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Obama, un ordinario Presidente degli Stati Uniti

Le elezioni Presidenziali statunitensi si sono chiuse consegnando le chiavi della Casa Bianca a Osama  Barack Obama,  una riconferma salutata da un coro di giudizi positivi che ha accumunato istituzioni e personalità  di tutto il mondo, che pur partendo da posizioni politiche diametralmente opposte hanno sostenuto la rielezione del candidato democratico. L’esultanza per la vittoria di Obama, oltre a Marchionne, ha accomunato buona parte del mondo politico italiano, da Vendola, a personaggi come Frattini, passando per Gianfranco Fini, al direttore del Tempo Mario Sechi e naturalmente a Renzi in coppia con  Bersani.

Paradossalmente, al contrario di Obama, Romney, non ha trovato molti estimatori neppure nel campo del centro destra italiano ed europeo, a conferma del fatto che la borghesia si posiziona politicamente in base ai propri interessi. Monti, un uomo della Troika,  il cui governo con il sostegno di PD e PDL ha sostenuto e dato seguito alle riforme strutturali imposte dall’ FMI, dalla BCE e dai vertici dell’UE, ha salutato positivamente il secondo mandato ad Obama, ma lo ha fatto  per  ragioni contingenti e di interesse.

Per prima cosa, in questa fase, l’amministrazione guidata da Barack  al contrario di Romney e dei repubblicani è tendenzialmente meno ostile all’UE. Secondo poi le critiche degli USA nei confronti di Berlino, sono state sfruttate da pezzi della borghesia europea ed italiana, per contenere le ambizioni di quella parte dell’establishment tedesco che puntava ad imporre il proprio modello a scapito degli interessi delle restanti borghesie europee.

Sulle elezioni USA si è quindi riflessa anche la competizione tra le borghesie europee, in lotta fra loro all’interno dei propri paesi e in seno all’UE.

Ma se obiettivamente Romney rappresenta direttamente gli interessi della parte più reazionaria dell’establishment USA, con tutto quello che comporta in politica interna e estera, Obama è come ha scritto lucidamente l’intellettuale marxista argentino Attilio Boron “il male ma non il peggio” (www.contropiano.org/it/esteri/item/12385-obama-il-male-ma-non-il-peggio).

Ma la vittoria di  Barack  Obama non può essere utilizzata dogmaticamente per contraffare la realtà degli USA,  basta guardare al fronte interno e troveremo che durante la Presidenza democratica le differenze sociali si sono approfondite.

Secondo il National Poverty Center dell’Università del Michigan il numero delle famiglie in condizioni di povertà estrema, ossia che vivono con 2 dollari al giorno per almeno un mese l’anno, è passato da 636.000 del 1996, ad 1.460.000 nel 2011, mentre il numero di americani che vivono in “semplice” povertà ha raggiunto la cifra record di  46,2 milioni.

La forbice tra ricchezza e povertà è ancora più sconvolgente quando tocca i centri del mito americano, ad esempio a New York, la città di Wall Street, dove il costo della vita è molto più alto che in molte parti del paese, il tasso ufficiale di povertà è schizzato al 20,1 per cento.  

Lo scorso settembre la rivista Forbes  ha pubblicato la classifica annuale dei 400 americani più ricchi, dove  risultava che il patrimonio netto di questi miliardari, è salito del 12 per cento rispetto al 2010, arrivando a 1.530 miliardi dollari. In questa lista di super ricchi, la “professione” maggiormente rappresentata è quella degli speculatori di Wall Street, come Warren Buffett di Hedge Fund  con 39 miliardi, super  manager come  Bill Gates con 59 miliardi, o la famiglia Walton, proprietaria di Wal-Mart che grazie al super sfruttamento e zero diritti sindacali, passa da 20,9 miliardi dollari a  25 miliardi.

L’arricchimento di questi speculatori è il prodotto diretto dell’immissione di migliaia di miliardi di dollari nel circuito finanziario, un sistema speculativo che ha continuato a crescere anche sotto l’amministrazione Obama.

