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Varsavia si offre agli USA quale alternativa alla Germania

Da tempo ormai la Polonia non fa mistero della pretesa di sostituire la Germania quale principale alleato yankee in Europa e, con ciò, riconquistare quell’egemonia che, nelle ambizioni di Varsavia, la vedrebbe dominare dal Baltico al mar Nero. Ora, con l’acuirsi delle dispute tedesco-americane, la cosa potrebbe, forse, assumere contorni più concreti.

Purtroppo nel 1944 il popolo polacco rimase sotto la schiavitù russa e fino ad oggi non ha ricevuto alcuna riparazione per le azioni commesse dagli aggressori tedeschi e russi”: è scritto così nella petizione indirizzata al sito web della Casa Bianca dal “Partito biblico antiglobalista 11 novembre”, che chiede a Donald Trump che gli USA, in quanto “vincitori della Seconda guerra mondiale”, aiutino Varsavia a ottenere risarcimenti di guerra da Mosca e Berlino. Washington dovrebbe farlo, ora che è “posta di fronte alla minaccia del Nuovo Impero del Male che cresce in Europa e Asia”.

Vero è che la petizione, stando a The New American, sarebbe stata inviata lo scorso 18 febbraio, ma per poter aspirare a una risposta dalla Casa Bianca avrebbe dovuto raccogliere almeno centomila firme entro il 20 marzo, mentre si sarebbe fermata a meno di 7.000; ma il seme è gettato.

In effetti, simili pretese sono state più volte avanzate dai polacchi anche a livello ufficiale. Lo scorso anno, Varsavia aveva valutato le perdite causate dalle truppe tedesche in 50 miliardi di dollari – al corso del 1939; oggi sarebbero poco meno di 900 miliardi – e nel 2017 si era ripromessa di presentare il conto anche a Mosca, valutando nel frattempo in 30 milioni di rubli-oro la somma tuttora “dovuta” dalla Russia per la guerra del 1919-’21.

Il sito topwar.ru ricorda di sfuggita come alla conferenza di Potsdam del 1945 fosse stato raggiunto un accordo per cui la Polonia avrebbe ricevuto il 15% della quota sovietica di riparazioni, estratte dalla Germania orientale. Dopo poco, però, Mosca e Varsavia avevano convenuto di interrompere, a partire dal 1954, la riscossione delle riparazioni da parte della DDR.

Ad ogni buon conto, il presidente della Commissione senatoriale russa per l’informazione, Aleksej Puškov, ha detto chiaro e tondo che Varsavia, con o senza l’aiuto di Trump, non riceverà un soldo da Mosca: “la Polonia ha con noi un debito non saldato di seicentomila vite, cadute per la sua liberazione da Hitler e per la rinascita dello stato polacco”. E anche da Berlino stanno ripetendo da anni che la questione è stata definitivamente chiusa con l’accordo tedesco-polacco del 1990.

E l’editorialista di news-front.info, Julija Vitjazeva, affonda: la “iena d’Europa” (così Churchill definiva la Polonia) ricomincia a sbavare, tacendo sulla fuga del governo polacco nel 1939, sull’immobilismo delle 110 divisioni anglo-francesi contro 23 divisioni tedesche a ovest, mentre a est la Wehrmacht entrava in Polonia; dimenticando il collaborazionismo polacco anti-sovietico. Su tutto questo tacciono i “biblici” polacchi, mentre ricordano a Trump che “oggi Angela Merkel e Vladimir Putin cercano di nuovo di realizzare il piano di un’Eurasia, diretto contro gli USA, che si manifesta nella dipendenza UE dal gas russo.

Se questi piani imperialisti di Russia e Germania non verranno fermati, è pienamente possibile che nel prossimo futuro molti soldati americani dovranno morire per fermare i piani criminali di Russia, Germania e Cina”. E poi viene fuori la “iena”: se gli USA aiuteranno “a creare una Polonia forte, una unione “dei tre mari”, gli intrighi della “ex” comunista Merkel e del regime di Putin, moderna variante del patto Hitler-Stalin, potranno essere spezzati”. Dunque, l’aiuto americano nella pretesa alle riparazioni “è fondamentale per la soppressione dei piani imperialisti di Germania e Russia”: Varsavia potrà così acquistare “equipaggiamenti militari, principalmente USA, per prevenire una potenziale terza guerra mondiale nella regione”.

