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Elezioni spagnole. Disinteresse, incertezza e scandali

Per la stampa internazionale sono ‘elezioni storiche’ ma i cittadini del Regno di Spagna non sembrano essere particolarmente mobilitati dal voto di domani.
Si prevede infatti un consistente aumento dell’astensione rispetto alla tornata del 20 Dicembre scorso. All’aumento progressivo dell’astensione che si registra all’interno dei paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni – è sempre più diffusa la disillusione per la possibilità che la politica possa risolvere problemi ormai radicati – si aggiunge il quadro non risolutivo che tutti i sondaggi prospettano. Dalle urne infatti dovrebbe uscire – a fidarsi dei sondaggi – un parlamento diviso sostanzialmente in quattro forze maggiori, nessuna dei quali in grado di trovare una maggioranza di governo. Esattamente come accaduto il 20D, quando il crollo del Partito Popolare e dei Partito Socialista venne riequilibrato a destra dall’affermazione di Ciudadanos e a sinistra da Podemos e da alcune liste collegate. A completare il quadro le forze indipendentiste catalane e basche. Per mesi Podemos ha tentato di convincere i socialisti a formare una coalizione ‘per il cambiamento’ che avrebbe potuto contare anche su alcune delle realtà regionaliste e indipendentiste, ma a parte la scarsa solidità numerica della ‘grande ammucchiata’, i socialisti del Psoe hanno trattato contemporaneamente anche con Ciudadanos, leader di un partito centralista e liberista utilizzato come ‘carta di riserva’ dal sistema bipolare spagnolo uscito con le ossa rotte da anni di corruzione e politiche antipopolari e autoritarie dettate dalla Troika. Alla fine quindi, nell’impossibilità di formare un governo, le Cortes sono state sciolte e sono state indette nuove elezioni per il 26 di giugno.

Le forze che vanno al voto sono esattamente le stesse, ovviamente, e molto simili gli equilibri tra Popolari, Ciudadanos, Socialisti e Podemos che le elezioni di domani dovrebbero cristallizzare, con qualche piccolo cambiamento percentuale rispetto alla scorsa tornata. L’unità novità di rilievo delle elezioni legislative di domani è rappresentata dalla decisione di Podemos e di Izquierda Unida di andare al voto in coalizione tra loro e insieme a formazioni locali di centrosinistra, sinistra, ecologiste e regionaliste radicate in Catalogna, Pais Valencià e Galizia. Una scelta tattica, per approfittare di un sistema elettorale che premia nell’attribuzione dei seggi le forze più consistenti, penalizzando invece i piccoli partiti non concentrati in un certo territorio come le formazioni indipendentiste. Grazie alla coalizione Unidos Podemos – così si chiama la creatura di Alberto Garzòn e Pablo Iglesias – potrebbe con percentuali simili o di poco superiori a quelle raccolte il 20D ottenere 10 o anche 15 seggi in più. Unidos Podemos mira esplicitamente al ‘sorpasso’ – termine che i media spagnoli utilizzano così, in italiano, citando quello del Pci sulla Dc nella seconda metà degli anni ’70 e occhieggiando al film di Dino Risi del 1962 – nei confronti dei socialisti. Ma al tempo stesso Iglesias ha più volte, di nuovo, esplicitamente invitato i socialisti a governare insieme a Unidos Podemos per cambiare il paese e sbarrare la strada all’asse tra la vecchia e sempre più aggressiva destra del Partito Popolare e la nuova ma altrettanto pericolosa destra rappresentata da Ciudadanos.

Un sondaggio diffuso giovedì dal giornale ‘El Periodic d’Andorra’ – le inchieste sulle intenzioni di voti sono proibite negli ultimi giorni di campagna in Spagna – traccia questo quadro, per coloro che si ostinano a dar retta al lavoro degli istituti demoscopici dopo l’ennesimo fallimento in Gran Bretagna: il PP otterrebbe il 28.2% e 114-118 seggi; il Psoe si fermerebbe al 21.7% con 83-87 seggi; Unidos Podemos prenderebbe il 23.6% ma solo 83-87 seggi e Ciudadanos guadagnerebbe il 15.2% dei voti e 40-44 seggi. Ammesso che il Psoe sia disponibile a governare con quelli che definisce ‘i comunisti’ di Podemos e con un movimento “populista che vuole sfasciare il paese” – il segretario del partito Pedro Sanchez ha detto che non se ne parla – bisognerà vedere se i due partiti arriveranno almeno a sfiorare i 175 seggi necessari per avere la maggioranza assoluta. Se il sorpasso di UP nei confronti del Psoe dovesse verificarsi, è assai difficile immaginare un Partito Socialista socio di minoranza di un governo guidato da Podemos e Izquierda Unida.

