Intanto la realtà: mai c’è stata, nella storia dell’Italia del dopoguerra, una così bassa conflittualità di piazza in occasione di manifestazioni politiche e, a maggior ragione, sindacali.
E mai c’è stata, all’opposto, una così continua determinazione delle forze di governo di inventare nuovi reati, aumentare ad libitum le pene, esentare le “forze dell’ordine” dal rispetto di qualsiasi legge che vale – come recita la scritta nei tribunali – “uguale per tutti”.
Mai come oggi, a chiudere questo cerchio, l’intero sistema mediatico è stato così compatto nell’utilizzare lo stesso linguaggio falsificante per descrivere le dinamiche di piazza. E’ diventato quasi impossibile trovare un articolo che non chiami “scontri” quelli che – anche ad uno sguardo superficiale sui video – appaiono sempre più spesso piogge di manganellate contro manifestanti privi di qualsiasi mezzo “atto ad offendere” o a proteggersi (scudi, caschi, ecc).
Una parziale eccezione c’era stata per i “fatti di Pisa”, un anno fa, in cui il pestaggio immotivato era apparso così evidente da far imbestialire la popolazione tutta, e quindi far sorgere qualche dubbio persino in qualche redazione mainstream e nel Presidente più condiscendente che si ricordi. Poi, come sempre, è arrivata la magistratura a mettere sotto inchiesta gli studenti invece della polizia…
Ora siamo al “salto di qualità” nella legislazione. Non solo si sta portando ad approvazione un “ddl sicurezza” che contiene misure abnormi come il “reato di resistenza passiva” (sia in strada che in carcere!) o la legalizzazione di “gruppi terroristici organizzati dallo Stato”, ma già si prova a legiferare uno “scudo penale” per i reati commessi dalle “forze dell’ordine” nell’esercizio delle loro funzioni.
L’idea è chiara, la realizzazione un po’ più complicata perchè, per l’appunto, ogni legge è tale se è “uguale per tutti”. E dunque una violenza inutile o un abuso di potere non sono diminuiti dall’essere commessi da un “agente dello Stato”. Semmai sono aggravati…
Non si sa insomma ancora se questo “scudo” potrà essere “tombale” oppure più limitato, ma intanto si fa girare la voce – come un test o un sondaggio – sulla possibilità di impedire l’iscrizione automatica nel registro degli indagati di un agente o militare “quando è evidente che ha usato l’arma di ordinanza nell’esercizio delle sue funzioni”.
Ma chi decide quando “è evidente”? Se non è un magistrato, allora sarà un ufficiale superiore di quell’agente, con le ovvie riserve che si possono avanzare.
I dubbi però non frenano l’offensiva, diventata intensa a cavallo degli ennesimi scontri-pestaggi di Roma e Bologna, che – secondo i partiti di governo – “dimostrerebbero un disegno eversivo”.
Per somma sfortuna dei meloniani, però, la sortita è subito inciampata nell’episodio dei giovani attivisti di Extinction Rebellion che, a Brescia, non solo sono stati portati in questura nonostante fossero già stati identificati, ma le donne fermate sono state costrette a denudarsi, togliere gli slip ed eseguire squat.
E’ palese che chi ha avuto questa brillante idea avesse come unico scopo quello di umiliare le ragazze, così da scoraggiarne la partecipazione futura ad altre proteste.
Ma la “tecnica” usata dalla polizia ha una lunga storia nell’arsenale repressivo di questo paese. Denudare i prigionieri e costringerli a fare squat è infatti una prassi invalsa nelle carceri speciali già negli anni ‘70 contro i prigionieri politici della lotta armata e poi continuamente confermata fino al più “innovativo” 41bis. Una “tecnica” inventata per estendere la “perquisizione personale” fino agli ultimi orifizi, naturalmente per “assicurarsi che il detenuto non porti con sé materiale pericoloso”.
Una tecnica infame anche contro quei prigionieri, ma che in nessun modo può essere giustificata contro manifestanti pacifici con un cartello in mano. Per di più donne.
Ma anche questa estensione delle “tecniche antiguerriglia” ai semplici manifestanti non è una novità. Fu già praticata, e a livello di massa, a Genova nel 2001, “grazie” al contributo degli agenti penitenziari e a medici compiacenti, nella caserma di Bolzaneto. Allora, nella sala operativa della questura presenziava il “più democratico” Gianfranco Fini e l’attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, Mantovano. Stessa origine e – allora – stesso partito di Giorgia Meloni.
E’ quindi fin troppo semplice rintracciare la “cultura politica” alla base di queste “strette” in assenza di conflitto. Non si tratta del solito, vecchio, ammuffito, “fascismo nostalgico” dei fan del Ventennio. E’ la prepotenza proprietaria dell’oggi, la disperazione di un Occidente neoliberista che sente cadere la sua presa sul mondo intero e sulle proprie stesse popolazioni (più della metà non va più a votare).
E’ la logica della guerra.
Ce n’è una contro i “nemici esterni” (Russia, Iran, Cina, altri che entrano ed escono dalla lista a seconda degli eventi). E ce n’è una contro il “nemico interno”, per quanto debole e incapace di offendere possa essere.
Una guerra preventiva, si può dire, per impedirgli di esistere, agire, radicarsi, organizzare e rappresentare interessi sociali negati e calpestati.
Non essendoci realisticamente “problemi di ordine pubblico” – se non quelli generati dalle politiche che creano “rifiuti sociali” – le molte polizie vengono ridisegnate come “guardia del corpo” a disposizione dei poteri economici e politici. Guardia personale, ovviamente da esentare rispetto alla “legge per il popolo”. Da lasciar libera di agire come meglio crede per assolvere alla sua funzione, perché tanto è certo che se la prenderà sempre con i deboli.
Stato di guerra e Stato di polizia necessitano l’uno dell’altro.
Sarà un caso, ma ad oltre un anno dalla “festa di Capodanno” a casa Delmastro, pur essendo presenti solo politici “legge e ordine” e poliziotti (in servizio e fuori servizio), ancora non sappiamo chi è stato a sparare – per sbaglio, certo – a uno dei pochi “civili” presenti.
Una situazione che anticipa “lo scudo”. Anzi, lo richiede…
P.S. Due parole vanno però spese e pesate anche per chi scende in piazza. Noi ci atteniamo al criterio fondamentale del movimento NoTav: “si parte e si torna insieme”. Il che significa difesa di ognuno che manifesta insieme a noi e rispetto totale di ognuno per le decisioni prese prima di manifestare.
In una situazione politica così chiara non c’è spazio per le mosse individuali o di piccolo gruppo. Chi non lo capisce e pensa di usare le iniziative come spazio di azione privato, di fatto, concorre alla criminalizzazione delle proteste.
Può farlo da “agente di influenza inconsapevole” o per decisione meditata da altri. Da quando esiste la lotta di classe si presentano al mondo anche cretini e provocatori. Non sempre sono distinguibili (spesso sì, comunque), ma alla lunga non è neanche necessario distinguerli. In ogni caso è bene che stiano lontani…
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franco
Insomma…”UTILI IDIOTI”