Nei prossimi giorni Senza Soste pubblicherà un saggio su Beppe Grillo. Saggio che servirà da bozza per il capitolo di un testo, sull’economia morale dei movimenti in Italia, che cercherà di fornire risposte sul profilo dei movimenti nel nostro paese dopo lo scoppio della bolla del 2008. L’urgenza dettata dal susseguirsi delle notizie, che è un fenomeno politico prima ancora dell’invenzione del telegrafo, impone però qualche schema di analisi sul fenomeno Grillo, che Senza Soste segue dalla nascita, prima ancora del sedimentarsi di qualche concetto.
Analizziamo quindi la frase del comico genovese “o me o il fascismo” rivolta al ceto politico istituzionale che, nelle ultime settimane, lo ha trasformato in un folkdevil della politica potenziandone così il ritorno di immagine. E’ una frase tesa a stabilizzare, soprattutto nell’elettorato, l’immagine di Grillo e del movimento a 5 stelle come strumento di neutralizzazione di una possibile deriva fascista nel nostro paese.
Ma come è strutturato questo fenomeno composto da Grillo e dal movimento 5 stelle?
Prima di tutto il movimento di Grillo ha tutte le caratteristiche per permanere come movimento di massa. Perchè si è radicato nello stesso modo con cui un altro movimento, in questo caso populista di destra, ha fatto presa nel nostro paese. Procedendo, ed è il caso di Forza Italia prima e del Pdl poi, prima di tutto tramite una continua accumulazione di spettacolo.
Le somiglianze tra Grillo e Berlusconi stanno nella stagione che li ha prodotti entrambi: quella dei grandi spettacoli televisivi di massa tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80. Quando i personaggi televisivi, a differenza di quelli prodotti a cavallo degli anni ’60 e ’70, anche dal punto di vista dei contenuti sfuggono al controllo della politica istituzionale. Percorrendo strade molto diverse, Berlusconi e Grillo appartengono a quella stagione.
Lo spettacolo funziona, e questo il pensiero critico lo capisce poco, prima di tutto come strumento di connessione sociale generale. Il fatto che lo spettacolo, secondo chi si attarda a usare schemi criptofrancofortesi, sia uno fenomeno inautentico in questo senso conta veramente poco. Qui siamo di fronte ad una accumulazione originaria di attenzione, di costruzione quindi di appartenenza collettiva e poi, se la si coltiva, di consenso che sfocia in politica. L’accumulazione di spettacolo di Berlusconi, impresario delle televisione generalista, è servita per coltivare quasi un ventennio di comunicazione politica dove il primato del messaggio lo si custodiva negli schermi tv. E’ quindi logico che Grillo che ha praticato il percorso successivo, sovrapponendo messaggio televisivo originario con i social network e la politica del territorio, si candidi a prendere il testimone della comunicazione politica lasciato da Silvio Berlusconi.
Quando Grillo dice “me” dobbiamo quindi intendere che parla ad una pluralità di soggetti culturalmente radicati in modo differente (quelli che comprendono il linguaggio della tv generalista, quelli che usano il linguaggio dei network e chi è sensibile alle strette tematiche del territorio) grazie proprio ad un “me” che si dà su più livelli (il linguaggio televisivo carismatico, quello dei social network e quello del comunitarismo di territorio).
In questo modo il fenomeno Grillo (intendendo assieme il comico, l’agenzia di comunicazione che lo sostiene e il movimento, compresi i conflitti tra queste articolazioni) è destinato a rivoluzionare radicalmente le forme della comunicazione politica, e della politica, di questo paese.
Non ha importanza se Grillo prenderà il potere o meno: come è accaduto con Berlusconi, e anche con la Lega, dopo la fase di rigetto negli schieramenti avversari avverrà una repentina, a volte grossolana, metabolizzazione delle sue tecniche di comunicazione, dei livelli di radicamento (digitale e terrestre) che esprime. Chi non saprà farlo sarà destinato all’estinzione politica.
In questa fase, che coinciderà con un importante passaggio elettorale nel 2013, i partiti tradizionali (che poi tradizionali non sono) sono quindi destinati a rincorrere con enorme difficoltà linguaggi, contenuti, forme di costruzione del consenso che non conoscono e non capiscono. Cosa infatti sta avvenendo?
Margaret Archer, che insegna all’Ecole Polytechnique di Losanna dopo una vita di insegnamento a Warwick, nel suo interessante The Reflexive Imperative in Late Modernity (2012) parla delle differenti forme di riflessività, fatta di formazione dell’io e di costruzione di ambiti relazionali, tra il prima e il dopo crisi finanziaria di Lehman Brothers.
La Archer parla esplicitamente di una riflessività dell’io e delle relazioni sociali che, prima di Lehmann, si struttura poggiando su forme morfostatiche della vita sociale e che invece successivamente si elabora attraverso forme morfogenetiche.
Nella politica italiana le forme morfostatiche sono legate alla stabilizzazione sociale creata centralità del messaggio televisivo, originatasi a partire dagli anni ’80, che procede per accumulazione di spettacolo. Le forme morfogenetiche, estremamente più fluide e dinamiche, sono invece legate alla continua capacità di comporre e scomporre senso e messaggio usando codici televisivi tradizionali assieme a quelli dei social network e del territorio. E su questo piano morfogenetico Grillo è oggettivamente in vantaggio su tutti. Non a caso intercetta sia le figure sociali della crisi, che rigettano le forme morfostatiche tradizionali della politiche, che quelle della creatività nella crisi tipicamente morfogenetiche.
