Dopo le nuove disposizioni annunciate dal Presidente Macron ed entrate definitivamente in vigore a partire dalle 12 di ieri (martedì), la ministra della giustizia Nicole Belloubet ha dichiarato la sospensione delle visite e dei colloqui per i detenuti negli istituti penitenziari francesi.
Due giorni fa, la stessa ministra aveva decretato il fermo di tutti i tribunali, tranne che per la gestione di controversie essenziali, ovvero quelle che riguardavano le comparizioni immediate di fronte al giudice, le decisioni sull’incarcerazione e l’espulsione dei sans-papiers.
L’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Coronavirus preoccupa tutti quanti e ha ricadute sociali e sanitarie decisamente severe per tutti coloro privati della propria libertà e costretti in luoghi di detenzione. Come in Italia, l’annuncio della sospensione delle visite in carcere, non essendo una delle motivazioni di spostamento autorizzato, è stata la miccia che ha definitivamente innescato una situazione già di per sé esplosiva e al limite del collasso.
Nella mattinata di ieri, la rivolta è scoppia nel carcere di Grasse, nel dipartimento delle Alpi Marittime, la quale ospita 673 detenuti per una disponibilità di 574 posti. Una ventina di detenuti hanno rotto le recinzioni che separano i due cortili; a questi, si sono aggiunti una sessantina di altri detenuti, come riportato dalla Direzione interregionale dei servizi penitenziari di Marsiglia. Un gruppo di sei-sette uomini è salito sul tetto di uno degli edifici della prigione e ha lanciato oggetti contro le guardie raggruppate nel cortile sottostante.
La situazione si è calmata dopo l’intervento della RAID – unità speciale della polizia nazionale francese, tra i cui compiti vi è proprio la risoluzione di rivolte nelle carceri – e di una squadra regionale di intervento e di sicurezza di Marsiglia. Intorno alle ore 14, la rivolta è stata sedata e tutti sono rientrati nelle proprie celle; le autorità penitenziarie non riportano alcun ferito tra i detenuti, solo un secondino è stato colpito dal lancio di pietre.
Un altro episodio, seppur di intensità minore, aveva avuto luogo nel carcere di Metz, nella regione del Grand-Est, che insieme all’Ile-de-France registra il più alto numero di contagi da Coronavirus in tutta la Francia. Le immagini che arrivavano da fuori, di scaffali vuoti nei supermercati, e le notizie relative alla crescita esponenziale dei contagi hanno acceso la rivolta di un centinaio di detenuti che si sono rifiutati di rientrare nelle rispettive celle.
Lo scorso venerdì, un detenuto di 74 anni, incarcerato l’8 marzo a Fresnes (comune del Val-de-Marne), era risultato positivo al Coronavirus dopo esser stato sottoposto al test all’ospedale di Kremlin-Bicêtre (comune alle porte di Parigi), dove è stato portato dopo i primi sintomi. La prigione di Fresnes ha il maggior numero di detenuti in Francia dopo quella di Fleury-Mérogis, nel dipartimento dell’Essonne.
La sera stessa, Agnès Thibault-Lecuivre, portavoce del Ministero della Giustizia, aveva affermato che l’uomo “è stato sempre in una cella individuale e non è stato in contatto con altri detenuti”, poiché è stato oggetto di un “monitoraggio speciale” fin dal suo arrivo a Fresnes a causa della sua età e del suo “stato di salute” non meglio precisato.
Le nuove disposizione riguardanti gli spostamenti, limitati allo stretto necessario, hanno portato la ministra Belloubet ha stabilire che non è più possibile nessuno scambio tra l’interno e l’esterno delle prigioni francesi. Infatti, oltre ai colloqui e alle visite, vengono sospese tutte le attività di formazione professionale, quelle socio-culturali e di insegnamento che hanno regolarmente luogo in carcere.
Il grado di rigidità delle misure adottate non può che preoccupare l’interno sistema penitenziario francese, specialmente dopo le rivolte nelle carceri italiani. L’eco delle proteste dei detenuti e del numero delle vittime (12 in totale) è arrivato anche oltralpe, inquietando non poco la Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) francese. Quest’ultima ha comunicato qualche giorno fa che si sta attrezzando per garantire il duplice obiettivo di “mantenere la continuità del servizio penitenziario” ed “evitare la diffusione dell’epidemia all’interno e all’esterno del carcere”. E l’ordine delle priorità non sembra esser casuale, con la tutela della salute dei detenuti messa al secondo posto.
Già da febbraio, la DAP aveva richiesto ai responsabili di tutti gli istituti penitenziari di nominare un referente interno come responsabile dell’implementazione delle misure volte a contenere i rischi di propagazione del Coronavirus. Tuttavia, queste hanno riguardato principalmente il rinnovo dei kit di igiene per i detenuti (sapone, prodotti per la pulizia, ecc.) e le informazioni date ai visitatori. Nulla più. A seguito del caso nella prigione di Fresnes, la ministra della giustizia Nicole Belloubet si era affrettata a precisare che “ci sono le mascherine, vengono distribuite al personale medico che lavora nell’unità sanitaria e al personale carcerario” a diretto contatto con i detenuti malati e ai detenuti ausiliari incaricati delle pulizie.
