Chi conosce la Sardegna dal punto di vista turistico forse rimarrà sorpreso. Bosa è uno splendido quanto atipico paese della costa occidentale, costruito sul fianco di una collina sul “modello genovese”, con case a torre (salendo di quota spesso si può entrare indifferentemente dal piano terra o dall’ultimo), tutte colorate diversamente in modo da dare ai pescatori in mare il riferimento visivo della propria casa.
Solo settemila abitanti, molti dei quali attivi nei servizi turistici (dall’alberghiero alla ristorazione, ecc) e ben poco noti per la partecipazioni alle proteste. Ma è anche un settore che fa circolare idee, culture, tradizioni. Un settore, però, che ha bisogno della pace anche solo per restare in equilibrio, perché la guerra ne “sanziona” buona parte del potenziale.
Eppure, sabato mattina, sotto un sole primaverile comunque cocente, oltre un centinaio di persone si è data appuntamento nella piazza principale alzando la bandiera palestinese tra turisti sorridenti e in varia misura “comprensivi”, ascoltando musica e poesie, descrizioni crudissime del mattatoio gazawi, testi di Francesca Albanese e tanti altri, messaggi provenienti dalla Freedom Sumud Flotilla.
Un piccolo segno della generale “rottura degli argini” che ha scosso non solo la popolazione delle metropoli, ma ogni anima vivente che pretende di vivere in un mondo a misura d’uomo e non di “imprenditore della Riviera” o dei giacimenti di gas.
Sì, Gaza è il Vietnam di questo secolo per quel che riguarda la coscienza dei popoli. Per decenni resterà comunque il marchio di infamia di un modello sociale vomitevole e criminale, che non arretra davanti ad alcun orrore.
Sì, Israele è quel buco nero della civiltà capitalistica occidentale che ne svela la natura profonda e ne sta anticipando il collasso economico, politico, forse anche militare. Ma soprattutto morale.
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