Bisogna però essere chiari: con questo livello di organizzazione politica del fenomeno Grillo-5 stelle dire “o me o il fascismo” è velleitario. Costruire un messaggio egemonico, che disgrega i partiti tradizionali, è una cosa mentre un’altra è essere fattore di stabilizzazione del sistema politico. Viene da dire che un movimento di opinione, per quanto radicato sul territorio, non va da nessuna parte se non si stabilizza attorno a un robusto baricentro di sapere politico. Baricentro che richiede ricerca, investimenti (tutto il contrario di un movimento che, avendo mal compreso quanto costi la democrazia, fa del taglio dei “costi della politica” la propria bandiera) e bacini di sapere che siano l’elmento astratto (nel mondo di oggi, concretissimo) che sta tra la cultura popolare, il pragmatismo di governo, la logistica, la scienza critica delle amministrazioni e della comunicazione e la teoria sociale. Senza questa infrastruttura organizzativa la collisione tra un movimento di opinione e la complessità sociale e del politico è scontata. Questo senza soffermarsi alla potenzialità altamente centrifuga del riunire, sotto la bandiera del “nè di destra nè di sinistra”, ceti sociali che hanno interessi e comportamenti anche radicalmente divergenti tra loro.
E su questo, se ne può star certi visto il funzionamento interno del movimento Grillo-5 stelle, ad ogni crisi di complessità chi detiene la leadership comunicativa (che sta ancora nel linguaggio dell’accumulazione di spettacolo) procederà affermando il proprio potere verticale nell’M5S. Apparendo quindi qualcosa di autoritario proprio nel momento in cui fa professione di neutralizzazione del fascismo. “0 me o il fascismo”, a seconda di come si svolgeranno i conflitti sociali e politici dei prossimi tempi, rischia di somigliare quindi alla famosa frase del sindacalista della Uil di fronte a Mirafiori occupata del 1980. Sindacalista che, davanti ad una partecipazione così massiccia all’occupazione, disse: “i casi sono due o la Fiat molla o molla la Fiat”. Sappiamo come è andata a finire.
Ma, per come stanno le cose adesso, è probabile che il fenomeno Grillo entri in rotta di collisione con la complessità sociale dopo aver mutato il sistema istituzionale e anche la dimensione informale della politica. Adeguando il contesto italiano, nel bene e nel male, alle forme morfogenetiche del mondo dopo Lehman Brothers e contribuendo a generare nuove forme morfostatiche.
Per quanto riguarda invece i movimenti la domanda è la classica. Che fare con Grillo?
Innanzi tutto, senso delle proporzioni. Grillo ha risucchiato tutte le istanze promosse dai movimenti degli ultimi mesi (dal notav al nodebito, da occupy alla questione delle banche, per non parlare delle vertenze sui territori) metabolizzandole entro un frame generalista e entro lo schema “nè di destra nè di sinistra”. Dopo questa operazione, dal punto di vista del peso politico e comunicativo, è il fenomeno Grillo-5 stelle ad essere maggioritario e i movimenti di oggi ad essere minoritari. Una bella lezione per chi era, ed è, convinto di far politica masticando mantra del pensiero filosofico e muovendosi più o meno su schemi comportamentali e comunicativi di una dozzina di anni fa.
In questo scenario vale la regola “nè aderire nè sabotare”: aderire ad un movimento generalista, indifferente a una strutturazione di classe, e a guida carismatica porta all’assorbimento della carica radicale dei movimenti; sabotare, oltre ad essere improbabile da parte di movimenti che pretendono di cambiare il mondo ma non sanno come entrare in linea di conflitto con questi fenomeni di stratificazione della comunicazione politica, sembra perfettamente inutile. Perchè il lavoro di destrutturazione della politica tradizionale Grillo lo sta facendo bene.
Finchè questo lavoro di destrutturazione dura, e non entra in rotta di collisione con i movimenti, il risvolto non può che essere positivo.
Certo è che il fenomeno Grillo-5 stelle impone anche ai movimenti, e non solo alla politica istituzionale, un radicale cambiamento di paradigma. I movimenti sono attualmente o troppo legati, e quindi succubi, alle oscillazioni dell’opinione pubblica, o troppo “single issue”, da frammentarsi in modo da essere irriconoscibili come fattore di coesione sociale oppure troppo territorializzati, in preda ad un linguaggio da nuovo comunitarismo che, in quanto tale, è incapace di fare da spina dorsale di una società complessa. Eppure le modalità di sedimentazione del fenomeno Grillo, come abbiamo schematicamente delineato, impongono serie revisioni di modello ai movimenti. Revisioni frutto di analisi non di clonazioni.
In ogni caso, la sveglia delle mutazioni del modo di fare politica nella crisi è arrivata per tutti. Per chi la vuol sentire, naturalmente. Non c’è da dubitare che i sordi non mancheranno, che magari saranno maggioritari per un pò, ma fortunatamente questo paese è anche pieno di gente che ci sente bene.
per Senza Soste, nique la police
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