Il problema è che le misure messe in atto per limitare la propagazione all’interno delle carceri non riguarda minimamente i detenuti. Viene distribuita della candeggina diluita da utilizzare per la disinfezione delle celle, ma il gel idroalcolico per la pulizia delle mani non consentito ai detenuti a causa del divieto di alcol in carcere. Le passeggiate nell’ora d’aria o le docce, sempre sotto sorveglianza, vengono tuttora garantite nel rispetto delle disposizioni contro il contagio.
I trasferimenti dei detenuti vengono limitati e viene incoraggiato l’uso della video-conferenza per coloro i quali devono comparire davanti a un giudice o per un’udienza; vengono vietati per due settimane tutti i trasferimenti nelle aree dopo il contagio ha colpito più duramente ed è in fase estremamente attiva.
Viene inoltre chiesto di predisporre delle celle individuali e riservate all’isolamento per i casi sospetti di Coronavirus come misura per limitare il contagio tra i detenuti. Una misura che però “va inevitabilmente a scapito dei detenuti che verranno ammassati ancora di più”, come sottolinea
François Bès, coordinatore del centro inchieste dell’Observatoire International des Prisons per la sezione Francia.
Stessa situazione per i cosiddetti Centre de Rétention Administrative (CRA) francesi, simili ai CPR (ex-CIE) italiani: luoghi in cui sono ammassati migliaia di sans-papiers in attesa di espulsione, dove la mancanza del rispetto delle norme igienico-sanitarie e le violenze psico-fisiche sono all’ordine del giorno. Nel CRA di Lesquin, vicino all’aeroporto di Lille, alcuni sans-papiers hanno smesso di frequentare la mensa e sono in sciopero della fame, dopo la diffusione della notizia di “almeno un caso” positivo di Coronavirus. “Preferiremmo morire di fame piuttosto che di questa merda”, scrivono in un testo. Secondo gli agenti del CRA si tratterebbe soltanto di un caso sospetto.
L’associazione La Cimade, che fornisce assistenza legale ai sans-papiers nei CRA, ha deciso di sospendere le sue attività nel centro di Lesquin. Altre associazioni stanno considerando la stessa cosa. “Già venerdì abbiamo fatto appello alle autorità, al ministro dell’interno, per chiedere la chiusura di tutti i centri di detenzione”, ha detto David Rohi, responsabile de La Cimade. “In un contesto in cui la chiusura delle frontiere impedisce in ogni caso le espulsioni, dobbiamo evitare di diffondere il virus in luoghi dove, nonostante la buona volontà, la promiscuità, i contatti, impediscono alle persone di essere protette. In diversi centri, i pazienti molto vulnerabili rimangono rinchiusi anche se sarebbero estremamente esposti se l’epidemia dovesse diffondersi”.
Al CRA di Tolosa, due persone sono state poste in isolamento lunedì scorso a causa di un sospetto di contaminazione da Coronavirus. Il Cercle des voisins, un’associazione di cittadini mobilitati in sostegno ai sans-papiers del centro, hanno denunciato “un rischio di contaminazione per tutti gli stranieri detenuti e per il personale del centro”, giudicando “particolarmente sorprendente che il ministro della giustizia abbia annoverato le procedure per il prolungamento della detenzione tra i contenziosi essenziali che devono essere mantenuti nonostante la chiusura dei tribunali”.
La situazione attuale negli istituti detentivi, amministrativi e penitenziari, è la cartina tornasole dell’ideologia penale e repressiva del governo Macron e di tutto un neoliberismo sempre più reazionario che reclude ogni forma di dissenso sociale. Le problematiche delle carceri francesi ricalcano in gran parte quelle delle prigioni italiane, a partire dal sovraffollamento. Al 1° gennaio 2020, 70.651 persone sono detenute nelle carceri francesi per un totale di 61.080 posti disponibili (dati della DAP) nei 186 istituti penitenziari sparsi su tutto il territorio francese.
Tre o più persone condividono, il più delle volte, celle di 9 metri quadrati e più di 1.600 persone sono costrette a dormire ogni notte su materassi per terra (dati dell’Osservatorio Internazionale delle Prigioni – sezione Francia). Il sovraffollamento è concentrato nelle carceri di custodia cautelare, che ospitano le persone in attesa di giudizio e i condannati a pene detentive brevi. In questi stabilimenti, che ospitano più di due terzi della popolazione carceraria, il tasso di occupazione medio è del 138%.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Giustizia (al 1° ottobre 2018), 27.557 persone stanno scontando una pena residua inferiore a un anno, di cui 17.553 stanno scontando pene inferiori a sei mesi. In questo scenario, pensare a provvedimenti clemenziali, quali amnistia o indulto, per determinati reati e disporre misure cautelari alternative – come avanzate dal Tavolo Giustizia di Potere al Popolo – potrebbe alleviare il problema del sovraffollamento carcerario.
Una gran parte dei detenuti proviene da un ambiente svantaggiato e si trova in una situazione molto precaria, poiché la carcerazione è spesso il risultato di un processo di marginalizzazione ed esclusione sociale. Per dare una panoramica rapida, i dati dell’Observatoire International des Prisons riportano come più della metà dei detenuti sono disoccupati prima dell’incarcerazione; il 44% dei detenuti non ha qualifiche, più dell’80% ha un titolo di studio inferiore al diploma di maturità e il 10% è analfabeta; il 38% delle persone incarcerate da meno di sei mesi soffre di dipendenza da sostanze illecite e il 30% dall’alcol; il 7,3% dei detenuti soffre di schizofrenia, il 21% di disturbi psicotici, il 33% di ansia generalizzata e il 40% di una grave sindrome depressiva.
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