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Francia. “Abbiamo tagliato delle teste per molto meno”

Lunedì 3 dicembre è stato probabilmente uno snodo centrale per il futuro del movimento sociale in Francia.

Sempre più settori della popolazione si uniscono alla mobilitazione permanente iniziata il 17 novembre con i blocchi generalizzati in tutto l’Esagono e nell’Isola de la Reunion, Territorio d’Oltre Mare francese nell’emisfero meridionale dell’Oceano indiano.

Le differenti iniziative a volte “si fondono”, come è successo in più città tra i gilets jaunes e militanti sindacali della CGT, FSU, FO o di Sud-Solidaire, a volte semplicemente “si affiancano” vedendo la presenza contemporanea delle giacche gialle e di quelle “arancioni” del sindacato; altre volte sono semplicemente “giustapposte” con i GJ a bloccare o a rallentare il traffico in prossimità di un deposito petrolifero, mentre gli operai della Total scioperano con una rivendicazione specifica della categoria.

A volte però l’azione è condotta comunemente, come nel caso di alcuni scali portuali tra dockeurs e GJ, come a Sète o a Rubis, lunedì mattina.

Ormai i presìdi, spesso sgomberati dalla polizia, assumono i tratti dell’accampamento duraturo – come all’entrata dell’autostrada Nizza-Barcellona, vicino ad Aix-En-Provence nel Midi – o nei Pirenei. al confine della Spagna, dove i GJ si preparano a stare lì anche per le feste natalizie, od oltre.

Sono di fatto delle piccole ZAD dove ci si da il cambio a seconda degli impegni, in cui sono i più anziani in pensione a non lasciare scoperto il presidio, e dove “il delegato al barbecue” è uno dei compiti più delicati.

Sono luoghi dove tranne rarissimi casi gli automobilisti suonano benevolmente i clacson, mostrano le loro giacchette gialle ben esposte e si fermano il tempo di un caffè per fare due chiacchiere.

Il movimento sta riscrivendo le dinamiche della mobilità stradale, distruggendo serialmente gli autovelox e danneggiando il sistema di pagamento delle autostrade, come al Ciotat, nei pressi di Marsiglia, o che diventano – per opera dei Giltes Jaunes – gratuite (con o senza la distruzione materiale).

A Bandol, sempre vicino alla città fenicia, una corsia della barriera autostradale è diventata un campo da bocce…

Depositi petroliferi, come a Les Mans, piattaforme logistiche come quella della Lidl a Lunel, centri commerciali come a Tourville-la-Rivière o Barentine nell’alta Normandia, entrate delle autostrade come l’A7, sono il “bersaglio” delle mobilitazioni, per non citarne che quelle balzate agli onori della cronaca in questi giorni.

Questi sono solo alcuni esempi per dare una idea dell’ampiezza geografica e della capillarità del fenomeno, che non riducono il movimento all’ormai consolidato appuntamento al centro di Parigi il sabato, ma mantengono ed amplificano i blocchi stradali, i filtri del traffico, le operazioni lumaca, e blitz per rendere accessibile una autostrada, un parcheggio, o addirittura un “parco divertimenti”.

Uno dei tanti appelli che circolano per “il quarto atto” della protesta è quello di un blocco totale per la giornata del 10 dicembre con cui paralizzare veramente il paese, mentre il leader del NPA, una battagliera forza d’opposizione organica da subito alla protesta, ribadisce che ora la palla è nel campo del movimento operaio che deve dichiarare lo sciopero generale.

Intanto la CGT, dopo l’iniziativa di questo sabato a Parigi contro la precarietà e la disoccupazione – non si contano quelle locali – ha proclamato una altra giornata di mobilitazione per il 14 dicembre.

Discorso a parte andrebbe fatto per gli espropri dei negozi delle grandi marche, che ci ricordano come tra il desiderio di consumo di chi vive relegato in quartieri ghetto senza prospettiva di reddito e la realizzazione di questo spesso si frappone solo una vetrina.