Ma non sembra che Washington abbia fretta di soddisfare i sogni polacchi a una resurrezione della Rzeczpospolita Polska (la Polonia tra il 1918 e il 1939, in cui rientravano territori oggi lituani, bielorussi e ucraini, di cui l’organizzazione “Reštitúcia Kresov” chiede la riconsegna) o addirittura di un bastione “da mare a mare”, dal mar del Nord al mar Nero, secondo l’idea Międzymorze del maresciallo Józef Piłsudski, così prono di fronte agli hitleriani.

A ben vedere, dietro la questione delle riparazioni sembrano esserci anche motivi molto materiali: tra un anno Varsavia, uno dei più grossi fruitori di crediti UE, dovrebbe cominciare il pagamento e un po’ di liquidità non guasterebbe certo.

Scrive Aleksandr Zapolskis su iarex.ru che le ambizioni di grandezza polacche si scontrano con alcuni dati di fatto: dei 17,2 trilioni di dollari della complessiva economia UE, 3,67 sono tedeschi, 2,58 francesi, 1,93 italiani, ma appena 0,52 polacchi, con un PIL procapite di soli 13.800 $, di 1,3 volte inferiore a quello ceco, 1,2 al lituano e 1,4 all’estone. Grazie però “alle dimensioni territoriali e alla popolazione, la Polonia dà un’altra impressione, perché, in termini di PIL nominale, supera la Lituania di una volta, la Repubblica ceca di due volte, e addirittura di 20 volte l’Estonia”.

Ora che Berlino e Parigi hanno iniziato a costruire la loro “Europa a due velocità”, scrive ancora Zapolskis, ai polacchi – così come a tanti altri paesi – pare riservato appena “il posto ai remi”. Messe così le cose, Varsavia ha deciso di puntare tutto sulla carta yankee e Washington, visto il vento anti-USA, ha bisogno di un nuovo “uomo tutto suo” in Europa.

Formalmente, anche altri pretenderebbero a tal ruolo, ma “rumeni o croati, per non parlare dei Baltici, impallidiscono di fronte alla Polonia”, la quale si dichiara anche disposta a sborsare due miliardi di dollari per la riorganizzazione di una base militare USA permanente, delle dimensioni della tedesca Ramstein, da denominare addirittura “Fort Trump”.

Ora, però, Washington ha dapprima scartato la variante proposta da Varsavia, di una base ai confini orientali del paese, per la troppa vicinanza al territorio russo e infine gli yankee hanno detto che proprio, no, non ci sarà alcuna base e nemmeno verrà dislocata una divisione corazzata USA, ma ci si limiterà all’attuale brigata meccanizzata e al battaglione di fanteria.

Ancora una volta, è una questione di soldi. Due miliardi di contributo polacco per la realizzazione della base sono pochi e, dopo, chi sosterrebbe le spese di mantenimento, specialmente ora che Trump chiede di aumentare del “Costo +50%” il contributo dei paesi ospitanti basi americane? Inoltre, Washington ha – sì – aumentato il bilancio militare, ma soprattutto a favore delle industrie militari, mentre riduce di circa il 10% le spese per il fianco orientale della NATO.

Quindi, su questo versante, le porte sembrano abbastanza ben serrate. E allora, dato che Berlino continua a spostare verso est l’asse della propria politica estera, principalmente per la questione del “North stream 2”, ecco che Varsavia prova a rafforzare i legami inter-oceanici per altro verso, decidendo di procedere alla realizzazione nel Baltico, vicino a Danzica, di un terminale galleggiante per il gas di scisto USA, che andrà a raddoppiare quello di Świnoujście, in fase di modernizzazione.

