Menu

Firenze. Lettera aperta al Presidente della Comunità Ebraica fiorentina Enrico Fink

Caro Presidente,

la ringraziamo per la sua risposta e riteniamo molto importante un dialogo con la comunità che lei rappresenta, augurandosi che possa preludere ad un rapporto più costruttivo.

Questo dialogo può e deve essere basato sui valori fondamentali che tutti dovremmo condividere, quelli scritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che è alla base del diritto internazionale, e nella nostra Costituzione. Valori che implicano il rifiuto di qualsivoglia discriminazione su base etnica o religiosa.

Il nazionalismo, quella ideologia che fonda l’idea di nazione sull’appartenenza etnico/religiosa e che ha prodotto così tanti orrori negli ultimi due secoli, il peggiore dei quali è senza dubbio l’Olocausto, non potrà mai essere un terreno comune. Per questo motivo non abbiamo voluto credere che i colori sventolati davanti al tempio fossero quelli di una nazione, ma che rappresentassero un messaggio più universale, nel solco della millenaria cultura ebraica che consideriamo uno straordinario patrimonio di tutta la nostra società.

A questo proposito non comprendiamo le sue parole di condanna per le istituzioni internazionali, il cui lavoro si fonda proprio su quei principi universali. Sia l’Unicef che la CRI, il cui mandato è umanitario e non politico, hanno chiaramente espresso la loro vicinanza alle vittime della violenza da ogni parte. E le Nazioni Unite non si sono limitate alle parole. L’agenzia che da 75 anni si fa carico dell’assistenza umanitaria per i profughi palestinesi e si occupa in particolare di istruzione, l’UNRWA, ha pagato il suo impegno a Gaza con un prezzo altissimo. Al 13 novembre, si contano 101 vittime fra i suoi operatori. È il massacro più grave in tutta la storia dell’ONU. Quelle persone erano insegnanti, educatori, operatori sociosanitari. Uccisi dalla violenza cieca e indiscriminata dei bombardamenti israeliani, che hanno inseguito la popolazione civile di Gaza anche in quelle strutture sotto l’egida internazionale dove cercava riparo.

Ci dispiace anche che lei percepisca in modo così negativo la nostra voce in difesa di una popolazione oppressa, quella palestinese, a cui da 75 anni sono negati i diritti più fondamentali, quello all’esistenza e quello all’autodeterminazione. I nostri canali di comunicazione offrono materiale che riteniamo utile a conoscere la questione palestinese. Riflettono opinioni diverse, spesso anche di autori israeliani, che non necessariamente condividiamo, ma che mostrano il punto di vista degli oppressi, che non trova spazio sui media mainstream del nostro paese, allineati quasi totalmente con le posizioni dello stato israeliano.

Una popolazione che vive sotto occupazione militare ha il sacrosanto diritto alla resistenza, anche armata. Non è solo una nostra opinione, è il diritto internazionale. Ma noi non facciamo e non abbiamo mai fatto il tifo per la violenza. Pensiamo che il nostro ruolo sia quello di cercare la via della pace, attraverso la giustizia, i diritti e la solidarietà. Come potrà vedere dal nostro sito web, le nostre iniziative umanitarie sono concentrate sul sostegno socio-sanitario e sull’adozione a distanza di bambini in età scolare, in particolare nei campi profughi, dove le persone vivono sfollate dalla nascita.

Viceversa, visitando il sito web della vostra comunità, ci rattrista profondamente, e francamente ci sciocca, leggere di raccolte fondi, fra le altre cose, in favore dell’esercito israeliano, con tanto di banner pubblicitario per quella che chiamate “operazione spade di ferro”.

È quella mostruosa operazione militare che sta uccidendo la stragrande maggioranza dei bambini vittime di questa guerra. E che le sue parole purtroppo sembrano giustificare, quando dichiara, almeno secondo la stampa e ci piacerebbe ricevere una smentita, che “Vorremmo che le armi tacessero, ma per chiedere pace bisogna contestualmente chiedere la liberazione immediata degli ostaggi e fare in modo che vengano smantellate le organizzazioni terroristiche”.

Come non c’è giustificazione per le atrocità contro i civili da parte di Hamas nell’attacco del 7 ottobre, non ci può essere alcuna giustificazione per la mattanza dei civili a Gaza. E non possiamo neanche credere, conoscendo la sua intelligenza, che lei sia veramente convinto che la pace, la liberazione degli ostaggi e la fine del terrorismo possano essere ottenuti sganciando dagli aerei migliaia di bombe da due tonnellate su quartieri fittamente abitati, che sono spesso dei campi profughi per gli sfollati del 1948. Questa è la sesta “operazione” di questo tipo su Gaza, negli ultimi 16 anni di blocco imposto alla Striscia. Un blocco a cui nel 2018 la società civile di Gaza tentò di opporsi in modo pacifico con la “Grande Marcia del Ritorno”. La risposta fu il tiro al bersaglio dei cecchini dell’IDF su persone disarmate, che provocò, nell’indifferenza generale, almeno 223 morti e migliaia di amputati. È evidente che queste politiche, oltre ad essere criminali e disumane, abbiano solo rafforzato l’estremismo e i gruppi ispirati dal fondamentalismo islamico come Hamas, cosa che d’altronde era prevedibile e preventivata.