Non c’è quindi nessun motivo per cui si debba plaudere alla politica economica dell’amministrazione Obama. A meno che non si voglia spacciare la mendace idea che è possibile uscire dalla crisi rilanciando l’economia di mercato, mitigando al tempo stesso gli aspetti più duri del liberismo, ma le soluzioni che guidano l’economia negli USA ed in Europa ci dicono ben altro.

Basta guardare a quanto è costato in termini di diritti, occupazione e salario, il progetto Marchionne in Italia e negli States.  L’accordo sottoscritto dal sindacato UAW, dalla FIAT, dalla Chrylser e dal Governo statunitense che ha  coperto l’operazione con un prestito di 4.7 miliardi di dollari , ha portato alla chiusura di 2000 concessionari e quattordici industrie tra indotto e siti minori. I lavoratori della Chrysler, hanno dovuto accettare la riduzione del salario, la flessibilità oraria e dovranno astenersi dallo  scioperare sino al 2015. Obama è passato alla cronaca come il Presidente che ha messo in salvo l’industria automobilistica statunitense, ma a Detroit la sommatoria di flessibilità, precarietà, e disoccupazione ha portato il tasso di povertà al 37,6 per cento, complice anche l’attacco al salario, che nell’ultimo decennio è crollato di circa un quinto.

L’impennata della povertà e la polarizzazione della società sono perciò direttamente legate alla speculazione finanziaria e alla ristrutturazione dell’industria che hanno determinato lo spostamento di ricchezza a vantaggio della borghesia parassitaria e imprenditoriale, processi che sono stati favoriti dalla politica economica dell’amministrazione Obama.

La crescita delle differenziazioni sociali, con l’aumento della povertà e la proletarizzazione del ceto medio, hanno portato i dirigenti del Partito Democratico ad investire politicamente sulla riforma del sistema sanitario, l’Affordable Care Act (ACA), più conosciuto come Obamacare.

L’assistenza sanitaria fino ad oggi, per buona parte è garantita dalle assicurazioni private, che rifiutano la copertura ai soggetti che a causa di un reddito troppo  basso non danno le necessarie garanzie di solvibilità. La riforma non istituisce un sistema sanitario statale per tutti, più semplicemente amplia la copertura sanitaria da parte delle assicurazioni private, attraverso obblighi, contributi e detassazioni.

Attraverso la contribuzione obbligatoria, l’ACA apre ancora di più alla presenza delle assicurazioni  private nel sistema sanitario, per questo molti lavoratori statunitensi sono giustamente scettici o contrari a pagare una polizza assicurativa con prestazioni e coperture molto basse, preferirebbero  un servizio sanitario nazionale accessibile  a tutti , come riportano i sondaggi della Henry J. Kaiser Foundation.

Nella sua campagna elettorale Obama ha puntato forte sull’ACA, sulla riforma della legge sull’immigrazione, oltre che sui diritti civili, intercettando così i voti delle comunità afroamericane, ispaniche, asiatiche e della middle class in declino. Detto per inciso la regolarizzazione di 1 milione di immigrati porterebbe 300 miliardi dollari nelle casse statunitensi.

Obama ha vinto pur perdendo quasi 10 milioni voti rispetto al 2008, ma il risultato elettorale e la composizione dei seggi alle camere evidenzia la crisi del bipolarismo statunitense. Al Senato sono i democratici ad avere la maggioranza, ma per governare dovranno scendere a compromessi con i repubblicani che hanno il controllo della Camera. Il primo scoglio sarà a gennaio 2013, quando scadranno i bonus e le agevolazioni fiscali di cui sino ad oggi hanno usufruito soprattutto le famiglie di ceto medio alto e le imprese.

Se non verranno confermate queste agevolazioni fiscali le tasse sulle rendite azionarie passeranno dal 15% al 43,4%. Un’eventualità che preoccupa molto le agenzie finanziarie come S&Poor’s e Goldman Sachs, che rischiano di vedere crollare i profitti .

E’ assai improbabile che Obama non confermi le agevolazioni, soprattutto con il debito pubblico USA, che viaggiando al 140% del Pil necessita che gli investitori internazionali rinnovino l’acquisto dei titoli di Stato USA. Con molta probabilità la conferma delle agevolazioni fiscali avverrà a scapito della spesa pubblica e della spesa sociale.

