Da Energy Bulletin. Traduzione di Massimiliano Rupalti
In questi giorni, non si legge altro che “Tristi notizie per i Discepoli del Picco del Petrolio”, secondo il Financial Post.
L’ultimo esempio:Leonardo Maugeri, un membro del Geopolitics of Energy Project al Belfer Center for Science and International Affairs della Kennedy School — e critico di lungo corso dell’analisi del Picco del Petrolio – ha appena pubblicato un nuovo rapporto, “Petrolio: La Prossima Rivoluzione”, nel quale prevede un netto aumento della capacità produzione mondiale di petrolio e il rischio di un collasso del prezzo del petrolio. Il suo rapporto ha innescato una valanga di articoli di stampa con titoli come “Nessun Picco del Petrolio in Vista”, “Il potenzale boom petrolifero statunitense scuote le politiche energetiche,” e “Il Picco del Petrolio Semplicemente non è più una Minaccia”.
Queste seguono a ruota una serie di altri articoli che propagandano un aumento di produzione di petrolio da depositi di scisti “tight” negli Stati Uniti – pezzi con titoli tipo “Il Picco del Petrolio ha raggiunto il Picco?” e “ L’idea del Picco del Petrolio è Morta?” E quelli che a loro volta cavalcano l’onda del largamente festeggiato libro di Daniel Yergin “The Quest”, che ha foraggiato una frenesia contro il Picco del Petrolio nei media lo scorso anno.
Il recente diluvio di trionfalismo cornucopiano ha provocato alcune risposte riflessive, comprese “L’idea di Picco del Petrolio ha… raggiunto il picco?” e “Il Picco del Petrolio è Morto?”, entrambi i quali vagliano le prove e concludono che la produzione mondiale di petrolio si comprende meglio se visto attraverso le lenti dei “picchisti” piuttosto che da quelle degli occhiali rosei dei detrattori del Picco del Petrolio.
Non c’è dubbio che i picchisti continueranno a produrre articoli riflessivi, ben ragionati e pieni di fatti che delucidano la precarietà delle forniture globali di energia. Tuttavia, il gran numero e la loro prominenza mediatica dei pezzi “Niente Picco del Petrolio” (sul Wall Street Journal e New York Times, persino su NPR – National Public Radio) sta avendo effetto. I siti picchisti hanno un declino del traffico in rete. E mentre ora molta più gente ha sentito parlare del Picco del Petrolio che non pochi anni fa, molti credono, sbagliando, che la sua assunzione fondamentale sia stata in qualche modo “smontata”.
Coloro fra noi che sono stati dietro a questa discussione per più di un decennio – dai giorni nei quali il geologo petrolifero Colin Campbell ha coniato la frase “Picco del Petrolio” e il “movimento” consisteva più che altro in discussioni quotidiane su un’oscura mailing list – hanno visto crescere la cosa come un fenomeno di specie, con libri, newsletter, siti web organizzazioni dedite sia all’analisi sia all’attivismo come cittadini. Evidentemente la crescente preoccupazione del pubblico circa l’inevitabile declino della produzione mondiale di petrolio ha infastidito qualche personaggio potente che ha annodato le proprie corde in cerca di un po’ di dati favorevoli (declino dei prezzi del petrolio, crescita della produzione) per usarli come pretesto per un linciaggio pubblico. La mentalità cornucopiana è sicuramente diffusa fra i leader nell’industria del petrolio (Rex Tillerson, Amministratore delegato di ExxonMobil, recentemente ha detto su cambiamento climatico e sicurezza energetica “Noi [esseri umani] abbiamo passato la nostra intera vita ad adattarci. Ci adatteremo… è un problema di ingegneria e ci sarà una soluzione ingegneristica”). Ma una simile incapacità di immaginare null’altro che finali felici è diffusa anche fra molti ambientalisti, come ho avuto modo di imparare lo scorso fine settimana all’Aspen Environment Forum, dove ho avuto un dibattito con Mark Lynas, autore di “Sei Gradi” e di “Le Specie di Dio”. Mentre gli ambientalisti vengono spesso accusati di essere allarmisti, essi possono anche manifestare un tratto di tecno-ottimismo ‘si può fare’. Stewart Brand (fondatore di Whole Earth Catalog), che è stato un altro relatore alla conferenza si è trasformato in un futurista pro-nucleare, pro geo-ingegneria e verde brillante. Jim Kunstler, anch’egli ad Aspen, ha riassunto il suo punto di vista sull’evento: “Il tecno-narcisismo scorreva come uno Slurpee fuso (una specie di granita). . . .”
