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Roma. L’autodifesa delle donne e l’esperienza del Black Panthers

Intercalare del tempo era: “E questo a che serve per liberare il popolo?”. Ero dogmatica e insofferente, ma potevo ballare per ore! Devota alla rivoluzione nera e al programma in dieci punti, cominciai a fare il duro lavoro nella comunità richiesto a tutte le Pantere col bimbo in braccio, organizzai donne povere come me, progettai e mandai avanti scuole libere, scrissi lettere per gli analfabeti, mi battei per la casa, diffusi il giornale. Feci lavori pericolosi e studiai Hegel, Marx, Lenin, Fanon, Mao come uno zelota religioso, assieme ai fratelli” (Naima Major).

Con queste parole abbiamo concluso mercoledi nella Facoltà di Fisica occupata della Sapienza la presentazione dell’opuscolo “Comrade Sisters: organizzazione e autodifesa delle donne nelle Pantere Nere” a seguito del quale abbiamo proiettato il documentario “Black Panthers: Vangard of the Revolution”.

Giovedi abbiamo discusso e ragionato sul ruolo del Black Panther Party for self defense come modello che ha attaccato dall’interno con una lotta ampia e capillare il modello statunitense capitalista e imperialista. E come questo sia stato non solo partecipato in ampia parte da donne, ma guidato da esse, senza distinzione di ruoli di genere nei compiti svolti all’interno del partito. Le Black Panthers ci hanno mostrato come le donne si possano disfare dai panni di vittime che ci mettono addosso e ci si possa riappropriare della lotta a tutti i livelli, dall’organizzazione delle mense popolari all’autodifesa armata.

Le Black Panthers ci hanno mostrato un esempio di cosa vuol dire autodifesa collettiva e di classe e da qui vogliamo ripartire per rilanciare la nostra lotta, verso il 25 novembre e ben oltre. Continuiamo ad organizzarci e a lottare con le donne delle nostre periferie, dentro le scuole e le università, nei posti di lavoro e per le strade.

Le Donne de Borgata di autodifendono per non essere mai più vittime.

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