Da due giorni ormai i telegiornali aprono con la notizia della morte a Mosca di Boris Nemtsov, descritto superficialmente come una sorta di eroe della democrazia e dell’opposizione liberale allo Zar Putin. Più di una ricostruzione – basti citare le prese di posizione di numerose grandi potenze che chiedono a Mosca un’inchiesta ufficiale (!) – sembra prefigurare un coinvolgimento diretto del Cremlino nell’omicidio, che non è né il primo né l’ultimo a togliere di mezzo esponenti politici, oligarchi o giornalisti poco inclini a sostenere l’ex agente del Kgb. Che però, ad una analisi appena poco più attenta dei fatti, sembra non avere proprio nulla da guadagnare dall’assassinio di un oppositore che godeva di scarsi consensi e che allo stato sarebbe stato assai più utile al Cremlino da vivo che da morto.
Intanto occorre sfatare il mito che la vittima fosse esattamente un campione di democrazia. La sua carriera era iniziata quando nel 1990, al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, contribuì a fondare la coalizione ‘Russia Democratica’. Poi, tra il 1991 e il 1993, si schierò a fianco del bandito Eltsin quando questi conquistò il potere disarcionando un ingenuo e irresponsabile Gorbaciov e facendo bombardare il parlamento di Mosca. In cambio ottenne dal prestanome di Washington la carica a governatore della regione di Nizhnyj Novgorod. Nel 1997 diventò addirittura vice premier con Cërnomyrdin e nel ’98 fondò il partitino liberale «Giovane Russia», una delle componenti dell’«Unione delle forze di destra», di cui è stato dirigente assieme a personaggi non proprio limpidi del calibro di Gajdar e Chubajs. Dissoltasi l’Unione delle Forze di Destra fondò nel 2008 un altro movimento, Solidarnost. Poi, ancora, nel 2012 è stato eletto copresidente del Partito Repubblicano di Russia – Partito della libertà popolare, ennesima formazione liberale e liberista.
Ha dedicato buona parte dei propri sforzi politici a caldeggiare e gestire varie ondate di privatizzazioni del patrimonio pubblico del suo paese, finito oltre che nelle proprie tasche anche in quelle di oligarchi senza scrupoli, in parte alleati ma in buona parte poco avvezzi a riconoscere l’autorità di Putin e il nuovo corso nazionalista impresso da quest’ultimo alla politica economica russa.
Ma è rispetto alle due crisi ucraine che lo “zar delle privatizzazioni” ed eroe dei nostri telegiornali ha giocato un ruolo importante e che forze spiega la sua cruenta fine su un ponte nel pieno centro di Mosca. Infatti già nel 2004 partecipò alla cosiddetta ‘rivoluzione arancione’ che a Kiev impose un orientamento filoccidentale al paese, prima di naufragare a causa degli scandali per corruzione e delle furibonde liti tra i capofila della piazza filo-Nato. Prima scelto come consigliere dal leader ucraino Viktor Jushenko, recentemente era diventato capofila di una campagna che dall’interno della Federazione Russa sosteneva ‘Euromaidan’ e denunciava il coinvolgimento militare russo in Ucraina sul quale, affermano i suoi collaboratori, si apprestava a pubblicare un dossier di cui però non vi è traccia alcuna. Colui che per oggi aveva indetto una manifestazione a Mosca contro il sostegno di Putin ai ribelli del Donbass, non era un mistero, era un grande amico del falco a capo del governo di Kiev, Arseni Jatsenjuk, a sua volta legato a doppio filo con la Nato e con gli Stati Uniti.
Di qui l’indicazione della credibilità “della pista ucraina” per l’omicidio di Boris Nemtsov da parte di commentatori e analisti meno embedded all’interno di una macchina di propaganda antirussa da sempre molto forte e ravvivatasi visto il clima di aperto conflitto nei confronti di Mosca.
Nemtsov sosteneva sì il regime ucraino figlio del colpo di stato filoccidentale del febbraio dello scorso anno – e forse anche il progetto di replicare EuroMaidan anche a Mosca – ma a partire da una posizione più filoeuropea che filo-statunitense. Di fatto l’esponente politico, non certo di punta nello schieramento d’opposizione già di per sé disarticolato e debole, rappresentava un (potenziale?) ponte tra il Cremlino e gli interessi russi da una parte e quelli dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale dall’altra. Un ponte necessario per una amministrazione russa obbligata al muro contro muro con l’occidente scatenatosi dopo il golpe a Kiev e l’inizio della guerra civile nelle regioni orientali ucraine ma interessata a far calare i toni quanto prima e a ricomporre la frattura almeno con Bruxelles vista l’impossibilità di farlo con Washington.
Come non notare che, contrariamente a quando sottolineato da frettolosi analisti e quotidiani prezzolati, quello di Mosca di due giorni fa non sembra affatto un omicidio opera degli spietati ma professionali agenti dei servizi di sicurezza russi? Nove colpi di cui solo quattro andati a segno, e neanche uno dei killer che scende dalla sua auto per sincerarsi della morte di Nemtsov, in quel momento in compagnia della giovane modella ucraina Anna Duritskaja.
A ben guardare, a guadagnare dall’eliminazione di Nemtsov sembra essere la finora rissosa e ininfluente opposizione russa a Putin, che ha ottenuto immediato sostegno mediatico e politico internazionale e la possibilità di organizzare una veglia funebre nel centro di Mosca che in realtà è un corteo. Di fatto quello che, denominato ‘Primavera’ e indetto contro le ingerenze russe in Ucraina, era stato dirottato dalle autorità cittadine nel periferico quartiere di Maryno per non sovrapporsi ad una marcia indetta dal Partito Comunista contro le politiche liberali del governo e il degrado dell’economia e delle condizioni di vita e di lavoro di decine di milioni di lavoratori e pensionati.
Mentre l’opposizione liberale e nazionalista di destra parla di delitto politico incolpando neanche tanto velatamente il Cremlino, i comunisti denunciano quella che per loro è una provocazione mirante a destabilizzare un clima già rovente: «Ci sono forze interessate a inasprire al massimo la situazione — ha detto il leader del Partito Comunista della Federazione Russa, Ghennadij Zjuganov, all’agenzia Interfax -, si tratta di una provocazione, per far divampare grandi incendi occorrono vittime sacrificali».
Punto di vista condiviso dall’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov che vede nell’omicidio un tentativo di destabilizzare il paese e di inasprire le contrapposizioni.
In mancanza di elementi certi sulla pista da seguire, allo stato emerge comunque con forza una ipotesi – che per ora rimane tale, un’ipotesi – alla quale la nostra stampa mainstream dedica invece scarsa attenzione: un omicidio commissionato da chi ha tutto l’interesse a spingere sull’acceleratore dello scontro frontale tra Mosca e fronte occidentale. Gli ambienti estremisti ucraini forse (c’è chi parla dei nazisti di Pravyi Sektor e dei suoi addentellati nel fronte islamista ceceno), oppure sul fronte opposto gli ultranazionalisti russi che accusano sia Putin sia i suoi oppositori di essere dei ‘nemici della patria’. C’è chi non esclude la pista islamista e chi, invece, invita a cercare gli autori dell’assassinio negli ambienti mafiosi e criminali che Nemtsov frequentava e all’interno dei quali aveva intessuti rischiose relazioni.
Che poi si tratti di una pista interna o esterna è tutto da vedere ed è possibile, come in passato, che la verità si perda per sempre nei meandri fumosi della politica russa e delle ingerenze occidentali.
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