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Unione Europea, Eldorado triste del denaro facile

Quando si incontrano dei paradossi bisogna essere felici, perché significa che stiamo per scoprire qualcosa che non sapevamo. Naturalmente bisogna ricordare che un paradosso è un modo verbale di raffigurare una realtà contraddittoria, una figura retorica originale – insomma – cui viene costretto il pensiero alle prese con qualcosa che sembra anche il suo contrario.

In economia abbondano gli stregoni, specie tra coloro che vengono delegati a prendere decisioni o a spiegarci quali sono le cose “giuste” da fare. E qui i paradossi appaiono praticamete ad ogni angolo.

Prendiamo il miracolo economico degli ultimi anni, ossia la politica monetaria ultra-espansiva praticata dalla Banca Centra Europea (Bce). Si dice, ed è giusto, che questa politica abbia impedito un avvitarsi recessivo e deflazionistico della crisi nel teatro europeo. Ma si dice anche, ed è altrettanto giusto, che una politica del genere – definita dallo stesso Mario Draghi come “non convenzionale” – può provocare alla lunga molti problemi. Forse ancora più grandi.

La natura costitutivamente contraddittoria dell’economia capitalistica (si produce per ricavarne profitto, non per soddisfare necessità o bisogni) non consente mai di considerare una politica, una metodo, una soluzione, ecc, come il rimedio definitvo. E quei problemi immaginati all’inizio dei quantitative easing decisi da Francoforte stanno ora diventando palesi. Molti di questi, soprattutto, risultano davvero inaspettati.

La critica ordoliberista tedesca (urlata spesso da Wolfgang Scaeuble e Jens Weidmann, rispettivamente ministro delle finanze e presidente della Bundesbank) si concentrava sull’attesa che l’acquisto di titoli di stato da parte della Bce – considerato un finanziamento indiretto per gli stati ineteressati – avrebbe attenuato la tensione dei governi a realizzare “riforme strutturali” e “aggiustamenti di bilancio”.

Questo non è accaduto, o è avvenuto in misura minima (per esempio la “flessibilità” dello zero virgola concesso all’Italia e qualche altro paese nell’avvicinamento agli obiettivi di deficit/Pil), anche se resta l’allarme principale lanciato da Berlino.

Il “pubblico”, insomma, continua a premere sul pedale dell’austerità, esattamente come prima, anzi con più determinazione (indotta dalla Troika e dai “mercati finanziari”). È invece il “privato” a dedicarsi con passione al vizio del maggiore indebitamento, confidando nellla eccezionale concessione di credito a costo zero che la Bce garantisce.

Il paradosso esplode quando questo debito “a basso costo” viene usato per indebitarsi di nuovo, ma in altra moneta. Oppure per acquistare azioni proprie in Borsa, gonfiando così le quotazioni ominali senza produrre un solo articolo in più. La fantasia dei finanzieri speculativi è infinita, impossibile immaginare prima cosa faranno e come lo faranno. Ma questa analisi dell’ottimo Morya Longo, su IlSole24Ore di ieri, ce ne dà un significativo assaggio. Specie per quanto riguarda le conseguenze dell’attuale politica monetaria della Bce:

Per esempio:

la politica dei tassi a zero della Bce, che contrasta con quella di tassi tendenzialmente in rialzo della Fed Usa, rende il mercato europeo più conveniente per chi s’indebita.

Fin qui tutto bene, in apparenza, se quell’indebitamento avvenisse – come sperato dalla Bce – per fare investimenti (le imprese) o per aumentare i consumi e dunque la domanda aggregata (le famiglie), allargando così il mercato solvibile a disposizione dei produttori (materiali o “immateriali”, non conta nulla).