Le garantiamo che nessuno di noi soci, italiani e palestinesi, si identifica con questa ideologia fondamentalista. Vorremmo anche noi vedere la “completa smilitarizzazione” che lei propone, ma deve essere da entrambe le parti, perché non ci sono esseri umani di serie A che hanno il diritto ad essere armati fino ai denti ed altri che devono vivere disarmati. A meno che lei non pensi, come il ministro della difesa israeliano Gallant, che gli abitanti di Gaza non siano normali esseri umani ma degli “animali umani” che possono vivere solo rinchiusi in gabbia e guardati a vista. O forse pensa ad una smilitarizzazione come quella che le organizzazioni palestinesi accettarono in Libano nel 1982, quando i civili nei campi profughi di Sabra e Shatila furono messi sotto la protezione internazionale con un solenne accordo. Immaginiamo che lei conosca il seguito della storia.

Quando parliamo di riconoscersi nella nostra umanità, pensiamo al diritto di tutti i bambini che nascono nella popolazione palestinese di essere cittadini di uno stato di diritto, israeliano o palestinese che sia. Diritto che è già riconosciuto alla popolazione israeliana, compresa quella che vive nelle colonie all’interno del territorio occupato. Invece, come sicuramente sa anche lei, dal 1967 Israele nega ai 5 milioni di palestinesi che vivono sotto il suo controllo a Gaza e in Cisgiordania sia il diritto alla nazionalità israeliana, sulla base di una discriminazione su base etnica, che quello alla creazione di uno stato palestinese indipendente e sovrano su quei territori.

Noi pensiamo che la strada per la pace passi dal riconoscimento di questi diritti, non dalle “spade di ferro”. Vorremmo piuttosto vedere, secondo l’adagio pacifista di ispirazione biblica, “trasformare le spade in aratri” (Isaia 2,4). E sono in tanti i compagni di viaggio nel mondo ebraico che la pensano come noi, come la rete italiana ECO, il grande Moni Ovadia, la notevole organizzazione statunitense Jewish Voices for Peace, l’organizzazione israeliana B’tselem che non ha paura di denunciare il proprio paese come uno stato di apartheid che persegue un progetto suprematista, in linea con le conclusioni delle principali organizzazioni in difesa dei diritti umani del mondo occidentale, come Amnesty International o Human Rights Watch. Sappiamo bene, come lei ci ricorda, che la violenza di Hamas si è abbattuta ciecamente anche su comunità e persone che facevano parte di questo mondo. I sopravvissuti e i parenti di questi attivisti che hanno perso la vita continuano, con un coraggio che non possiamo che ammirare profondamente, a denunciare l’ingiustizia di fondo alla base della violenza e a chiedere di non commettere altre atrocità in nome dei loro cari.

Se la vostra comunità decide invece di schierarsi, come traspare dalle sue dichiarazioni, con le attuali politiche dello stato di Israele, non sarete certo soli. Una parte maggioritaria del mondo politico nel nostro paese difende Israele a spada tratta qualunque cosa faccia, per primi quelli, come l’attuale presidente del Senato, che hanno raccolto l’eredità politica dei tifosi della nazione ariana.

Sta a voi scegliere con chi volete condividere il vostro cammino e le vostre lotte. Noi ogni giorno aspettiamo i messaggi dei nostri amici a Gaza, che hanno raramente la possibilità di farci sapere se sono ancora vivi e che cercano di raccontare un orrore che le parole non possono descrivere.

È una sfida difficile, ma cerchiamo prima di tutto di restare umani.

a nome dei soci dell’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus

la Presidente

Barbara Gagliardi

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • romario

    A lavar la testa all’asino si sprecano acqua e sapone. Le comunità ebraiche sparse per l’Italia pullulano di estremisti religiosi e fanatici suprematisti di estrema destra. Serve un boicottaggio economico e politico a 360 gradi contro Israele da parte sia del sud del mondo che del nord globale, sempre se a quest’ultimo rimane un briciolo di dignità (a cominciare dall’Italia). Ma ci credo poco. La cosa peggiore sarebbe un ritorno alla “normalità” dopo quest’ennesima mattanza. Israele va isolato dal resto del mondo e boicottato ovunque senza se e senza ma.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *