C’è un filo che attraversa il mondo occidentale e che sembra prescindere dalle differenze di potenza del paese, dalle condizioni dell’economia, dallo stato di salute del sistema politico. E che proprio per questo, dunque, indica una crisi comune.
La magistratura ha perso ovunque la sua aura di “terzietà” rispetto agli altri due poteri classici nello schema della democrazia da Montesquieu in poi: l’esecutivo e il legislativo (il Parlamento).
Possiamo parlare dell’Italia, con il Consiglio superiore della magistratura – organo di autogoverno del “terzo potere” – sconvolto dallo “scandalo Palamara”, con un magistrato ex presidente del sindacato delle toghe – l’Associazione nazionale magistrati – intercettato mentre briga insieme a due parlamentari del Pd (il braccio destro di Mattero Renzi, Luca Lotti, e l’ex magistrato Cosimo Rossi) per decidere il nuovo capo della Procura di Roma. Dove, ma dev’essere solo una “coincidenza”, lo stesso Lotti risulta indagato nell’inchiesta sulla Consip, la centrale unica d’acquisto della pubblica amministrazione. Dev’essere davvero divertente poter scegliere il proprio giudice…
Ne è seguita una raffica di dimissioni di consiglieri del Csm – l’ultima ieri, di Gianluigi Morlini – che avevano votato per la nomina del “candidato” di Palamara, sbarrando la strada a Lo Voi. Ossia al magistrato dell’antimafia che proprio ieri ha ha fatto arrestare, tra gli altri, Gianluigi Arata (responsabile settore energia della Lega) e Vito Nicastri, imprenditore dell’eolico accusato di essere un prestanome o socio d’affari del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Questa inchiesta ha costretto alle dimissioni l’ex sottosegretario leghi Armando Siri, che aveva presentato un emendamento scritto da Arata su richiesta di Nicastri, per facilitargli alcuni affari.
Possiamo parlare della Spagna, dove alcuni leader indipendentisti catalani – deputati regolarmente eletti come l’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont, Jordi Sánchez, Jordi Cuixart, Oriol Junqueras e altri – sono in carcere o in esilio, sotto processo per aver organizzato e vinto un referendum sull’indipendenza. Sia ricordato sommessamente: sono i primi prigionieri europei nel XXI Secolo arrestati e processati per reati esclusivamente politici. Ossia senza alcun uso della violenza, anzi: per aver esercitato prerogative istituzionali. E tutta l’Unione Europea, sempre sollecita ad idignarsi per la compressione delle libertà politiche fuori dai propri confini, significativamente tace.
Possiamo parlare della Germania, dove numerosi omicidi compiuti da neonazisti, coperti negli anni dalla polizia, non hanno mai trovato un magistrato pronto ad aprire un fascicolo (mentre se ne trovano a decine disposti a mettere sotto processo gli ambientalisti che difendono la foresta di Anbach, destinata ad essere spianata per estrarre lignite).
Possiamo parlare della Francia, dove il ministro della giustizia di Macron è arrivato a muovere i magistrati – in quel paese i rappresentanti dell’accusa dipendono dal governo – per perquisire abitazione ed uffici del leader della principale forza di opposizione parlamentare, Jean-Luc Mélénchon, della France Insoumise.
Stiamo parlando in questi giorni del Brasile, dove il team di procuratori di Lava Jato (una sorta di “mani pulite” carioca) ha per anni lavorato insieme al giudice Sergio Moro (teoricamente “imparziale”, secondo le regole del sistema accusatorio) all’unico scopo di impedire la candidatura di Luis Inacio Lula da Silva alle elezioni presidenziali, arrivando a costruire “prove” che loro stessi – nelle chat ora pubblicate da The Interceptor – definivano inconsistenti.
Potremmo andare avanti a lungo, elencando paesi e fatti meno noti, ma sarebbe una inutile perdita di tempo. Il fatto è che ovunque la magistratura ha perso anche l’apparenza di un potere statuale separato dagli altri e in grado di controllarli.
Come per la moglie di Cesare, l’apparenza vale anche più della sostanza, perché in un sistema formale di regole il rispetto della formalità è la sostanza.
Che significa, tutto questo?
Che il sistema democratico occidentale non è più in grado neanche di fingere di essere quel che dice. Il potere è di chi comanda – economicamente, in primo luogo – e non sopporta né controlli né opposizione.
Lo stesso processo di concentrazione del capitale ha come corrispettivo politico e militare la concentrazione dei poteri e l’eliminazione delle discrasie, sia reali e potenziali. In più, il passaggio dalla “globalizzazione” alla “competizione” tra macroaree economiche (Usa, Ue, Russia, Cina, ecc), ha eroso anche il potere politico degli Stati non dominanti.
Un fenomeno che conosciamo direttamente, qui in Europa, in seguito al progressivo “trasferimento di sovranità verso l’Unione Europa”. Ma se il potere politico viene eroso, non si può certo pensare che quello giudiziario resti come era – o avrebbe dovuto essere – nello schema delle democrazie “nazionali”.
E se una magistratura nazionale al servizio di una potenza regionale superiore appare “normale” nell’America Latina che gli Usa hanno ripreso a considerare il proprio “cortile di casa”, per altre zone del mondo questo processo è solo agli inizi, ma neanche tanto. La stessa “mani pulite” (1992 e successivi), suggeriscono gli storici, è servita a demolire un sistema politico e partitico ormai inadeguato a reggere la torsione derivante da due fenomeni di enorme impatto: la fine del “mondo diviso in due” (con la caduta dell’Unione Sovietica) e la nascita dell’”Europa di Maastricht” (1992 e successivi).
Fanno perciò quasi tenerezza coloro che si stracciano le vesti sui danni fatti dagli scandali di una magistratura scopertamente politicizzata – Pd e Lega, curiosamente, sembrano ora condividere gli stessi “nemici” che preoccupavano prima soprattutto Berlusconi – sulla “cultura della legalità”. Non esiste alcuna sfera “pura” del diritto, tanto meno un potere indipendente che fa le pulci agli altri due per riportarli al rispetto di “regole e leggi”.
Nel capitalismo occidentale in manifesta crisi di egemonia globale, assistiamo a una veloce messa da parte di una serie di “orpelli costituzionali”, destinati ormai a far parte integrante della retorica democratica, ma senza più alcun riscontro nella realtà quotidiana.
Il problema è chi detiene il potere: se “il popolo” (e in che modo) o “i mercati”. In questo modo.
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