La leggenda di un Obama sordo agli spiriti animali del capitalismo è  una colossale balla, buona per i politicanti e per la sinistra di salotto ormai scollata dai referenti sociali e ideologicamente subalterna al mainstream borghese.

La profondità della crisi che sta colpendo il modo di produzione capitalista, sembra pregiudicare nel breve e medio periodo  la possibilità di un rilancio del processo di accumulazione. In questo quadro la competizione internazionale che contrappone gli USA all’UE e ai BRICS è destinata a crescere e con essa il ricorso alle guerre, commerciali, finanziarie e militari per assoggettarsi quote di  mercato, vie commerciali, risorse e aree geografiche.

Questo è il quadro internazionale che abbiamo di fronte ormai da quasi due decenni, passando dall’era Bush a quella di Obama, ma nonostante l’operazione di restyling di quest’ultimo, la politica estera di Washington non smentisce la sua  natura imperialista e predatoria.

Una nazione che – come ha sottolineato Obama nel discorso dopo la vittoria – “è difesa dalle forze militari più forti che il mondo ha abbia mai conosciuto”.  Una logica di potenza, comune ai democratici ed ai repubblicani, che pone gli interessi degli Stati Uniti al di  sopra di tutti gli altri popoli e nazioni.

Robert Kagan l’intellettuale che insieme a William Kristol ha redatto il Progetto per il Nuovo Secolo Americano, il manifesto neo conservatore contro il declino della potenza USA, è stato al tempo stesso consigliere di Romney e fonte di ispirazione del Presidente Obama per il rapporto sullo stato dell’Unione del 2012.

Obama e la Clinton hanno rilanciato la politica di potenza Stati Uniti, nel quadro dei mutati rapporti di forza internazionali, cercando di mantenere una presenza in tutti gli scenari strategici per gli interessi statunitensi.

L’amministrazione USA ha rinnovato il suo approccio neocoloniale nel Medio Oriente e nel Nord Africa, mantenendo fermi due capisaldi: la sicurezza di Israele e l’alleanza con le monarchie del Golfo.

Il risultato dell’apertura ai Fratelli Musulmani e al network islamico ha reso possibile il cambio di regime in Libia, Tunisia ed Egitto, ed è stato sino ad ora utile per stroncare l’anima sociale delle proteste e per congelare la questione “Palestina”.

Si tratta del progetto del Grande Medio Oriente, quello che punta a ripristinare il pieno controllo dei paesi imperialisti sull’ampia area che si affaccia sul quadrante mediterraneo. E’ con questo scopo che gli USA, l’UE, i paesi del Golfo, Turchia e Israele sostengono i piani di destabilizzazione della Siria e l’embargo contro l’Iran, scontrandosi non solo con la resistenza siriana ma anche contro il muro diplomatico di Russia e Cina.

E’ proprio la Cina l’avversario più temibile per l’imperialismo statunitense, è una contrapposizione politica e di interessi commerciali, a cui si è aggiunta la competizione tra lo yuan ed il dollaro negli scambi e nell’acquisto di idrocarburi. La crescita dell’economia cinese si riflette nella ricerca di materie prime ed energia estendendo la competizione con gli USA a diverse aree del globo, dal Golfo Persico all’Africa, passando per il Pacifico ed il Mar della Cina. La guerra che gli  Stati Uniti di Obama stanno muovendo contro la Cina, finora  si sviluppa sulle direttrici del contrasto politico e commerciale, sul tema dei diritti umani, sul sostegno ai movimenti indipendentisti uiguri e tibetani, e in modo più diretto e aggressivo nella politica di riarmo di Taiwan e della Corea.

In Africa gli Stati Uniti di Obama stanno inutilmente cercando di contrastare la crescita di influenza dei BRICS, e lo fanno da potenza neocoloniale, ossia attraverso accordi commerciali di rapina, sostenendo le guerriglie ed i movimenti secessionisti come nel caso del Sudan e rafforzando la presenza militare.

Il Premio Nobel per la Pace Obama, ha ampliato la presenza dell’Africom, una gigantesca macchina da guerra che con la scusa della lotta al terrorismo tutela degli interessi statunitensi e sostiene i governi di comodo.

