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Ballottaggi. Si delinea l’asse Renzi-Berlusconi

Come può sopravvivere Renzi alla prima sconfitta seria della sua non lunga carriera? Salvando le poltrone di sindaco ai candidati Pd di Torino, Roma, Milano e Bologna. Non ha molte alternative, del resto. Perdere una qualsiasi di queste città sarebbe un danno serio, per motivi anche diversi, ma egualmente rilevanti. Perderne più d’una sarebbe forse fatale, in vista del referendum.

La Capitale è pur sempre la Capitale, anche se la mafia in Campidoglio (in combutta con i fascisti e Massimo Carminati) e la defestrazione di Ignazio Marino sono episodi troppo grossi e recenti per poter essere bypassati. L’impresa è disperata ma va tentata con qualsiasi mezzo. Una rimonta “alla Valentino Rossi” potrebbe rilanciarlo come vincente, anche se la sconfitta di misura sarebbe in fondo quasi accettabile (ci penserebbe poi il governo a impedire ai Cinque stelle di fare alcunché, tagliando brutalmente le risorse e/o scatenando le clientele più “di mano”, in stile camionisti cileni).

Milano è partita complicata perché se la deve vedere con una delle poche roccaforti berlusconiane ancora in piedi, dove l’unità con la Lega regge (a fatica, ma regge). Può provare a recuperare una “sinistra” che più friabile e inconsistente non ce n’è, ma anche quei pochi voti non sono trasportabili con certezza nella cassaforte di Sala.

Torino non può esser presa per tante ragioni, a partire dal fatto che è la città della Fiat e Marchionne non vedrebbe di buon occhio l’aver sponsorizzato un perdente. Poi c’è anche Fassino, vecchio surfer sopravvissuto a ogni rottamazione, che può ammiccare a sinistra e a destra.

Bologna è la trincea simbolica, il bis della sconfitta con Guazzaloca (1999) metterebbe Renzi al livello impietoso dell’allora premier (Massimo D’Alema) e del segretario del Pds (“Uòlter” Veltroni).

Quattro partite da giocare a livello nazionale, ma senza dare ragione a chi dice che il voto del 5 giugno ha un significato politico solare. Servono dunque alleanze sotterranee, come quelle che a Roma hanno portato Giachetti dal sottoscala (10% o poco più) al ballottaggio. I palazzinari alla Marchini e Caltagirone, passando per Parnasi e tanti altri, si giocano tute le speranze – prima di essere scalzati da concorrenti più potenti provenienti dagli Usa (Pallotta), Cina, Russia e sceicchi vari – sull’assegnaziona a Roma delle Olimpiadi. Per riuscirci serve che i berlusconiani si mobilitino come un sol uomo a favore dell’ex segretario di Rutelli (una garanzia di sciagura, per Roma). Ma vanno bene anche gli ex vendoliani che devono difendere le poltrone (e ce ne sono, tra circoscrizioni e Regione), qualche “meloniano” con radici nel cemento palazzinaro, oltre agli immortali amici di Bertone e della connection curiale.

Una conferma indiretta arriva da alcuni retroscena sui quotidiani mainstream, oltre che dai movimenti visibili in alcuni quartieri romani e dalle inviperite frecciate di Giorgi Meloni, che ha pagato il tributo dei “marchiniani” al depresso Giachetti. Il Corriere della sera, per esempio, lo scrive quasi esplicitamente:

Renzi però in questi giorni fa il segretario del Pd, ci sono le Amministrative. E da segretario del Pd ha detto che «c’è sempre Berlusconi». Difficile pensare a una semplice carineria, difficile arrivare a una clamorosa rappacificazione: ma un tentativo di captatio verso l’elettorato forzista può servire. Ci sono le Amministrative.

