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Russia: 12 dicembre, giornata della Costituzione eltsiniana

Il 12 dicembre è in Russia la giornata della Costituzione. Si intende, la costituzione “eltsiniana” del 1993, adottata un paio di mesi dopo le cannonate all'edificio del Soviet supremo della RSFSR. E' la prima Costituzione russa dopo la caduta dell'Unione Sovietica e l'atto che ne sancisce, anche “istituzionalmente”, la fine, con il passaggio all'economia di mercato e l'eliminazione degli istituti di pianificazione e di controllo. La prima Costituzione dopo la Rivoluzione d'Ottobre, quella adottata in Russia nel 1918, veniva recepita pressoché integra nella prima Costituzione sovietica, quella del 1924, sostituita poi nel 1936 dalla Costituzione cosiddetta “staliniana”, soppiantata a sua volta nel 1977 da quella “brežneviana”.

Il tratto forse più caratteristico della nuoca Costituzione russa, conservato sino a oggi nonostante i ripetuti formali aggiustamenti, è forse rappresentato dalla forte posizione conferita al Presidente nei confronti della Duma: all'epoca, doveva sancire la vittoria di Boris Nikolaevič su un parlamento riottoso ad adeguarsi alle “riforme” dettate da FMI, Banca Mondiale, OSCE e loro appendici. Un'applicazione sul campo, abbastanza letterale – a sparare furono i carri armati e i cecchini – insomma, del celebre aforisma lassalliano, secondo cui le Costituzioni nascono dai cannoni.

Quanto questo fosse vero, lo ricorda oggi implicitamente il direttore del Centro di informazione politica Aleksej Mukhin, secondo il quale, tra le modifiche oggi auspicabili, c'è quella relativa al "riconoscimento nella Costituzione della prevalenza del diritto internazionale su quello nazionale": all'epoca, i “consiglieri” occidentali volevano assicurasi l'obbedienza anche formale della nuova Russia. Una Russia da cui scompariva ogni voce dal basso.

Jurij Emeljanov, su Sovetskaja Rossija, ricorda come il progetto di Costituzione sovietica del 1936 fosse stato stampato in 70 milioni di esemplari, in 100 lingue dei vari popoli dell'Urss e sottoposto a una discussione in oltre mezzo milione di assemblee, che apportarono circa due milioni di modifiche. Pur nella stagnazione brežneviana, anche il progetto del 1977, prima di venir adottato, fu sottoposto al vaglio di 450mila riunioni di partito e un milione e mezzo di assemblee di fabbrica e di kolkhoz. Nulla di tutto questo precedette l'adozione della Costituzione del 1993: al posto delle riunioni, i carri armati, invece delle assemblee, i tiratori scelti stranieri, così che il testo fu approvato dal 58% dei votanti, nel corso di un referendum cui partecipò il 54% degli aventi diritto. Una formalità: tanto più, ricorda Emeljanov, che già prima del voto la Russia era già stata trasformata da RSFSR (Repubblica socialista sovietica), in FR (Federazione Russa): i Soviet erano stati liquidati.

E, a dispetto delle affermazioni “democratiche” per cui i Soviet erano ormai ridotti a organi formali, Emeljanov riporta la sintesi dei sovietologi americani Jerry Hough e Merle Feynsod, secondo i quali i membri di soviet (a vari livelli) fossero impegnati mediamente 22 ore al mese e, se eletti in commissioni permanenti, da 40 a 60 ore. Questi ultimi, stilavano 435mila questioni da sottoporre ai rispettivi soviet e quasi il doppio ai Comitati esecutivi di soviet. Nel 1977, erano membri del soviet in media 33 persone a livello di villaggio, 134 per il soviet di circondario, 218 per quello regionale: un totale di 2 milioni e 200mila persone in tutta l'Urss. E non si trattava di impegno formale: gli emendamenti proposti dai soviet locali erano effettivamente adottati.

Nella Russia “democratica”, secondo un'indagine del 2006, appena l'1,2% degli intervistati riteneva che il potere fosse in mano al popolo; l'8,9% lo giudicava in mano a funzionari e burocrati; il 12% alle organizzazioni criminali; il 21,2% al presidente; il 40,3%: in mano al grande capitale. Se la Costituzione del 1936 riconosceva due forme di proprietà socialista – statale e kolkhoziano-cooperativa – quella del 1993 respinge in secondo piano le proprietà statale e municipale, dando la priorità a quella privata (la proprietà kolkhoziano-cooperativa è semplicemente scomparsa) tanto che oggi, secondo le stime più prudenti, il divario tra il 10% più ricco e il 10% più povero è di 1 a 15.

