Ai tempi (2007/2008), si diceva che la crisi era finanziaria e passeggera, dovuta in primo luogo all’ingordigia di qualche banchiere che aveva giocato troppo con i titoli “tossici”, e che quindi con un risoluto intervento degli Stati a ripianare le falle del sistema bancario e confidando nelle capacità regolatrici del mercato, la questione con qualche sacrificio si sarebbe risolta.
La crisi era inoltre il prodotto di condotte sciagurate di Governi che non rispettavano i “parametri” europei e di popoli che si ostinavano a vivere al di sopra delle loro possibilità, sperperando risorse nell’acquisto di merci che non potevano permettersi. Questa la ragione delle difficoltà dei greci, poi degli irlandesi, dei portoghesi e degli spagnoli.
In tempi non sospetti dicemmo che al gruppo di Stati “maiali”, i PIGS, mancasse una “I”, quella del nostro paese, ma (ancora l’altr’anno) si affermava da più parti che l’Italia era un paese troppo grande e con i “fondamentali” a posto per poter essere coinvolto nella crisi.
Anche sulla natura e le origini della crisi siamo stati una voce fuori dal coro, perché abbiamo indicato come il crollo di carattere finanziario dovuto allo scoppio delle bolle speculative fosse solo la punta dell’iceberg di una crisi del modello di accumulazione, partita già negli anni ’70, che sta mettendo in discussione, forse in modo irreversibile, il modo di produzione capitalistico.
Le politiche neo-liberiste, le privatizzazioni, la finanziarizzazione dell’economia attuate da più di un ventennio sono servite a contenere la crisi internazionale del capitale, che oggi esplode e dilaga a livello globale mostrandone i caratteri di strutturalità e sistemicità.
Ma tornando a noi, nessuno più dubita che oggi siamo a pieno titolo facenti parte degli Stati “maiali”, i PIIGS, ma la novità è che la “porcilaia” si va ogni giorno allargando e anche per gli stessi proprietari dell’allevamento, le cose non vanno più tanto bene.
La Francia è anch’essa entrata nel mirino della speculazione finanziaria e le differenze nell’asse Sarkozy-Merkel sul ruolo della UE e della Banca centrale crescono e incrementano le tensioni nell’Euro-polo.
La novità degli ultimi giorni è che anche la Germania comincia a pagare i prezzi della sua stessa politica. Per la prima volta, mercoledì scorso, i mercati hanno snobbato i titoli tedeschi. Solo due terzi dei bund sono stati venduti nell’asta del 23 novembre. Per la cronaca il tasso d’interesse sui bund, titoli tedeschi a scadenza decennale è dell’1,98%. Sempre per la cronaca nell’ultima asta dei Bot semestrali italiani del 25 novembre (offerti 8 miliardi, richiesti 10), il rendimento è schizzato al 6,504% quasi il doppio dell’emissione del mese precedente.
La crisi dunque si estende e si allarga, e oltre all’economia investe direttamente la questione della democrazia, avendo già prodotto la cessione di sovranità e il commissariamento da parte dei “vigilantes” europei (UE,BCE) di alcuni Stati dell’Europa del sud, Italia e Grecia su tutti.
E comunque i “mercati”, come stiamo vedendo, non prendono di mira solo gli Stati fortemente indebitati, quelli alle prese con il debito “sovrano”, ma ormai sono a tiro tutti, compresi l’Austria, i Paesi Bassi e la vasta area neo-colonizzata dell’ex Europa dell’ est nella quale dopo l’89 si sono riversati gli interessi del capitalismo occidentale.
“L’autorità austriaca dei mercati finanziari e la banca nazionale tirano il freno sui crediti nell’est Europa”, titola il Die Presse, mentre l’agenzia di rating Moody’s sta esaminando le prospettive del debito austriaco. Il quotidiano viennese teme “un fallimento dello stato provocato dalle banche sul modello dell’Irlanda”, perché le banche austriache dopo diversi “anni di euforia” hanno investito quasi 300 miliardi di euro – una cifra superiore al Pil del paese – in Europa centrale e orientale. Crediti che fra il 6 e il 40 per cento dei casi sono diventati degli attivi difficilmente esigibili.
“La decisione della banca centrale austriaca chiude la fase attuale della crisi e apre probabilmente la prossima”, osserva un editoriale di Romania Libera da Bucarest. “Gli effetti concreti saranno pesanti – ulteriore pressione sulla moneta nazionale, tassi di interesse in aumento, difficoltà per lo stato a ottenere crediti.”
Stessa sorte per “paesi come l’Ungheria, la Romania, la Serbia o l’Ucraina che saranno obbligati ad affrontare – quanto meno per quanto riguarda le banche austriache – un improvviso ‘credit crunch’, cioè una repentina difficoltà a ottenere crediti”, afferma il giornale ceco Respekt.
Sugli sviluppi nel versante Est, quello che abbiamo definito la IV Europa, andrà prestata molta attenzione perché se da un lato, nonostante la fortissima crisi economica e sociale prodotta dall’introduzione del modello capitalista, ancora non si stanno esprimendo con forza le istanze di lotta e di cambiamento, dall’altro i loro destini sembrano incrociarsi sempre più con quelli della declassata e commissariata Europa mediterranea.
In chiusura, a proposito di Europa, crisi e democrazia, alleghiamo un comunicato stampa del Partito Comunista d’Irlanda del 17 novembre che è assolutamente consonante con la situazione del nostro e di altri paesi:
La democrazia in Europa è minacciata – Chi guida l’Irlanda?
La rivelazione che oggi (17 novembre) sono stati trovati documenti relativi al prossimo bilancio (irlandese) nel Bundestag tedesco, con politici tedeschi intenti a studiarne attentamente il contenuto, mentre né Dáil Éireann (Camera bassa irlandese), né, soprattutto, il popolo irlandese hanno visto o letto cosa questi documenti riservano loro, è quasi incredibile.
Le opinioni del popolo irlandese contano poco, perché è ormai chiaro che ciò che la Germania vuole, Merkel prende, e il popolo irlandese pagherà il prezzo. Sembra chiaro che, nonostante le smentite, Taoiseach Enda Kenny (premier irlandese) ha consegnato questi documenti durante la sua recente visita a Berlino.
I lavoratori e le loro famiglie non solo sono costretti a pagare un debito che non è loro, ma adesso devono pure liquidare la democrazia per mantenere a galla le banche tedesche e francesi.
La democrazia è ora in grave pericolo: gli eventi in Grecia, Italia e ora Irlanda mostrano il vero potere al centro dell’Unione europea. Siamo stati testimoni di due sostanziali colpi di stato, in Grecia e in Italia: con la rimozione dei due governi compiacenti, e la sostituzione in Italia da un governo composto da “tecnocrati” rappresentativi solo delle imprese, e in Grecia da un governo non eletto dal popolo.
La democrazia viene accantonata nell’interesse e per le esigenze dei monopoli e dei grandi interessi commerciali europei. La volontà e le opinioni dei popoli all’interno dell’Unione europea sono messi da parte: grandi pericoli sono di fronte a tutti i democratici.
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A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
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