Altre mosse sarebbero meno rilevanti. Denis Verdini e i suoi, fuori del Senato o di Montecitorio, valgono l’uno virgola…

Poi c’è sempre un giro di propaganda all’ultimo secondo, come il «no tax day» del 16 giugno, in cui

il Pd per festeggiare l’abolizione dell’Imu e della Tasi. Ed è ovvio che un’iniziativa simile, a ridosso dai ballottaggi del 19 giugno, verrà utilizzata dal Partito democratico anche in chiave elettorale. Tanto più se, come pare, il premier in quell’occasione delineerà gli ulteriori tagli delle tasse che dovrebbero essere contenuti nella prossima legge di Stabilità. Un antipasto della politica fiscale che il governo ufficializzerà poi a ottobre.

Ma più si avvicina il ballottaggio, meno certe scadenze sembrano decisive. I voti di Arcore, invece, sono più importanti. Chissà se basteranno. Ma che non si sappia in giro troppo presto…

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5 Commenti


  • marco

    scusate, ma non è che serve il governo per impedire ai 5 stelle di fare alcun che.
    rifondazione quando era comunista con un picco del 9% è riuscita a fermare per 15 anni ogni riforma costituzionale e buona parte degli attacchi allo statuto del lavoro.
    Questi con un tetto del 25% non sono riusciti a fermare una palla di gelato in un forno.
    come opposizione persino i radicali con il 2.8& facevano di più.
    ed è tutto dire.
    finchè li pensate ad uno sfogatoio di protesta e di destabilizzazione va anche bene…. ma suvvia se pensate che abbiano una qualche validità progettuale….. bhe….
    non mi esprimo per decenza


  • Giovanni

    FASCISTOIDE , DEMOCRISTIANA e PALAZZINARA, Questa è Roma, di fatto se si sommano i voti dei vari Giachetti Meloni, Marchini e compagnia cantando, la fotografia appare molto chiara, e se fanno convergere i voti su Giachetti, capace pure che vincono il ballottaggio. Sono contento per Mustillo del PCI ,considerato il totale oscuramento che hanno avuto, i circa 10300 voti sono un piccolo miracolo, e da qui bisogna ripartire. Saluti Comunisti.


  • Francisco

    @ Marco
    Geniale il riferimento a Rifondazione… nonostante tutto!
    Chissà se la validità progettuale dei pompieri del dissenso non consiste proprio nel tenere in piedi Renzi fino all’adempimento del suo impegno con chi sappiamo.
    Di occasioni per mettergli i bastoni tra le ruote ne hanno avute fin troppe, ma tutte glissate.
    Se il governo Renzi sta bruciando tutte le sue credenziali in così breve tempo è segno che deve portare a termine delle operazioni alle quali nessuno vuole opporsi, entro il 2018, robe già “legalizzate” dal governo Monti, dimostrando tra l’altro che non siamo all’apoteosi del leaderismo come si vuol far credere ai gonzi, visto che brucerà anche lui alla fine di questo gioco, ma piuttosto alla costruzione di una tenaglia che costringe subalterni e proletariato a silenzio e impotenza, ciò che già avviene con l’assenza della sinistra dal panorama non solo parlamentare, ma addirittura politico come percezione nella società, il tutto condito dalle nefaste riforme imposte.
    Renzi è il megalomane di turno, come lo sarà un grillino qualsiasi, come lo era Berlusconi e chi lo precedette circa un secolo fa.
    Chi meglio di un megalomane può servire una tal causa?


  • marco

    @ francisco.
    in effetti ho sbagliato, invece di dire quando rifondazione era comunista, sarebbe stato più corretto “quando c’erano un bel po’ di comunisti dentro rifondazione”
    infatti il primo passo per disinnescare il prc sono state le purghe del terrore bertinottiano, lo smantellamento del partito pesante verso una forma liquida più simile al movimento (che si sa, è più permeabile alle infiltrazioni, più controllabile e quando non serve più si fa sparire subito) e infine con la destrutturazione ideologica si era pronti non alla desistenza ma alla complicità attiva del secondo governo prodi.


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