Il problema è che il mercato funziona in un altro modo, e dunque:

con tassi bassi e con un compratore come la Bce, il mercato dei corporate bond è diventato l’Eldorado delle imprese mondiali

Primo problema: i beneficiari del denaro facile non sono soltanto le imprese europee, ma qualsiasi impresa mondiale (i mercati finanziari, del resto, sono gli unici davvero “aperti”, incontrollati e incontrollabili). Secondo problema: queste imprese, in genere multinazionali, oltre ad indebitarsi con la Bce a costo zero, emettono a loro volta più titoli di debito (circa il doppio degli anni precedenti) perché hanno la ragionevole certezza che quei titoli di debito verranno comunque comprati. Nel peggiore dei casi dalla stessa Bce, che dunque con una mano presta e con l’altra compra debito…

Ma al peggio non c’è mai fine:

molte aziende si indebitano con il solo fine di “drogare” la Borsa a proprio vantaggio. L’effetto finale è di drenare risorse dall’economia reale, a vantaggio della finanza autoreferenziale

E quindi abbiamo un altro paradosso altrimenti inspiegabile: Borse che vanno sempre su (che si “valorizzano”) mentre le aziende quotate in quelle stesse Borse non aumentano affatto il fatturato o i profitti (va ricordato che i mercati azionari sono quell’ambiente in cui si scambiano azioni il cui prezzo rappresenta – o dovrebbe rappresentare – le attese di utili entro un certo tempo).

Terzo problema:

le imprese dei Paesi emergenti. Per anni si sono indebitate in dollari, quando i tassi Usa erano a zero e la Fed stampava denaro. Questo ha gonfiato il loro debito in maniera esponenziale, arrivato a fine 2015 – secondo una stima della Bri – a 3.800 miliardi di dollari. Questo è il motivo per cui quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi, su questi Paesi è partito il terremoto.

Anche queste imprese, o direttamente quegli Stati, dovrebbero a questo punto trovare conveniente indebitarsi in euro, con il risultato di trasformare la Bce nella Cassa depositi e prestiti del pianeta. Il che, ovviamente, non può avvenire o durare più di qualche giorno.

L’ultimo apparente paradosso è dunque che la banca centrale dell’Unione Europea, dominio in cui vige una durissima scelta di austerità sui bilanci pubblici, è diventata l’Eldorado del denaro facile per il capitale privato del mondo. Senza trarne alcun motivo di gioia, anzi…

Un’avvertenza per i lettori meno esperti: queste considerazioni non “sposano” affatto le tesi, per esempio, dell’ordoliberismo tedesco contro la politica della Bce. Abbiamo fatto delle constatazioni, piuttosto oggettive. Consideriamo infatti “normale” che questa crisi sistemica non trovi nessuna soluzione, e che dunque si sviluppi in modo contorto, sempre meno “convenzionale”, distruggendo – oltre agli assetti costituzionali e alle libertà di molti paesi civilissimi – anche le basi teoriche su cui si fondano in ultima analisi le scelte degli organismi di regolazione sovranazionale (per esempio: come la mettiamo con il Fmi che ora sponsorizza l’idea di tagliare significatvamente il debito pubblico greco?).

Il problema è insomma questo modo di produzione, giunto a un tornante della sua storia da cui si vedono soltanto baratri.

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L’Europa diventa la nuova meta per il «turismo» del denaro facile

Morya Longo

Ci mancano solo i voli charter. I tassi ormai a zero e l’avvio imminente di un programma di acquisti di obbligazioni aziendali da parte della Bce hanno infatti trasformato l’Europa nella meta preferita per i «turisti» del denaro facile. Imprese americane come McDonald’s o Philip Morris, aziende dei Paesi emergenti come la messicana Pemex o l’ungherese Mol, grandi corporations mondiali come la cinese Hutchison: sono sempre più le società internazionali che decidono di sfruttare le eccezionali condizioni di mercato in Europa (per chi si indebita s’intende), per venire qui a raccogliere denaro conveniente attraverso il mercato obbligazionario denominato in euro. Così la politica monetaria della Bce, studiata per far ripartire il motore del credito in Europa, sta indirettamente avvantaggiando anche aziende estere. E sta favorendo ulteriormente l’opportunismo finanziario, come per anni ha fatto la Fed. Con il rischio che la pila di debito globale continui a crescere.