Se il testo del 1936 fissava, come nessun'altra Costituzione al mondo, il diritto al lavoro (art.118), quella del 1993 proclama che (art.37) “Il lavoro è libero. Ognuno ha il diritto di disporre liberamente delle proprie capacità, scegliere il tipo di attività e professione": una formula elegante per negare qualsiasi sicurezza di occupazione ed eliminare ogni garanzia di impiego al termine dell'istruzione.  Se l'art.119 del 1936 garantiva il diritto al riposo, dopo 7 ore di lavoro e il diritto a trascorrere le ferie nella vasta rete di strutture di villeggiatura e case di cura (art. 120: assistenza sanitaria gratuita), l'art. 37 del 1993, parlando del diritto al riposo, non cita alcun limite alla giornata o alla settimana lavorativa, tanto più che le più lussuose residenze della nobiltà zarista, adattate in epoca sovietica a case di cura e di vacanza per lavoratori, sono tornate da tempo in mano privata. L'art.41 del testo eltsiniano recita che "L'assistenza medica nelle strutture statali e comunali è prestata gratuitamente ai cittadini in base al bilancio, ai contributi assicurativi e altre indennità”, così che oggi, con gli stipendi dei medici tra i più bassi fra quelli dei lavoratori pubblici, moltissime strutture sanitarie pubbliche abbandonate a se stesse e aumenti vertiginosi dei costi di quelle private, poca meraviglia che il “diritto alla vita”, fissato all'art.20 del 1993, sia poco più che formale. Se in Urss la popolazione, cresciuta dai 100 milioni del 1926 ai 148 del 1992 (nonostante le immense perdite della guerra: forse 27 milioni), la mortalità in Russia tra il 1991 e il 2015 ha superato la natalità e la popolazione si è ridotta di 2 milioni. Se la media mondiale, nota Emeljanov, ha visto crescere l'aspettativa di vita di 6,3 anni tra il 1990 e il 2013, in Russia la crescita si è fermata a 1,6 anni e oggi la Russia occupa tra il 111° e il 129° posto mondiale (153° secondo la CIA, con 70,8 anni), accanto a Nepal e Bhutan.

E' così che il PCFR ha definito il Bilancio 2017, esaminato in terza lettura alla Duma venerdì scorso, “un Bilancio di sopravvivenza, e nemmeno per tutti”. Con una crescita che Vladimir Putin aveva previsto al 3% ma che, secondo le stime dei comunisti, non arriverà nemmeno alla metà, “il gap tecnologico potrà solo aumentare e dipenderemo dalle forniture estere in tutto, dalle banche all'aviazione. Nei tre anni precedenti, per salvare le banche, abbiamo elargito 2 trilioni di rubli, finiti in attività offshore; di altri 800 miliardi, solo il 4,3% è andato in investimenti”. Ci si deve preoccupare, dice il PCFR, di “aiutare le persone; perché a Cuba esiste il medico di famiglia e l'aspettativa di vita è di 80 anni? Oggi vivono nella povertà le giovani coppie con figli”.

Poco da celebrare, dunque, nella Costituzione eltsiniana (dal 2004 il 12 dicembre non è più festivo) e anche le strutture messe in piedi per ricordare l'affossatore dell'Urss stentano a decollare, nonostante gli sforzi governativi per celebrare il cannoneggiatore del Parlamento russo. Vnerdì scorso, il regista Nikita Mikhalkov ha criticato l'attività del “Centro Eltsin” di Ekaterinburg, perché liquiderebbe “l'identità nazionale”, fornendo “ogni giorno ai visitatori “una valutazione non obiettiva della storia russa”. D'altra parte Mikhalkov, rispondendo alle critiche della vedova di Boris Eltsin, Naina, ha dichiarato di non aver voluto parlare dell'attività dell'ex presidente russo, ma esclusivamente di quella della struttura a lui dedicata. E però, anche il regista così osannato in Occidente, parlando dal proprio punto di vista, fondamentalmente monarchico, a proposito dei cosiddetti “malvagi anni '90”, ha dichiarato che "All'epoca nessuno, almeno tra chi votò per Boris Nikolaevič, io incluso, poteva immaginare la profondità e la tragedia in cui si sarebbe ritrovato il paese. Fabbriche e navi svendute per spiccioli, esercito umiliato, popolo immiserito, scienza distrutta”.

Se oggi il paese non versa più, per moltissimi aspetti, in quelle condizioni, l'eredità ideologica legata al lascito eltsiniano non è affatto scomparsa.

 

Fabrizio Poggi

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