E, se questa cosa sorprende i benpensanti, non stupisce certo noi, visto che nella quinta potenza economica mondiale 11 milioni di persone vivono come precari e disoccupati, mentre la disoccupazione tocca il 40% nei quartieri popolari.

Se questo lunedì si dovesse assegnare il premio alla più gioiosa manifestazione di creatività popolare, che ogni movimento porta con sé, forse dovrebbe andare a quei Gilets Jaune che a Frontignan hanno costruito “un arco di trionfo” con i bancali, ornato di differenti striscioni, per fungere da “filtraggio” per il traffico, impedendo di fatto l’accesso ai camion cisterna diretti al deposito petrolifero. A pari merito quei liceali che hanno eretto una barricata di fronte alla porta d’ingresso del loro istituto con dei bidoni della spazzatura, scrivendo sulle transenne che perimetravano il tutto: “Macron au Goulag”.

Questa parzialissima sommatoria di frames del movimento o forse, visto il contesto, bisognerebbe chiamarle tranches de vie della rivolta sociale in atto, danno una vaga idea del clima che sta vivendo la Francia che alcuni – con una certa enfasi – definiscono “pre-insurrezionale”, o “rivoluzionario”.

Ciò che è certo è che assolutamente inedito per geografia e coinvolgimento nella storia della Quinta Repubblica, oltre per al consenso di cui gode: più di 7 francesi su 10 l’approvano anche dopo “il terrorismo psicologico” e il bashing mediatico fatto successivamente agli scontri parigini di sabato.

Certamente le preoccupazioni dei Prefetti (anonimamente riportate dal quotidiano Le Monde), di fronte all’incapacità del governo di ascoltare i problemi reali della popolazione, e il malcontento che generano, danno parecchio da pensare.

Andiamo con ordine, cercando di fare un quadro parziale della giornata, anche lunedì pesantemente segnata dall’intervento delle forze dell’ordine, giunte a manganellare dei quindicenni ed a sparare lacrimogeni sin dentro agli istituti delle medie-superiori, oltre che a fermare giovani e giovanissimi per interrogarli.

Mentre nel pomeriggio si è saputo del decesso di una signora ottantenne a Marsiglia, deceduta in ospedale in seguito al lancio di un lacrimogeno mentre cercava di chiudere le finestre della propria abitazione – era dal 1947 (periodo dei cosiddetti “scioperi insurrezionali”) che non si vedevano le barricate sull’arteria principale del centro che conduce al Vieux Port – e di un Gilet Jaune in coma, colpito sabato a Tolosa da un proiettile di gomma da parte della polizia.

Oltre ai già menzionati “blocchi”, la giornata è iniziata con gli autisti delle ambulanze – a cui si sono aggregati in sostegno i tassisti – che hanno improvvisato una “manif sauvage” con i loro mezzi (più di un centinaio) a Place de la Concorde, in pieno centro a Parigi, “gasati” dalle forze dell’ordine.

Tra i 100 e i 150 cinquanta istituti scolastici sono stati totalmente o parzialmente bloccati in tutto l’Esagono nella seconda giornata di protesta degli studenti delle medie superiori, dopo quella di venerdì scorso; anche se si mobilitano (come gli autisti delle ambulanze) su rivendicazioni proprie, contro la riforma della BAC e la piattaforma parcoursoup, in molti casi dimostrano un sostegno aperto ai GJ.

Gli studenti, quando hanno potuto, si sono riversati in strada, dando vita a manifestazioni cittadine come a Limoges, Bordeaux, Toulouse (dove la città è stata di fatto bloccata), Grasse, Orléans, Clermont-Ferrand, Tarbes, Meaux… Mentre ad Aubervilliers a Senne Saint Denis il blocco dell’istituto si è trasformato in un émeute (rivolta).

La prossima tappa della protesta è stata fissata per venerdì perché, come ha dichiarato il leader della UNL Louis Boyard – l’organizzazione studentesca che ha lanciato le mobilitazioni – a “Libération”: noi abbiamo scartato i blocchi ogni giorno, perché questo farebbe defluire il movimento troppo in fretta.