Nel corso del dibattito, Lynas più di una volta ha citato una litania sulle previsioni sbagliate dei pessimisti, a cominciare da Malthus. Analogamente, Daniel Yergin ha guadagnato punti dichiarando che le profezie di un picco di produzione di petrolio nel mondo sono state provate come sbagliate ad ogni piè sospinto per un secolo o più. E’ strano che le previsioni sbagliate degli ottimisti abbiano un’attenzione pubblica così insignificante al confronto, dato che sono almeno altrettanto numerose. L’esempio più rilevante: intorno al 1998, quando la discussione odierna sul Picco del Petrolio era appena agli esordi, la Intenational Energy Agency (IEA), il Dipartimento Americano per l’Energia e l’USGS (United State Geological Survey) avevano fatto tutti previsioni dicendo che la prosduzione mondiale sarebbe cresciuta costantemente fino a raggiungere i 120 milioni di barili al giorno nel 2020, mentre i prezzi sarebbero rimasti ad un livello di 20$ al barile (in dollari del 1998) anche oltre quella data. Nel 2004, quando era già chiaro che quelle previsioni non avevano alcuna opportunità di realizzarsi, Daniel yergin ha dichiarato che i prezzi del petrolio sarebbero rimasti a 40$ al barile per i successivi 15 anni, né l’IEA, né la DOE né l’USGS né Daniel Yergin hanno previsto una situazione nella quale la produzione di petrolio greggio avrebbe raggiunto un plateau per 7 anni a cominciare dal 2005 o nella quale i prezzi sarebbero schizzati fino ai 147$ a barile come hanno fatto nel 2008. Sì, alcune delle previsioni sul Picco del Petrolio della produzione mondiale secondo le quali il declino sarebbe cominciato fra il 2005 e il 2008 erano premature, ma è ovvio che i picchisti abbiano avuto punti di vista più precisi e utili sui livelli dei prezzi e della fornitura del petrolio mondiale durante lo scorso decennio. Quindi è umanamente comprensibile perché il risentimento si sia consolidato fra gli Yergin ed i Maugeri del mondo.
E così, uno zampillo di nuova produzione da depositi scistosi di “tight” ora serve da pretesto per dicharare vittoria. I picchisti avrebbero dovuto vederlo arrivare, dopotutto; gli alti prezzi del petrolio, infatti, innescano aumenti delle riserve e della produzione da risorse di qualità inferiore. Infatti, alcuni dei migliori analisti lo hanno visto arrivare. Ricordo Jeremy Gilbert, ex ingegnere petrolifero della BP, che parlava del potenziale della nuova tecnologia di produzione ad una conferenza dell’Association for the Study of Peak Oil (ASPO) un paio di anni fa. “Dei giacimenti che stiamo attualmente inseguendo ne eravamo a conoscenza da lungo tempo, in molti casi”, notava, “ma erano troppo complessi, troppo fratturati, troppo difficili da produrre. Ora la nostra tecnologia e comprensione [sono] migliori, il che è buono, perché questi giacimenti difficili è tutto ciò che ci resta”.
Il dibattito sul Picco del Petrolio non è un evento sportivo. Ciò che conta non è quale parte vince, ma quale realtà abbiamo di fronte. Vedremo il proseguimento di un plateau nella produzione globale di petrolio greggio? Quanto a lungo durerà? Quanto sarà grande in percentuale il contributo alla produzione di “tutti i liquidi” totali di sabbie bituminose, scisto ed altri non convenzionali? Quale sarà l’impatto climatico visto che il petrolio mondiale arriva da forniture sempre più derivate da risorse di qualità inferiore? E quale sarà l’impatto economico?
Noi del Post Carbon Institute speriamo di risolvere alcuni dei problemi relativi al petrolio non convenzionale in un rapporto (in uscita a settembre) di David Hughes, un seguito del suo rapporto del 2011 verifica sullo stato della produzione di gas di scisti negli Stati Uniti. Ma le più grandi domande ambientali ed economiche continueranno senza dubbio a generare incertezze per un po’.
Tuttavia, ci sono poche osservazioni che un analista energetico serio non possa contestare. I costi dell’esplorazione e della produzione petrolifera sono saliti alle stelle (la Bernstein Research stima che quest’anno l’industria abbia bisogno di prezzi nella gamma dei 100$ al barile per giustificare nuovi progetti). I giacimenti petroliferi super giganti che costituiscono ancora il 60% della produzione di greggio mondiale sono vecchi e quindi il modesto contributo di quelli non convenzionali, che ci si aspetta che siano sia cari che lenti da mettere in produzione, devono spingere contro una marea di esaurimento e declino. E’ solo questione di quando il declino della produzione complessiva comincia, non se. Intanto, alcuni dei combustibili conteggiati dalla IEA nella categoria “tutti i liquidi” (etanolo, liquidi del gas naturale) hanno un’energia significativamente inferiore per unità di volume che non il petrolio greggio convenzionale. Così, un aumento in barili giornalieri di “tutti i liquidi” non necessariamente significa un aumento della quantità di energia consegnata alla società. Inoltre, tutti i combustibili liquidi non convenzionali (compresi i biocombustibili, sabbie bituminose, petrolio “duro”) offrono un basso ritorno energetico sull’energia investita per produrli (EROEI). Quindi, anche se il numero di barili di combustibili liquidi consegnati al mercato sta ancora gradualmente aumentando, la quantità di energia utile netta resa disponibile dalle industrie del petrolio e dei biocombustibili, se vengono conteggiati i costi per produrla, è probabilmente già in declino. E questo è quasi certamente vero negli Stati Uniti – la locandina promozionale per la produzione di petrolio non convenzionale. Infine, le quantità di greggio disponibili per l’esportazione stanno rapidamente declinando via via che i paesi produttori ne usano di più per il proprio consumo – lasciandone ogni anni di meno per i paesi importatori come Stati Uniti, Europa e Cina (questo tasso di declino è molto più alto che non il tasso di crescita relativamente inferiore della produzione mondiale di “tutti i liquidi”).
Intanto, l’impennata dei prezzi del petrolio ed il crollo dei rendimenti energetici reali dai combustibili liquidi hanno già lasciato una carneficina al loro passaggio, mentre un sistema finanziario globale arroccato su un monte di debito è stato affrontato colpo su colpo dal fallimento dell’economia reale nell’espandersi come ci si aspettava. Risulta che la produzione industriale ed il commercio globale dipendano dall’energia, non solo dal credito e dalla fiducia. In giugno si sono visti prezzi del petrolio più deboli, ma questo era dovuto ad un’erosione accelerata della forza economica mondiale (che porta all’aspettativa di una caduta della domanda di petrolio), non alla moderazione dei prezzi di produzione del petrolio o all’aumento della produzione sostanziale.
Come molti picchisti hanno continuato a dire, sapremo per certo quando la produzione globale di petrolio raggiungerà il picco (in termini di tasso di produzione in barili al giorno) solo quando possiamo vedere un declino costante nello specchietto retrovisore. Ma allora, sarà troppo tardi per la società per prepararsi agli impatti economici del picco del petrolio. Quindi, il “movimento” del Picco del Petrolio – non come esercizio di analisi, ma come sforzo per avvisare il mondo e prevenire la catastrofe – è destinato al fallimento? Forse. Ma per lo stesso motivo per cui lo è gran parte del movimento ambientalista, se non tutto. Non cambiamo sostanzialmente il nostro comportamento collettivo finché la crisi non ci arriva addosso.
Ma anche se non possiamo evitare una crisi, possiamo preparare una parte della popolazione alle sue conseguenze. Possiamo costruire la resilienza della comunità. Possiamo seminare le conversazioni pubbliche con l’informazione che minano l’inevitabile, riflessivo sforzo di incolpare il disfacimento economico con facili capri espiatori. Inoltre, il futuro sarà migliore se proteggiamo almeno qualche specie, qualche habitat, qualche zona selvaggia, un po’ d’acqua e un po’ di suolo prima del crollo dell’economia causato dall’energia, di modo da avere una base ecologica per l’attuale esistenza in assenza di macchine, aerei, iPads e di combustibile abbondante ed economico.
In breve, le cose andranno meglio per noi se resistiamo alla negazione piuttosto che se ci impegniamo in essa.