimi anni, a mancare completamente sono sia le voci degli abitanti, che nel caso specifico sono quelle del territorio laziale, sia una pianificazione che sia in grado di dare una soluzione credibile sul lungo periodo all’annosa questione.

Due punti cardini del piano sono infatti la costruzione di una nuova discarica in Valle Galeria, a solo 600 metri in linea d’area da quella di Malagrotta – rinominata infatti “Malagrotta 2”–, e la chiusura dell’inceneritore di Colleferro con la costruzione di un compound industriale per rifiuti della capacità di 250 mila tonnellate.

Ma dalle verifiche fatte effetuare dai comitati territoriali nessuna delle due istituzioni sembra essere a norma.

Su Colleferro il comitato dei residenti segnala che lo “Studio preliminare di fattibilità” presentato nel 2019 da Lazio Ambiente SpA prevede che per un impianto del genere ci sarebbe bisogno di un territorio almeno cinque volte più grande di quello individuato, senza contare l’inopportunità di far transitare decine di camion in una località così densamente abitata.

Su Malagrotta 2 invece il Comitato Valle Galeria Libera ha da tempo prodotto i documenti necessari al rigetto del progetto, essendo il territorio dove abitano 30 mila cittadini situato sopra una falda acquifera, interessato da altri impianti ad alto impatto inquinante e non bonificato dai danni provocati da Malagrotta 1, discarica sì chiusa, ma che vede ancora in funzione il Tmb.

Proprio su questi ultimi fatti è atteso per gennaio il pronunciamento del tribunale competente, iter che tuttavia non sembra scalfire il dibattito politico in corso, la cui sordità è l’indice dell’interesse reale che muove i partiti della polemica in corso. Esempi?

Per Nicola Zingaretti l’obiettivo è quello di produrre meno rifiuti e stimolare l’economia circolare, obiettivi che tuttavia non si capisce come possano essere raggiunti con la costruzione di nuove discariche e con un parziale aumento della differenziata. Risultato,  propaganda (oltre che dovere istituzionale, inoltre in forte ritardo).

Il silenzio regionale invece su porta a porta, svolta “davvero green” e assunzioni per l’efficientamento del servizio, oltre che per la produzione di reddito, è tombale.

La sindaca Virginia Raggi bacchetta il presidente della Regione per aver sostanzialmente mantenuto il principio di autosufficienza per ogni Ato, ma delle promesse fatte (e dei voti presi) in Valle non rimane che un lontano ricordo, essendo stata la giunta comunale stessa a indicare la cava di Monte Carnevale come sito per la costruzione della nuova discarica. Risultato, magro tentativo di salvare il salvabile.

Il capogruppo della Lega in Consiglio regionale Orlando Tripodi afferma che contro il manifesto ideologico del piano rifiuti la soluzione sarebbero stati i termovalorizzatori, mentre per Stefano Parisi di FdI il piano è ideologicamente contro le imprese private. Risultato, un capolavoro liberista di privatizzazione e insostenibilità ambientale, quello che ha guidato il declino del paese (dal Ponte Morandi al dissesto idrogeologico, dai tagli alla sanità pubblica all’Ilva di Taranto, tanto per fare alcuni esempi) negli ultimi trent’anni.

Contro tutto questo odioso teatrino, ancora una volta, l’“arma” in mano alle comunità che abitano, vivono e attraversono i territori interessati, come scriveva ieri Dante Barontini a proposito della questione del lavoro, è quella di «mettersi in movimento», affinché la classetta politica sia costretta a riconoscerne i diritti.

Aspettando (con fiducia?) che la giustizia faccia il suo corso.

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