Siamo soliti sentir parlare di “partite rubate” e giammai di “squadre rubate”, facciamo un poco di fatica ad immaginare come ciò possa essere possibile. Eppure in Ucraina lo hanno fatto, si sono rubati una squadra: lo Shakhtar Donetsk.
Lo Shakhtar è la squadra più importante dell’ex-Ucraina ed è della città di Donetsk, dove venne fondata nel 1936. Originariamente si chiamava “Stakhanovets”, in onore del minatore più famoso del mondo. La squadra era una sorta di “dopolavoro” dei minatori e infatti poco dopo cambiò nome, la parola “shakhtar” significa proprio “miniera”. Quella estrattiva è la principale attività di tutta la regione del Donbass, in cui si trova anche la città di Donetsk.
Donetsk si ricorda bene degli italiani, nel 1941 la città venne assediata e conquistata dalle truppe dell’Asse. In tutta la “Campagna di Russia” quella fu una delle poche battaglie che venne vinta. La città fu distrutta e contro la popolazione civile vennero perpetrati feroci crimini. Pertanto l’Italia ha un grande debito verso gli abitanti di Donetsk.
Nel dopoguerra, per festeggiare la vittoria, lo Shakhtar adottò come colori sociali l’arancione e il nero, i colori della massima onorificenza militare dell’Unione Sovietica, il nastro di San Giorgio. Quelli furono anche gli anni in cui la squadra crebbe significativamente sul piano tecnico affermandosi come una delle migliori di tutta l’Unione Sovietica. Di lì a poco arrivò anche il lancio internazionale, culminato con la vittoria della Coppa UEFA 2008-2009. Lo stadio dello Shakhtar è uno dei più belli del mondo e nel 2012 fu tra quelli che ospitò i campionati europei di calcio.
Donetsk è profondamente legata alla propria squadra e ne va particolarmente orgogliosa, non tanto perché sia uno dei pochi motivi per cui la città sia famosa nel mondo, quanto perché si tratta di una cosa che la città sente realmente come propria. Non si tratta di un club fondato da facoltosi filantropi, ma di una squadra nata e sviluppatasi dall’autorganizzazione popolare. Tuttavia, nel culmine del disastro post sovietico degli avidi e ambigui oligarchi riuscirono ad impossessarsi della squadra come di qualsiasi altro bene del paese.
Nel 2014 in ucraina ci fu un golpe che portò al potere una Junta fascista, la città di Donetsk (insieme al resto del Donbass) si sollevò in armi affermando il proprio diritto all’autodeterminazione. Ne scaturì una guerra sanguinosa che è ancora in corso ed è costata la vita a non meno di 10mila persone.
Durante le fasi più dure del conflitto, il Presidente dello Shakhtar trasferì la squadra a Leopoli, una città che non solo è dal lato opposto dell’Ucraina (a più di 1200 Km), ma che soprattutto è notoriamente la più fascista di tutto il paese. La squadra venne letteralmente rubata, fu tutto spostato con un rapido trasferimento operato in gran segreto. L’ultimo affronto contro un popolo che resiste. L’assedio non è solo militare, ma anche psicologico.
Lo Shakhtar è una squadra del popolo, un pezzo della storia e dell’identità della città, non si può trattarla come un moderno club che si può comprare, vendere, rinominare, spostare, ecc.
Ora il Napoli dovrà affrontare lo Shakhtar in Champions Leaugue e quindi tutti gli italiani sono chiamati in causa per riaffermare i valori antifascisti, per il debito che abbiamo verso la città di Donetsk e per amore di un calcio diverso da quello che ci vogliono imporre.
Questo è il momento di far valere il diritto della città di Donetsk a riavere indietro la propria squadra.
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fp
se a qualcuno degli ex-ragazzi, antifascisti, di quelli ancora in vita, costretti da mussolini ad andare ad aggredire l’Unione Sovietica, chiedete fin dove fossero arrivati, quasi sicuramente risponderà “fino a Stalino”, forse il punto più orientale, insieme a Gorlovka, raggiunto dal grosso delle truppe italiane.
Stalino: così si chiamava allora Donetsk, la città mineraria fondata nell’ultimo quarto del XIX secolo dall’inglese Hughes (fino al 1924 si chiamò infatti Juzovka, dalla pronuncia russa di Hughes): Stalino, nome che portò dal 1924 al 1961 e che solo indirettamente si riferiva a Stalin, ma più direttamente proprio all’acciaio. Proprio noi italiani siamo davvero quelli più in debito con Stalino-Donetsk.