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I pesi e le misure (parte prima)

A quanto pare è più facile beccarsi 11 anni per aver dato due calci a una vetrina durante il G8 di Genovache varcare le soglie di una galera dopo aver ammazzato decine (ma anche centinaia o migliaia) di operai. Si nota una certa sproporzione quando si scopre che la condanna degli ex dirigenti Michelin di Torinoper 11 morti e 14 malati gravi è di poco superiore a quella comminata a un immigrato per il furto di 4 mele.  Mentre vi lascio a meditare sul concetto di “giustizia di classe”, approfitto per fare il punto sullo stato di alcuni processi per stragi sul lavoro e disastri ambientali.

Hoffmann-La Roche/Icmesa di Seveso

Ricorrono  esattamente trentasette anni da quel 10 luglio 1976, quando saltò il sistema di controllo della temperatura del reattore A101 nello stabilimento Icmesa, ai confini fra i comuni di Meda e di Seveso. Dopo 37 anni non sono però ancora finite le conseguenze sull’ambiente e sulle popolazioni, e neanche gli strascichi giudiziari.

Il reattore dell’Icmesa conteneva  triclorofenolo, un componente per diserbanti (compreso l’Agente Orange) che a 350° e più si evolve in TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina), una delle peggiori diossine. La TCDD provoca danni gravissimi alla pelle, al cuore, ai reni, allo stomaco, al fegato, al sistema linfatico . E’ cancerogena e  mutagena, interviene sul corredo cromosomico degli individui e sui feti, diminuisce la fertilità e la capacità riproduttiva, produce difetti alla nascita e danni embrionali, intacca il patrimonio immunitario. Un solo grammo di diossina può contaminare migliaia di persone. Dall’Icmesa di Seveso si stima che ne uscirono 18 chili.

Da subito si estesero a macchia d’olio le morie fra gli animali, i malori fra la popolazione e i casi di cloracne che sfiguravano gli abitanti. Ma è negli anni a seguire che si vedranno i risultati peggiori, con la conta dei bambini malformati (erano otto nel 1975, salirono a novantacinque nel ‘ 76, centoventi nel ‘ 77, centouno nel ‘ 78), oltre a percentuali crescenti di mortalità alla nascita. Un’indagine sulla mortalità in zona tra il 1976 e il ‘ 91mostra  aumenti vertiginosi dei tumori di pancreas, vescica, pleura,  retto,  fegato, ossa, cervello e tiroide, dei linfomi di Hodgkin e leucemie.

Chi ha pagato per tanto dolore ? La giustizia penale ha chiuso il discorso nel 1986 assolvendo il presidente dell’Icmesa Guy Waldvogell, il responsabile tecnico Giovanni Radice, e il progettista del reattore Fritz Moeri. Al sindaco di Meda, Malgrati, e all’ufficiale sanitario Ghetti erano già stati prescritti in primo grado i reati relativi ai mancati controlli. Il direttore tecnico Icmesa Herwig von Zwehl si è beccato due anni, e un anno e mezzo Jorg Sambeth, direttore tecnico della Givaudan. Non è arrivato a processo il dirigente Icmesa Paolo Poletti, ucciso da Prima Linea il 5 febbraio 1980.

Lo scorso 22 aprile la Corte di Cassazione ha definitivamente respinto le richieste risarcitorie di 326 sevesini abitanti nelle zone non bonificate. Perché se è vero che il TCDD  permane nel terreno anche per un secolo,  per la Corte non permane il reato. Gli abitanti restano gli unici veri condannati a 100 anni di diossina.

Michelin di Spinetta Marengo

Presso il Tribunale di Alessandria si sta celebrando il giudizio di primo grado per  la morte di dodici operai Michelin di Spinetta Marengo e per le lesioni gravi e gravissime nei confronti di altri sei, ancora vivi ma ammalati di cancro (prevalentemente ai polmoni ed alla prostata). Per anni sono stati esposti al talco di Balangero (contenente fibre di amianto), all’amianto delle coibentazioni, alle amine aromatiche, all’olio aromatico, al nerofumo. Il tutto senza protezioni, in condizioni di lavoro infernali e sotto un clima intimidatorio. Questi 18 operai non sono né i primi né gli unici: dal 1970 al 1990 l’ISTAT aveva stimato 53 morti per tumore su 112 operai Michelin deceduti nel periodo. Il 47, 4 %, una percentuale molto al di sopra delle medie piemontesi. Attualmente sono imputati cinque dirigenti dell’azienda dal 1971 al 1994: Gian Carlo Borella (87 anni), Giovanni Alberti (87 anni), Emilio Toso (78 anni), Bartolomeo Berello (70 anni) e Jean Michel Belleux (62anni). Gente che, a giudicare dall’età e dal fatto che entro il 2014 i reati andranno in prescrizione, non  conoscerà la cella, né vedrà mai intaccati i propri beni (ché anche se le vittime intentassero una causa civile se ne riparla fra 15 anni).

