Un’estate calda, pesante, che si trascina con un dibattito infinito intorno alla Manovra, ai sacrifici che cittadini e lavoratori dovranno ancora una volta fare per “aiutare il Paese”. Un’estate così calda che persino la CGIL, dopo aver firmato gli accordi-truffa del 28 giugno e dopo la luna di miele con Confindustria, è costretta a scendere in piazza.
Così già il 6 settembre – giorno dell’approvazione delle misure in Senato – è stato proclamato dalla CGIL uno sciopero generale, che per la prima volta vedrà sfilare contemporaneamente anche buona parte del sindacalismo di base… Una mobilitazione così rapida, e per molti aspetti unica, che dobbiamo provare a cogliere nelle sue potenzialità, perché potrebbe rappresentare la prima scintilla di un grande incendio.
La prima cosa che dobbiamo affermare con forza è che intorno alla Manovra si sta consumando un gioco delle parti, anzi, una farsa. Mentre i partiti discutono dei provvedimenti, rispecchiando ognuno il proprio elettorato e la propria base di consenso, cercando la quadratura del cerchio, nessuno dice che questa Manovra nei fatti è già stata superata, e ce ne vorrà una terza.
Le misure proposte sono sostanzialmente già state bocciate dalle principali testate economiche internazionali (come il Wall Street Journal), è già stata respinta dalla Corte dei Conti, aspramente criticata da Confindustria e da Bankitalia… L’UE non si è ancora espressa nettamente contro solo perché denunciare l’inefficacia del Governo darebbe via libera alla speculazione contro l’Italia e contro l’euro, e quindi sarebbe un mezzo suicidio.
Perché non piace? Perché non risolve nessuno dei problemi strutturali dell’Italia nemmeno da un punto di vista “capitalistico: è una Manovra depressiva, frutto di un mercanteggiamento da bottega.
Se a questo scenario di crisi economica e politica aggiungiamo gli ultimi dati sull’inflazione, in aumento del 2,4% (mentre intorno il paese è fermo ed i consumi addirittura in calo: un’inflazione importata, insomma, che deriva dall’aumento del costo delle materie prime e che quindi non lascia presagire nulla di buono), e le scadenze dei prossimi mesi per il rifinanziamento del debito pubblico, la farsa diventerà ben presto tragedia.
Altri attacchi speculativi e pressioni finanziari (lo dice oggi a mezza voce Monti) metteranno in luce i limiti della manovra, e si arriverà presto ad aggredire i veri nodi: riforma previdenziale (in particolare con il superamento della pensione di anzianità), attacco a 360° ai diritti dei lavoratori (in particolare allo Statuto ed al contratto collettivo nazionale), privatizzazioni e liberalizzazioni su larga scala. D’altronde si devono liberare spazi di profitto, e per il capitale profitto vuol dire mercificare, rendere cioè merce e dunque redditizio, ogni settore: trasporti, sanità, istruzione etc
Insomma: dietro la curva di questa Manovra c’è il burrone della prossima!
E veniamo così al secondo punto: l’inadeguatezza dell’opposizione. La CGIL sta chiamando i lavoratori a scendere in piazza contro una Manovra che è già superata, e quindi sta smorzando sin da subito il suo potenziale d’impatto, impegnandosi in una lotta contro i fantasmi. E tutto ciò non certo per “ingenuità”: ha chiamato questo sciopero sotto la pressione della sinistra sindacale, consapevole di un malcontento di base, e solo per contare qualcosa nella negoziazione delle briciole. In realtà la CGIL scende in piazza ora per non farlo dopo, gioca subito una carte importante come lo sciopero generale perché quando i giochi si faranno davvero duri – gli spazi di mediazione si eroderanno, e quindi o si mostrerà la necessità di rompere con il sistema, con le politiche si austerity europee etc, o ci si dovrà stare – accetterà la posizione della “responsabilità nazionale”.
Per questo ci vuole da subito un’inversione di tendenza netta, ed è questo uno degli insegnamenti che ci viene dalla Grecia, che ha passato tre anni di crisi analoga alla nostra. Di fronte alla “responsabilità nazionale”, bisogna sottolineare la nostra irresponsabilità. Di fronte a chi ci imputa di essere in debito, dobbiamo dire di essere in credito, perché sono anni che paghiamo tutto: tasse, aumento del costo della vita, mancanza di servizi. Di fronte a chi ci vuole manovrare, in tutti in sensi, dobbiamo affermare la nostra incompatibilità.
Ma come lo si fa? Innanzitutto diffidando delle soluzioni semplici, e questa è la terza cosa che dobbiamo ripetere sempre. Il tempo stringe, dopo tre anni di crisi il capitale pretende dei cambiamenti necessari per cominciare un nuovo ciclo di accumulazione: alla resa dei conti, o si interviene su certi nodi o non si è in grado di governare questi processi, che superano di gran lunga il quadro della sovranità nazionale. Non bisogna quindi credere a chi vede nelle elezioni e nella costruzione di fantomatiche “alternative” una soluzione. Non sarà quello che rimane della “sinistra” a interpretare questa discontinuità, è più probabile che lo faccia Montezemolo. Anche qui dietro la curva delle illusioni riformiste c’è il burrone dell’ennesima illusione, sconfitta, dispersione.
Così come, le tante rivolte degli ultimi tempi lo dimostrano, nemmeno infiammare le strade conduce necessariamente al successo: le forze che decidono delle nostre vite hanno leve più grandi della rabbia che possiamo mettere in piazza qualche settimana. Hanno la repressione, il controllo dei media, una strategia di contenimento a cui noi possiamo rispondere solo se abbiamo una strategia di avanzamento su obbiettivi chiari: aumento del potere di acquisto, meno lavoro a parità di salario, lavoro per tutti…
Ma queste difficoltà ci dicono forse che dobbiamo stare a casa perché il compito è troppo difficile, che non dobbiamo lavorare instancabilmente perché quest’autunno porti una sollevazione di massa? Assolutamente no! Al contrario: solo se si muovono le masse possiamo imparare qualcosa, e bisogna essere coscienti che in questa battaglia ciò che possiamo cercare di ottenere è di organizzarci sempre in maggior numero e sempre meglio, sempre più uniti, con analisi ed obbiettivi sempre più chiari.
Come ci ricorda Marx: “Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più”. Se dentro questa crisi riusciremo a costruire livelli di organizzazione politica un minimo significativi, tessendo anche rapporti con le altre reti europee, se riusciremo a coinvolgere in prima persona i lavoratori, a portarli allo scontro, sedimentando coscienza di classe e facendo vivere questa esigenza proletaria dentro i quartieri, le scuole, le università ed i posti di lavoro, facendo presente a tutti che il problema è il capitalismo stesso e che il sistema è irriformabile, allora avremo ottenuto più di quello che abbiamo ottenuto negli ultimi dieci anni.
Il nostro appello ai lavoratori è quindi ad essere lucidi, a far valere in ogni istante i nostri interessi come classe, sapendo che ci aspetta una stagione difficile, ma anche – dipende solo da noi! – esaltante.
COLLETTIVO CLASH CITY WORKERS – LAVORATORI DELLA METROPOLI IN LOTTA
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa