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Sull’antisemitismo come ricatto politico

Chi condanna la nuova aggressione di Israele alla Striscia di Gaza si espone alla reiterata squalifica di: “antisemita”. Per questi inveterati razzisti qualsiasi critica alle politiche genocide dello Stato di Israele, qualsiasi denuncia delle sue atrocità e barbarie può solo nascere da un intenso odio per il popolo ebraico. L’enorme confusione fra popolo e regime politico non è casuale né gratuita. Costituisce, invece, l’assurdo ricatto metodicamente utilizzato dalla destra reazionaria israeliana e i suoi alleati nell’impero per screditare qualsiasi denuncia dei crimini dello Stato di Israele e dell’iter suicida delle sue azioni che, alla lunga, avrà come vittima lo stesso popolo ebraico. Questa posizione non è affatto esclusiva dei fascisti israeliani: ricorda quella che adottarono i loro omologhi argentini quando qualificavano di “campagna anti-argentina” le critiche che da dentro e fuori il paese si dirigevano contro la dittatura terrorista civile-militare che seminò distruzione e morte nella seconda metà degli anni settanta. Anche costoro equiparavano maliziosamente popolo e governo – come fanno oggi i razzisti ebrei- per squalificare ogni attacco contro lo Stato terrorista come se fosse un’aggressione al popolo argentino. In entrambi i casi lo scopo è quello di difendere un regime politico nefasto che, nel caso di Israele, è stato denunciato da eminenti personalità della comunità ebraica, dentro e fuori quel paese. Sono conosciuti – anche se nascosti ufficialmente- i dubbi che Albert Einstein e il grande filosofo ebreo Martin Buber nutrivano in relazione alla forma concreta che stava prendendo lo Stato di Israele già nei suoi primi anni di vita. Poco prima dello scatenarsi dell’operazione “Pilastro Difensivo” Noam Chomsky ci informava di quel che aveva potuto vedere nella Striscia di Gaza, e le sue critiche non lasciano spazio a dubbi. Si può accedere al video corrispondente all’indirizzo: http://www.democracynow.org/2012/11/14/noam_chomsky_on_gaza_and_the.

La lista di eminenti ebrei non allineati alle politiche dello Stato israeliano sarebbe interminabile: Daniel Barenboim e la sua nobile crociata pacifista con il palestinese Edward Said ci balza subito alla mente, ugualmente la vibrante testimonianza di Norman Finkelstein, un politologo statunitense, figlio di sopravvissuti ai campi di concentramento del nazismo, che in una conferenza del 2010 all’Università di Waterloo (Canada) disse “Non vi è nulla di più disprezzabile che usare la sofferenza e il martirio di quelli che morirono nei campi di concentramento per giustificare la tortura, la brutalità, la distruzione delle abitazioni che Israele compie ogni giorno contro i palestinesi. Per questa ragione rifiuto di farmi fare pressioni o intimidire dalle loro lacrime di coccodrillo” (riferendosi ad una delle persone che assistevano alla sua conferenza). Questo passaggio della presentazione all’Università di Waterloo può vedersi all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gE8GESi35Yw

A quanto detto fin qua potremmo aggiungere le molte organizzazioni ebraiche che rifiutano la spuria identificazione fra popolo e regime. Una di queste, denominata Jews for Justice for Palestinians. Two peoples-one future, ha come motto una citazione del Rabbino Hillel, del primo secolo a.C., che fa orrore agli ultraortodossi di oggi e così recita: “Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te. Questo è tutta la Torah. Il resto sono commenti.” Hillel anticipò niente meno che di 1800 anni il celebre imperativo categorico reso famoso da Immanuel Kant: “Agisci solo in modo tale che la massima della tua volontà possa diventare legge universale”. È chiaro che non saranno gli insegnamenti di quel saggio ebreo o del filosofo prussiano ad essere assimilati da Netanyahu, il suo fascista cancelliere Avigdor Lieberman e i falchi israeliani; ascolteranno piuttosto i truci balbettii di alcuni decrepiti successori di Hillel, mossi da un odio incommensurabile verso il popolo delle cui terre si sono impossessati, i palestinesi, e dei quali in pectore si pone in dubbio la loro medesima condizione umana.
Quanto detto permette di comprendere le ragioni per le quali il governo di Israele ha potuto mobilitare senza scrupolo alcuno la sua infernale macchina da guerra contro un popolo indifeso, senza esercito, senza aviazione, senza marina militare, senza status internazionale riconosciuto, bloccato in aria, terra e mare, impossibilitato a ricevere aiuti esterni (medicamenti, alimenti, indumenti, ecc.) e imprigionato “come animali in gabbia”, come ricorda Chomsky nell’intervista sopra citata. Ma c’è qualcosa in più di cui ci informa Walter Goobar. Il giornalista israeliano Aluf Benn ha pubblicato nel quotidiano Haaretz di giovedì scorso una nota nella quale viene dato per certo che Ahmed Yabari –il capo militare di Hamas il cui assassinio ha scatenato la violenza- era il “responsabile del mantenimento della sicurezza di Israele nella Striscia di Gaza”. In una sinistra torsione degli avvenimenti Yabari non fu eliminato in quanto capo terrorista come ha affermato la propaganda sionista, ma perché stava negoziando un accordo di pace. Goobar assicura: “questa non è un’affermazione retorica né opera di vittimizzazione di Hamas, ma colui che la afferma è niente meno che Gershon Baskin, un mediatore israeliano che portava avanti e indietro le proposte fra Yabari e le alte cariche israeliane”. La rivelazione ha senso, poiché né il complesso militare-industriale statunitense né il fondamentalismo razzista israeliano sono minimamente interessati a raggiungere un accordo di pace in quella parte del mondo. La guerra è un grande affare e, al tempo stesso, una risorsa per cercare di stabilizzare la traballante situazione geopolitica che impera in Medio Oriente. Inoltre, nel caso specifico, questa operazione è quasi priva di costi per Israele perché non sono due eserciti che si affrontano -e che potrebbero infliggersi danni relativamente simili- ma una formidabile forza militare che conta con tutto l’appoggio delle maggiori potenze militari della storia dell’umanità e una popolazione civile prigioniera e inerme, che l’unico mezzo che possiede per respingere gli attacchi è il volontarismo dei militanti che non può competere con l’enorme sproporzione di mezzi fra gli uni e gli altri. Il ricordo delle vittime di entrambe le parti ci esime da ulteriori commenti.

Con questi antecedenti è appropriato definire lo Stato di Israele uno “Stato canaglia”, che viola in maniera flagrante, con il sostegno incondizionato del padrone imperiale, il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e i diritti delle persone. Così come sottolinea Finkelstein nessun ricatto di “antisemitismo” può cancellare la natura genocida di tali politiche; nessuno astuto riscatto, la cui efficacia obbedisce agli imperdonabili orrori della shoah perpetrati dal regime nazista (e condonati dalle potenze imperialiste dell’epoca) può operare il miracolo di trasformare il vizio in virtù o il crimine in bontà. E dinnanzi a ciò nessun uomo o donna può rimanere in silenzio. Il silenzio complice degli anni trenta e quaranta rese possibile lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista. La comunità internazionale non può incorrere un’altra volta in un errore simile, soprattutto quando si sa che i governi delle principali potenze, con la direzione degli Stati Uniti, non faranno assolutamente nulla per fermare questa carneficina perché è dal 1948 che sono complici e partecipi necessari dei crimini commessi dallo Stato di Israele. Se esiste quella che alcuni chiamano la “società civile mondiale” deve manifestarsi, adesso, prima che sia troppo tardi.

Chiudiamo questa breve riflessione citando le attualissime parole di León Rozitchner, un grande filosofo marxista, ebreo, argentino, scomparso da poco più di un anno. Un maestro nel senso integrale del termine, che nell’epilogo di un suo notevole testo, “Ser Judio”[1], si domandava ciò che segue:

“Che strana inversione si è prodotta nelle viscere di questo popolo umiliato, perseguitato, assassinato, per far sì che esso umili, perseguiti e assassini coloro che reclamano le stesse cose che gli ebrei reclamarono per se stessi? Che strana vittoria postuma del nazismo, che strana distruzione inseminò la barbarie nazista e lo spirito ebraico? Che strana capacità si risveglia in quest’appropriazione di territori altrui, dove la sicurezza che si reclama è sullo sfondo della distruzione e dominazione dell’altro con la forza e il terrore! Si vede allora che quando lo Stato di Israele inviava le sue armi ai regimi di America Latina e Africa, era già visibile la nuova e stupida coerenza di quelli che si identificano con i loro medesimi persecutori. Gli ebrei latinoamericani non lo dimenticano. Non dimentichiamo neppure Sabra e Chatila”.
 
Traduzione Marina Minicuci per ALAI AMLATINA



[1]    “Essere Ebreo” N.d.T.

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