Sono i dati, elaborati da Dealogic per il Sole 24 Ore, a parlare chiaro. Da quando la Bce ha portato i tassi sui depositi sotto zero (cioè 25 mesi fa, dato che era il giugno 2014), le imprese non europee hanno emesso obbligazioni denominate in euro per un totale di 170 miliardi. Si tratta di una cifra pari quasi al doppio rispetto ai 98 miliardi dei 25 mesi precedenti. Nei primi quattro mesi e mezzo del 2016 (i dati sono aggiornati a ieri), le imprese non europee hanno emesso circa 35 miliardi di euro di obbligazioni in Europa: si tratta di una crescita esponenziale rispetto ai 17 miliardi dello stesso periodo del 2014, ai 17 del 2013, ai 3,5 del 2012 e ai 4 del 2011. Nel frattempo sono aumentate anche le emissioni di obbligazioni da parte di aziende europee (italiane incluse), ma in un mercato super conveniente ci si stanno infilando un po’ tutti. Da tutto il mondo.

Le imprese internazionali arrivano in Europa a raccogliere finanziamenti sul mercato dei bond per due motivi. Il primo è legato al costo: la politica dei tassi a zero della Bce, che contrasta con quella di tassi tendenzialmente in rialzo della Fed Usa, rende il mercato europeo più conveniente per chi s’indebita. Si pensi che mediamente (secondo l’indice di Bloomberg) le obbligazioni aziendali con rating investment grade in America rendono il 3%, mentre in Europa lo 0,8%. Anche usando i derivati per annullare il rischio cambio, alle aziende Usa conviene indebitarsi in euro. E anche a quelle di molti Paesi emergenti. Il secondo motivo è legato all’imminente programma di acquisti di bond aziendali da parte della Bce: da giugno Draghi inizierà a comprare corporate bond in euro, anche quelli di imprese estere se sono stati emessi attraverso società controllate nel Vecchio continente. Morale: con tassi bassi e con un compratore come la Bce, il mercato dei corporate bond è diventato l’Eldorado delle imprese mondiali.

Con questa manovra la Bce ha un obiettivo positivo: spera di far confluire denaro direttamente alle imprese, dunque all’economia reale. Inoltre aumenta la portata del suo bazooka monetario. Però, come tutte le medicine molto aggressive, anche questa ha i suoi effetti collaterali. Il rischio è proprio quello descritto sopra: che questa manovra fomenti ulteriormente il «turismo finanziario», che favorisca l’indebitamento di imprese dei Paesi americane o di Paesi emergenti già stordite da anni di denaro facile della Fed, che favorisca strategie finanziarie deleterie. Insomma: che alimenti ancora una volta più la finanza che il mondo reale.

Basta pensare cosa fanno certe aziende americane: molto spesso s’indebitano non per fare investimenti, non per assumere lavoratori o per comprare macchinari. S’indebitano, emettendo bond anche in euro, semplicemente per comprare con i soldi presi in prestito le proprie azioni a Wall Street. Nel 2015, secondo i dati di Factset, le imprese americane hanno infatti speso la bellezza di 569 miliardi di dollari solo per ricomprare azioni proprie in Borsa: in questo modo fanno salire il loro titolo a Wall Street (gonfiando anche le buste paga degli amministratori delegati), e ritoccano al rialzo un parametro molto guardato come l’utile per azione. Insomma: molte aziende si indebitano con il solo fine di “drogare” la Borsa a proprio vantaggio. L’effetto finale è di drenare risorse dall’economia reale, a vantaggio della finanza autoreferenziale. Questo è l’effetto forse più deleterio della politica monetaria ultra-espansiva.

Problema diverso, ma non meno allarmante, per le imprese dei Paesi emergenti. Per anni si sono indebitate in dollari, quando i tassi Usa erano a zero e la Fed stampava denaro. Questo ha gonfiato il loro debito in maniera esponenziale, arrivato a fine 2015 – secondo una stima della Bri – a 3.800 miliardi di dollari. Questo è il motivo per cui quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi, su questi Paesi è partito il terremoto. Ma se ora le loro imprese trovano un altro mercato fertile per indebitarsi, cioè quello europeo, il rischio è che il meccanismo si moltiplichi all’infinito e che in quei Paesi non avvenga mai un aggiustamento strutturale. La speranza è che la politica ultra-espansiva della Bce si riveli efficace in fretta e che possa essere ritirata prima che gli effetti collaterali superino i benefici. E prima che i voli charter si dirigano in altre direzioni future.

m.longo@ilsole24ore.com

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