Intanto il sindacato degli agricoltori, la FNSEA, ha dichiarato che martedì deciderà quando mobilitarsi se le promesse governative sulla Loi Alimentation non verranno mantenute per le pressioni delle lobby dell’agro-business, mentre alcuni trattori di agricoltori, insieme ai motards, si sono già visti nelle mobilitazioni.

Un sindacato autonomo dei “sapeurs-pompiers” SPP/Pats dell’Isère fa appello ai propri colleghi vigili del fuoco per partecipare sabato pomeriggio “in divisa” alla mobilitazione dei Gilets Jaunes a Parigi.

Il leader, Frédéric Bologna, denuncia le gravi condizioni di mancanza di personale e chiedono un maggior impegno economico del governo locale nelle risorse destinate ai pompieri.

Torniamo al fronte sindacale più ampio.

Come abbiamo menzionato, la CGT chiama il 14 dicembre ad una “grande giornata d’azioni”, per un aumento immediato dei salari, della pensione e delle varie forme della protezione sociale.

Il maggiore sindacato francese dichiara in un comunicato reso pubblico questo lunedì: “l’assenza di risposte immediate del governo e del padronato, il rifiuto di aprire vere negoziazioni, generano una collera legittima nella popolazione”, in riferimento al movimento dei giltes jaunes, di cui assicura “condividere la collera”.

Un segnale molto importante, risultato dell’intelligenza politica della direzione sindacale e della pressione costante dei propri aderenti.

Concludiamo questa panoramica con uno sguardo al mondo politico dell’opposizione.

Mentre France Insoumise ed il Partito Comunista Francese (PCF) stanno raccogliendo le firme per una “mozione di sfiducia” nei confronti del governo (“motion de censure”), che necessita di 58 firme sulle 33 di cui possono disporre, il Partito Socialista fa spallucce e per voce del presidente del gruppo afferma che questa mozione “non risponde alla questione principale del momento”… E dire che si tratta della principale richiesta gridata nelle piazze, “in questo momento”…

In Francia è in corso una rottura, un processo che ha assunto le caratteristiche dell’irreversibilità, almeno per quanto riguardo la fiducia del nuovo ceto politico dirigenziale, che pensava di governare il Paese come una start up; un establishment che pensava bastasse un volto giovane ed una narrazione momentaneamente vincente per assicurarsi un consenso duraturo da parte della popolazione, azzerando il dialogo sociale con i corpi intermedi e glorificando la verticale del potere compiuta (vi ricorda per caso qualcuno geograficamente più vicino a noi?).

Allo stesso tempo è in corso una stretta autoritaria di fronte al più elementare diritto a manifestare, compiuta con mezzi più attinenti alla guerra a bassa intensità che non alla gestione dell’ordine pubblico. Una stretta repressiva fatta di feriti, fermati ed interrogati su cui nessuna bell’anima “democratica” nel nostro Paese, anche a sinistra, sembra preoccuparsi.

Il ceto politico residuale della “sinistra”, ormai cronicamente incapace anche solo di riconoscere lo svilupparsi reale di un movimento di massa, è più preoccupato di una manciata di militanti di estrema destra presenti nelle mobilitazioni, e del possibile recupero del RN (ex-FN), che – dopo il caso catalano – nell’Unione Europea si accetti senza obiezioni una militarizzazione così elevata del conflitto sociale e del dissenso.

Vogliamo terminare con le parole del leader studentesco che avevamo menzionato.

Alla domanda del giornalista di “Libération” che gli chiedeva se il ministero sarà ricettivo ed in grado di rispondere alle richieste dei medi, risponde: “rigiro la domanda: hanno veramente una altra scelta? Nella storia i movimenti hanno un peso quando la gioventù ci entra. Il governo lo sa ha paura”.

Nulla da aggiungere.

PS Vi chiedete il perché del titolo? Andatelo a chiedere all’anonimo manifestante che l’ha scritto sabato sull’Arco di Trionfo…

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