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Torino. Gli studenti in piazza hanno detto chiaramente No al riarmo

Se lo ficchino bene in testa i signori della guerra: il movimento studentesco di Torino è sempre più deciso nel dire no al riarmo. Le parole d’ordine pronunciate dai giovani delle scuole e dell’università durante la mobilitazione di venerdì mattina lungo le vie della città, con il bel corteo che si è mosso da piazza XVIII Dicembre per poi urlare le proprie ragioni sotto la sede degli industriali, alla porta dell’Ufficio Scolastico Regionale e a Palazzo Nuovo, prima di concludersi con musica e balli in piazza Vittorio, non rimarranno isolate, ma saranno continuamente riprese per organizzare la risposta conflittuale e di massa contro l’economia di guerra dell’Unione Europea, contro l’imperialismo e contro lo sfruttamento generalizzato.

Con l’appuntamento del 4 aprile, l’Opposizione Studentesca d’Alternativa ha lanciato l’Allarme Rosso, dieci rivendicazioni da sbattere in faccia al ministro “Valditara sceriffo”, contestato duramente anche dalla piazza di Torino, dove quasi in duemila hanno partecipato alla giornata di lotta. No dunque al ReArm Europe e all’aumento del 12% delle spese militari, perché i soldi devono andare alla scuola e non alla guerra; abolizione dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento, perché ce la chiedono Lorenzo, Giuseppe e Giuliano; introduzione dell’educazione sessuo-affettiva, perché il patriarcato e la violenza si sconfiggono nella aule con la cultura; ritiro della riforma con l’insegnamento del latino opzionale alle medie e lo studio della Bibbia nell’ora di storia, perché di tutto hanno bisogno le studentesse e gli studenti tranne che di ulteriori divaricazioni classiste e di sparate confessionali; ritiro delle modifiche dello Statuto degli studenti e della riforma del voto in condotta, perché sono entrambe figlie di una logica meramente punitiva e repressiva; fondi per l’edilizia, perché una scuola su tre ha bisogno di interventi di manutenzione urgenti; assunzione e stabilizzazione del personale, perché il precariato dei docenti è una profonda ingiustizia anche per le ragazze e i ragazzi; solidarietà politica con la resistenza palestinese, perché il sistema di istruzione nazionale è legato a doppio filo con l’entità sionista e genocidaria di Tel Aviv; per una politica di contrasto al disagio psicologico, semplicemente perché i giovani stanno male; per una scuola che faccia dell’antifascismo militante la sua bandiera culturale, perché i liberaldemocratici, magari lettori di Repubblica, e i revisionisti hanno veramente stufato.

A Torino non solo Valditara è finito nel bersaglio di questo rinnovato protagonismo giovanile; una volta in piazza Castello è infatti scattato un fitto lancio di pomodori contro le foto di Meloni, Von der Leyen e del criminale Netanyahu, mentre un trattamento di favore è stato riservato alla ministra dell’Università e della Ricerca Bernini, rappresentata da una statuetta di cartone ritraente un somaro.

Gli universitari di Cambiare Rotta si sono fatti sentire ricordando che servono almeno 10 miliardi di euro per la ricerca, lo sblocco immediato delle borse di studio, un piano di investimento straordinario in studentati pubblici, mense gratuite, agevolazioni per i pendolari e i fuorisede, un piano di edilizia universitaria, la creazione dei Centri Antiviolenza in ogni sede accademica, lo stop agli accordi con le industrie belliche e con Israele, lo stralcio (nel frattempo avvenuto) dell’articolo di legge sull’obbligatorietà della comunicazione di informazioni ai servizi segreti, il definitivo abbandono della riforma (per ora solo sospesa) del preruolo, la regolarizzazione dei docenti e del personale. Una serie precisa e ragionata di rivendicazioni, per dare la sveglia a Bernini, brava solo a tagliare 700 milioni in tre anni.

A supporto della giornata di lotta ottimamente organizzata dal movimento studentesco cittadino, è scesa in piazza anche l’Unione Sindacale di Base, che per venerdì aveva indetto uno sciopero nazionale del settore scuola (oltre che dell’università).

La piattaforma di proclamazione puntava il dito contro la gestione autoritaria e retriva del dicastero dell’Istruzione, che sta portando indietro di decenni tutto il comparto, dal punto di vista sia culturale sia lavorativo. USB ha ribadito le richieste di sempre, fra cui un rinnovo contrattuale che restituisca dignità e potere d’acquisto alle lavoratrici e ai lavoratori, ovvero 300 € di aumenti netti per recuperare l’inflazione reale al 17%; l’abolizione di qualsiasi chiamata diretta dei docenti; la trasformazione dell’organico di fatto in diritto; un nuovo piano di immissioni; una formazione seria e gratuita, non i percorsi abilitanti a 2.500 €; la contrarietà al “4+2” di tecnici e professionali, che finirà per piegare completamente la didattica alle esigenze del mercato; no pure alle recenti linee guida per il primo ciclo, ai presidi un po’ manager un po’ sceriffi e alla presenza di poliziotti e carabinieri in cattedra a tenere lezioni al posto dei docenti. Tutti temi su cui i candidati USB stanno cercando di fare leva in questi ultimi giorni di campagna elettorale per il rinnovo delle RSU.

Anche a Torino è allora davvero giunto il tempo di lanciare l’Allarme Rosso, di praticare il conflitto sociale, di riprendersi diritti e dignità. Torino non deve essere la città della guerra, di Leonardo e dell’aerospazio. Facciamo giustizia: formiamo un mondo diverso!

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