Da notare che l’inchiesta curata dal Gabinet d’Estudis Socials i Opinió Pública (GESOP) afferma che solo il 56% di chi votò Izquierda Unida alle scorse elezioni ha intenzione di votare Unidos Podemos domani: tra gli elettori di sinistra che Iglesias non era riuscito a strappare a Izquierda Unida il 20D circa la metà non vede di buon occhio la formazione ‘viola’ e i suoi discorsi ambigui su temi fondamentali come la Nato, l’Unione Europea, il debito. Per non parlare della prospettiva di una coalizione di governo con i socialisti del Psoe, considerati, non a torto, un pilastro delle politiche liberiste e autoritarie ed uno strumento della governance delle classi dominanti e dell’establishment dell’Unione Europea. Dopo la vittoria della Brexit al referendum di giovedì – definito “un giorno triste per l’Europa” da Iglesias – nei comizi finali i dirigenti e i candidati di UP hanno ulteriormente rafforzato il loro messaggio europeista proponendosi come un argine al dilagare dei nazionalismi e dello sciovinismo ed evitando di mettere in discussione una Unione Europea che pure accusano di essere la fonte di quello tsunami sociale che ha ridotto in povertà milioni di spagnoli.

La situazione sociale ed economica del paese rimane assai grave anche se il PP ha tentato di rivendicare i passi avanti fatti in tema di disoccupazione negli ultimi mesi del governo Rajoy.

Inoltre, ad offuscare ulteriormente l’immagine della rancida destra spagnola è scoppiato pochi giorni fa uno scandalo che potrebbe avere una qualche ripercussione sul voto di domani, spostando forse alcuni voti in dote al PP verso l’astensione o verso Ciudadanos anche se lo ‘zoccolo duro’ dei popolari è così tollerante nei confronti di certi comportamenti – giustificati in nome della barriera da opporre ai “nemici della nazione” all’interno di un’ideologia estremista goffamente camuffata – che il PP potrebbe uscirne relativamente indenne nonostante la gravità di quanto emerso.

Da giovedì il ministro degli Interni di Rajoy, Jorge Fernández Díaz, è al centro di un caso che investe in pieno non solo il Partito Popolare, ma mette anche il dito nella piaga nelle sempre più difficili relazioni tra Stato Spagnolo e Catalogna. A pochi giorni dal voto il quotidiano Publico ha pubblicato delle intercettazioni (gesto che al giornale è valso la poco amichevole visita della polizia in redazione) che incastrano uno dei personaggi più abietti del governo di destra, noto per aver istigato le forze dell’ordine contro i manifestanti e gli immigrati, per aver equiparato l’aborto all’ETA basca, per aver affermato che “il matrimonio omosessuale non garantisce la sopravvivenza della specie” o che “le vittime del franchismo cercano i loro famigliari scomparsi per soldi”.

Dalle conversazioni registrate e diffuse, che risalgono al 2014 e al 2015, si evince chiaramente che lui tramava insieme al capo dell’Ufficio antifrode del governo autonomo catalano, l’ex magistrato Daniel de Alfonso, per fabbricare false prove che incriminassero alcuni importanti esponenti del fronte indipendentista catalano al fine di comprometterne l’immagine.
D’altronde appena nominato alla carica di responsabile degli Interni di Madrid Jorge Fernández Díaz creò la Direzione Aggiunta Operativa (Dao), un organismo a cui affidò il compito di produrre dossier anonimi contro gli avversari della destra, in particolare gli esponenti di Podemos e dello schieramento catalanista, ad uso e consumo della stampa fascistoide spagnola che negli ultimi due anni ci ha costruito una pesante campagna di fango.

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