Considerati i prezzi europei, i ridotti premi asiatici e le tariffe di trasporto a breve, per gli USA è più vantaggioso dirigersi verso l’Europa che non verso la regione Asia-Pacifico. Ora, nel 2018, le importazioni di GNL in Europa sono cresciute del 10,6%, in buona parte grazie al GNL russo dalla penisola di Jamal; ma nei primi due mesi e mezzo del 2019, le esportazioni di Gazprom verso Europa e Turchia sono diminuite del 8,62%, per l’arrivo in Europa di altro GNL.

Come noto, i contrasti tedesco-americani vertono principalmente sul gas, anche se non solo. La Casa Bianca chiede alla Germania di ridurre l’acquisto di gas dalla Russia, ma anche l’importazione dalla Cina di componenti informatici e gli scambi con l’Iran. Ma la disputa è anche sul bilancio militare che, per Berlino, si avvicina ai 43 miliardi di euro, pari a 1,2% del PIL. Merkel si era impegnata a portarlo al 1,5% (contro il 2% che Washington pretende dagli “alleati” europei), ma pare che arriverà solo al 1,37% nel 2020, per poi ridiscendere fino al 1,25% nel 2023. Nonostante alcune divergenze di vedute col Ministero della difesa, pare che la coalizione governativa non intenda rischiare una troppo netta contrapposizione con l’elettorato, che chiede di non seguire il corso americano.

La faccenda si è inasprita poi in questi giorni, con “il caso” dell’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell e della richiesta da parte del vice presidente del Bundestag, il liberaldemocratico Wolfang Kubicki, di dichiaralo “persona non grata”, per le sue interferenze negli affari tedeschi, tipiche di un “alto commissario delle autorità di occupazione”, soprattutto proprio sulla questione del “North stream 2”.

E, a quanto pare, Berlino sembra avviarsi anche alla rinuncia del previsto acquisto di 45 aerei americani Boeing F/A-18 per l’arsenale atomico USA in Germania; non a caso, Angela Merkel, per bocca di Annegret Kramp-Karrenbauer, leader della CDU, ha elevato i “comuni valori europei” a livello di una questione di “sicurezza comune” franco-tedesca e, dunque, di un possibile “impegno congiunto” Berlino-Parigi per la costruzione di una portaerei, armata di aerei da guerra franco-tedeschi.

Dunque, le premesse per un “asse” polacco-americano sembrano esserci. Ora, poi, Varsavia ha escluso la Russia (ma non la Germania) dai paesi – USA, NATO, UE e paesi del “Partenariato orientale” con la UE: Azerbajdžan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina – invitati a partecipare, il prossimo settembre, alle iniziative per l’80° anniversario della Seconda guerra mondiale. Il pretesto: come sosteneva a suo tempo l’ex Ministro degli esteri Witold Waszczykowski, l’URSS, insieme alla Germania, “porta la responsabilità per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale” e quando la Russia ha fatto osservare che essa è considerata “erede legale dell’URSS”, che ha dato il maggior contributo alla vittoria sul fascismo, i polacchi hanno balbettato che gli inviti sono stati spediti “a partire dalla realtà contemporanea e non storica”.

Considerando la realtà storica, infatti, Varsavia avrebbe dovuto spiegare i numerosi fatti di incitamento all’aggressività nazista e di intesa con il regime hitleriano negli anni ’30. Sulla Vistola, si sostiene che le iniziative del prossimo settembre coinvolgeranno gli “Stati con cui la Polonia lavora per la pace, basata sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità statale, ma la violazione di queste regole era caratteristica degli aggressori nel 1939 e rimane la più grande minaccia per il mondo di oggi”: come se la Polonia, il 30 settembre 1938, subito dopo il patto di Monaco, non si fosse affrettata a invadere la Cecoslovacchia.

Ma tant’è; basti ricordare che il premier Mateusz Morawiecki, col pretesto della proibizione delle “organizzazioni che glorifichino il nazismo tedesco o un qualsiasi altro regime totalitario”, ha di fatto messo fuori legge il Partito comunista polacco, accusandolo dell’uso di “simboli proibiti” e “glorificazione del comunismo”.

…compiuta l’offerta, pagato il tributo alla dea, ai luoghi ridenti arrivarono…”, direbbe Virgilio.

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