Altro che sobrietà per la morte del Papa! A Torino, ottant’anni dopo l’inizio dell’insurrezione generale che avrebbe liberato la città dai nazifascisti, la pretestuosa raccomandazione di un secondario ministro della Repubblica è stata respinta con la forza della militanza e del ragionamento politico.
Azzeccata l’idea dei compagni e delle compagne dell’area di Potere al Popolo! di convocare un concentramento alternativo, dopo i percorsi nelle assemblee pubbliche per la tradizionale fiaccolata del 24 aprile tesi a smuovere altre realtà sensibili alla questione del riarmo europeo. Una soluzione volta a marcare nettamente le differenze rispetto all’antifascismo da salotto, in realtà guerrafondaio, dell’amministrazione guidata dal sindaco Stefano Lo Russo.
Il punto rivendicativo dell’appello ruotava tutto intorno alla critica di “Torino città della guerra”, gridato forte e chiaro allo sfilare del corteo ufficiale in via Cernaia angolo piazza Solferino, dove è avvenuto l’incontro con l’area di PaP!.
I duecento militanti (molti giovani) posizionati dietro lo striscione “Antifascismo è pace e disarmo” non aspettavano altro che rivolgere una serie di slogan contro lo spezzone della sinistra imperialista del PD e suoi cespugli vari, degli europeisti con l’elmetto seguaci di Michele Serra, antirussi e fautori del sostegno alla giunta nazi-golpista di Kiev (a proposito: complimenti per l’antifascismo!), oltre che complici del genocidio del popolo palestinese.
Attaccati anche il sindacalismo concertativo della CGIL, la giunta comunale e ovviamente il governo della signora Giorgia Meloni, “fascista dentro” e nemica di classe, come dimostra il recente provvedimento (ex Disegno di Legge 1660) sulla restrizione degli spazi di democrazia reale e di repressione delle voci conflittuali verso lo stato di cose presente. Ed ecco allora un assaggio degli slogan urlati in faccia ai reazionari di tutte le specie: “Destra e sinistra, noi non ci fidiamo. L’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo”, “Il 25 aprile non è una ricorrenza. Ora e sempre resistenza”, “Fascista attento, ancora fischia il vento”, “Torino lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume al mare”, “Ma quale pacifista, ma quale riformista, Unione Europea gabbia imperialista”, etc.
Dopo la confluenza nel corteo tutti i manifestanti si sono riversati in piazza Castello, dove quasi subito i settori politicamente più avanzati hanno occupato il palco, costringendo di fatto i rappresentanti istituzionali e la polizia a indietreggiare. Ma la serata non era ancora finita: PaP!, Rete dei Comunisti, Unione Sindacale di Base, organizzazioni studentesche, No TAV e UDAP, forti della convinzione di doversi smarcare da un 25 aprile meramente celebrativo e vuoto di contenuti politici, hanno puntato dritto verso Palazzo di Città. Lì polizia e carabinieri hanno riservato ai quattrocento sinceri antifascisti accorsi un “privilegiato” rapporto uno a uno.
Tutto però è filato liscio. Un fantoccio del sindaco Lo Russo vestito da soldato è stato bersagliato da meritati lanci di frutta e verdura marcia, le foto del criminale Benjamin Netanyahu e di Ursula Von der Leyen bruciate, una bandiera dell’Unione Europea incenerita, mentre quella della Palestina veniva srotolata come un grande lenzuolo e alcuni agili compagni salivano sulla statua del Conte Verde per sventolare ancora, con Gaza nel cuore, contro il TAV e per la giustizia sociale.
Gli interventi hanno ribadito le rivendicazioni di fondo della mobilitazione: sì alla spesa sociale, no all’economia di guerra e al piano di riamo dell’Unione Europea; no alla riconversione di Torino a città della guerra e della morte; no al TAV e all’uso della Val di Susa come corridoio militare europeo; stop al genocidio in Palestina ad opera dell’entità sionista, per una pace vera e duratura in tutto il continente.
Il 24 aprile 2025 a Torino l’antifascismo militante s’è voluto idealmente collegare alla lotta di classe che ottant’anni fa vide protagonisti i partigiani contro il regime. Il fascismo portò guerra e povertà, uccise lavoratori e sindacalisti, cercò (non riuscendoci) di impedire al cervello del nostro grande maestro Antonio Gramsci di funzionare, e poi non va dimenticato che la politica economica del ventennio fu tutta favorevole agli interessi della borghesia. Innanzitutto contro la violenza di classe fascista lottarono i partigiani.
Anche oggi un’organizzazione rivoluzionaria di massa deve saper leggere in profondità la realtà sociale. Deve cioè essere in grado di “dimostrare” come i processi epocali in atto a livello internazionale finiscono per peggiorare, se non addirittura stravolgere, la vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Le guerre commerciali, i piani di riarmo, l’arricchimento predatorio dei padroni, la militarizzazione della vita civile, la repressione, tutti questi cosa sono se non gli strumenti utilizzati dall’imperialismo per la conservazione dei rapporti di dominio?
La più sottile forma di revisionismo storico è quella che cerca di slegare l’antifascismo dall’analisi della riproduzione sociale complessiva e dalla radicale messa in discussione del capitalismo e dell’imperialismo. Il modo in cui, a Torino, la componente politica più seria e vivace ha interpretato la manifestazione del 24 aprile segna una tappa importante nel percorso, già avviato, di un nuovo inizio della lotta e di una passione durevole per l’emancipazione. Per mandare al tappeto la vera destra bisogna chiudere in un angolo la falsa sinistra.
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