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Scontri a Belfast: tutta colpa dell’Union Jack?

Negli ultimi giorni i media internazionali hanno riscoperto l’Irlanda del Nord. D’altronde sei notti consecutive di scontri durissimi tra manifestanti e polizia, decine di feriti e più di cento tra fermati e arrestati non potevano passare inosservati. Nel centro di una città che negli ultimi anni aveva scoperto una vocazione turistica e che sembrava essersi lasciata alle spalle gli anni bui dello scontro frontale, si sono riviste le molotov, i lanci di pietre e di mattoni, le strade chiuse dalle barricate, le auto incendiate. E dall’altra parte i gas lacrimogeni, le pallottole di gomma e gli idranti. Come ai vecchi tempi, appunto.

Apparentemente, tutto per colpa di una decisione del Consiglio comunale di Belfast, che a maggioranza lo scorso 3 dicembre ha deciso di non esporre più 365 giorni l’anno la bandiera britannica sul palazzo del Comune, ma di issarla sul pennone 17 volte in tutto, in occasioni e celebrazioni particolari. Come è avvenuto oggi, in onore (sic!) del compleanno della duchessa Kate Middleton…

Una mossa poco più che simbolica, che cercava di salvare ‘capra e cavoli’ e di accontentare nazionalisti irlandesi e gruppi filo britannici. Ma questi ultimi non hanno accolto per niente bene la decisione, e dalle proteste più o meno pacifiche dei primi giorni si è passati presto a una vera e propria rivolta, che ha preso di mira la PSNI – la Police Service of Northern Ireland, la polizia che ha preso recentemente il posto della famigerata RUC – e poi ha scatenato la reazione degli abitanti dei quartieri repubblicani e cattolici.

La rivolta ha per protagonisti i cosiddetti partiti “lealisti”, desiderosi di non ridurre – e semmai di aumentare – il grado di sudditanza del nord dell’isola rispetto a Londra e che vedono come fumo negli occhi ogni mossa anche puramente simbolica di restituzione di qualche quota di autogoverno alle sei contee. In prima fila negli scontri spesso feroci i militanti del Partito unionista democratico (Dup), e quelli del Partito unionista dell’Ulster (Uup). Ma i dirigenti della Polizia locale hanno più volte denunciato la presenza nei riots di membri dei gruppi paramilitari unionisti, in particolare dell’Ulster Volunteer Force (UVF). Per non parlare delle bande di ragazzini di 10, 11 anni visti più volte fronteggiare e scontrarsi con gli agenti in tenuta antisommossa lanciando pietre.

Un fenomeno che, al di là delle implicazioni puramente simboliche o ideologiche, dice molto sull’impasse di un processo di pace che dal 1998 non ha affatto risolto le contraddizioni sociali, storiche ed economiche che hanno portato ad un conflitto violento durato decenni, a migliaia di morti, feriti ed esiliati. Contraddizioni nel frattempo smussate, sospese, in attesa di soluzioni definitive che non sono mai arrivate.
La rivolta dell’Union Jack di queste settimane, così come le violente manifestazioni dei gruppi repubblicani represse senza tanti complimenti dalla ‘nuova’ polizia autonoma, dimostra che il fuoco cova sotto la cenere, ma emerge con sempre maggiore frequenza e virulenza. D’altronde sono passati 15 anni dalla firma degli accordi di pace e l’Irlanda del Nord è tuttora una provincia del Regno Unito, sottoposta al controllo diretto di Londra e dotati di scarsi e non sempre effettivi e reali poteri di ‘autogerno’.
I gruppi lealisti continuano a tenere in ostaggio l’intera Irlanda del Nord, bloccando ogni possibile riforma. Nonostante ormai, secondo categorizzazioni di tipo etnico-religioso che comunque lasciano il tempo che trovano, i “protestanti” non siano più la maggioranza assoluta dei nordirlandesi: nell’ultimo censimento coloro che si ritengono di religione protestante sono il 48% contro il 53% del 2001; i “cattolici” sono passati dal 44% al 45% ed è aumentata la quota di persone, soprattutto giovani e immigrati, che si definiscono come “non religiosi”.

D’altra parte lo sviluppo economico che la pace sembrava aver portato per sempre si è presto esaurito, e sono sempre di più le imprese che chiudono mentre le liste dei disoccupati si allungano. E sono sempre più numerosi i simpatizzanti del partito repubblicano ufficiale Sinn Fein, divenuto in alcuni casi forza di governo, a sentirsi insoddisfatti per i continui compromessi. La stretta di mano tra l’ex leader dell’IRA Martin McGuinness e la Regina d’Inghilterra non è stata presa bene, e le continue provocazioni orangiste di questi anni hanno attizzato il fuoco.

Crisi economica e sociale da una parte e insoddisfazione per i limitatissimi passi in avanti dal punto di vista delle rivendicazioni nazionali dei repubblicani irlandesi si alimentano a vicenda. Di pochi mesi fa la notizia che, dopo anni di divisioni e conflittualità, i gruppi del repubblicanesimo dissidente hanno deciso di unificarsi, dando vita a luglio a una ‘nuova’ IRA che ha promesso di alzare il tiro delle sue azioni dopo l’assassinio di una guardia carceraria, la prima dopo molti anni di tregua su quel fronte.

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