Nonostante la promessa fatta nel 2008 di chiudere Guantanamo, questo campo di detenzione e tortura funziona a pieno regime e la legge che prevede la sospensione dei diritti, il Patriot Act, è  stata rinnovata da Obama.

La continuità tra democratici e repubblicani, sia pure con le debite differenze, è riscontrabile soprattutto  nella politica di ingerenza statunitense nei confronti dei paesi dell’ALBA e di Cuba.

Anche in questo caso Obama nel 2008 promise di avviare una nuova stagione di relazioni diplomatiche con i paesi dell’America Latina, i fatti smentiscono le promesse fatte in campagna elettorale.

Nel giro di due anni, due colpi di Stato hanno visto cadere i governi democraticamente eletti in Honduras e Paraguay, mentre i governi golpisti sono stati immediatamente riconosciuti dal Dipartimento di Stato.

La Casa Bianca ha rifinanziato con decine di milioni di dollari i progetti del NED e di USAID,  istituzioni legate al Congresso statunitense, che finanziano e sostengono le opposizioni reazionarie in Venezuela, Bolivia e Argentina, e nell’Ecuador di Correa.

L’amministrazione Obama, continua spendere risorse e uomini sul Plan Puebla-Panama, sul Plan Colombia e sul Plan Cono Sur,  si tratta di operazioni di guerra sporca  che mirano a riportare il continente rebelde sotto il controllo dello zio Tom.

E’ solo grazie al radicamento popolare dei governi progressisti dei paesi dell’ALBA, del Venezuela Bolivariano e di Cuba socialista, che i progetti dell’imperialismo statunitense ed europeo sono falliti.

Nonostante le 20 risoluzioni dell’ONU di condanna dell’embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti a Cuba, l’amministrazione Obama non solo ha riconfermato l’embargo ma ha accentuato la sua politica di ostilità e aggressione contro Cuba ed il suo popolo .

Cuba, insieme ai governi dell’ALBA, sta segnando una pagina importante nella lotta per l’indipendenza, l’autodeterminazione e l’emancipazione del continente latino-americano e per  una società che rifiuti lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e si sviluppi in armonia con la natura. Sono queste le ragioni che spingono Obama e l’establishment statunitense, a confermare l’ostilità contro Cuba e processi rivoluzionari in corso.

Il premio Nobel per la pace dato ad un Presidente degli Stati Uniti è una maschera grottesca che non riesce a nascondere ai popoli oppressi la politica imperialista e criminale perseguita da Obama. Lo sanno i popoli dell’America Latina e  per primo il popolo di Cuba, che da oltre 50 anni chiede la fine dell’embargo e da 14 anni aspetta che finalmente gli USA liberino i Cinque eroi ingiustamente detenuti.

Note:
Riforma sanitaria, Anno Zero di Joshua K. Leon Montly Review Magazine 
http://mrzine.monthlyreview.org/2012/leon301012.html

Social Security Medicare http://www.ssa.gov/multilanguage/Italian/10043-IT.pdf

Potenza e ripiegamento. Ecco i tre fronti esteri di Vittorio E. Parisi, L’avvenire 8/11/2012

Ma la speranza Africana si nutre ancora di diritti, Giulio Albanese, L’avvenire 8/11/2012

Un ottimismo di facciata sui molti deficit da colmare, Giorgio Ferrari L’avvenire 8/11/2012

Incubo «fiscal cliff» di Vito Lops

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-10-29/incubo-fiscal-cliff-wall-094010

Anche Bernanke usa il “bazooka” https://www.contropiano.org/it/economia/item/11184

Padroni coltelli: La crisi di rappresentanza politica stavolta investe la borghesia
https://www.contropiano.org/Archivio/2010/ContropianoAnno18_N3/PadroniColtelli.htm

Rober Kagan: Project for the new American century
http://www.newamericancentury.org/robertkaganbio.htm

Il mondo di Obama e Romney  Alessandro Marrone 19/06/2012
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2063

Asse Obama Monti di Lina Palmerini il Sole 24ore 8/11/2012

* Commissione internazionale della Rete dei Comunisti

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