Eureco di Paderno Dugnano

E’ il 4 novembre del 2010 quando all’Eureco di Paderno Dugnano esplode una miscela di gas. L’Eureco è una ditta autorizzata a ricevere rifiuti industriali, stoccarli e poi cederli ad altre imprese per lo smaltimento. Il titolare, Giovanni Merlino, per guadagnare di più, vuole che i bidoni sigillati vengano aperti e i materiali speciali mescolati a materiali comuni, etichettati come rifiuti “normali” e smaltiti a costi inferiori. Nel cortile dove avvengono le operazioni c’è un cassone dove nei giorni precedenti sono stati riversati i ‘setacci molecolari’, sostanze usate per filtrare il gpl, che in contatto con l’umidità rilasciano gas infiammabili. Basta la scintilla di un muletto e il cassone prende fuoco, esplode. Rimangono ustionati 7 operai, dipendenti dell’Eureco e di una cooperativa d’appalto fittizia. Quattro di loro muoiono nei giorni seguenti, dopo lunghe sofferenze. Merlino, all’epoca dei fatti ha già un bel curriculum: ha un altro operaio sulla coscienza, morto nel 2005 alla Cr di San Nazzaro (una delle sue aziende), per cui ha patteggiato un anno e quattro mesi, e un’accusa per frode fiscale. Aggiunge al curriculum l’imputazione di omicidio colposo plurimo, lesioni e incendio colposo, traffico illecito di rifiuti, violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Dall’inizio il processo prende una brutta piega: il GUP esclude la costituzione di parte civile di Medicina Democratica, A. E. A., Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco, Anmil, Allca Cub Chimici. Non viene considerata la recidivia dell’imputato e si concede a Merlino il rito abbreviato, che riduce automaticamente la pena di un terzo. Più volte il GUP  invita a chiudere la questione con un accordo risarcitorio tramite l’assicurazione dell’Eureco, facendo leva sulle gravi difficoltà economiche delle famiglie degli operai, e senza mai, peraltro, forzare gli imputati ad esporsi direttamente. Non viene effettuato un sequestro preventivo dei loro beni. La difesa cerca di scaricare le colpe del rogo sui lavoratori bruciati vivi.   Il primo grado si è concluso il 23 aprile con una condanna a cinque anni, già impugnata dalla difesa. Le vittime italiane e il loro familiari hanno ricevuto un parziale anticipo provvigionale da parte dell’assicurazione dell’Eureco, mentre l’operaio albanese ferito e i familiari delle vittime albanesi non hanno ancora visto un euro. Erano dipendenti della coop di appalto creata dallo stesso Merlino tramite un prestanome.

Eternit di Casale Monferrato/Cavagnolo/Bagnoli/Rubiera

Lo scorso 20 maggio Louis De Cartier, imputato nel processo Eternit, è morto alla veneranda età di 92 anni, dopo aver trascorso una vita da ricco e una vecchiaia tranquilla nella sua villa in Belgio. Amministratore  delegato della multinazionale Eternit dal 1966 al 1978 e Presidente del CdA fino al 1986, non ha pagato mai nulla  per  le migliaia di morti che ha seminato in Italia e nel mondo. Per quanto lo riguarda, le vittime dell’Eternit dovranno far causa civile ai suoi eredi.

All’inizio di giugno Stephan Schmidheiny, ex AD e padrone sostanziale della multinazionale svizzera, è stato condannato a 18 anniper 932 morti e malati (su 2.580 costituitisi parte civile) negli stabilimenti e territori di Casale Monferrato, Cavagnolo, Bagnoli e Rubiera. Una sentenza che segna una vittoria, sicuramente per il riconoscimento della dolosità del reato, anche se esclude dai risarcimenti 1648 persone. Dubito, però, che per l’estradizione del latitante pluriomicidaSchmidheiny lo Stato italiano si muova con lo stesso accanimento dimostrato per Cesare Battisti. Quanto ai risarcimenti alle parti civili, le proprietà di Schmidheiny e degli eredi di De Cartier sono tutte all’estero, decisamente difficili  da sequestrare.

(Continua)

* da CarmillaOnLine

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