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È assai probabile che sarà la Corte costituzionale ad avere l’ultima parola sull’Ilva. Il decreto del governo potrà, infatti, essere portato dinanzi al giudice delle leggi affinché sia quest’ultima a verificarne la costituzionalità. Ai giudici della consulta si potrà chiedere, inoltre, se l’atto del governo abbia o meno rispettato la divisione tra i poteri. Si tratta di due questioni distinte.
Nel primo caso si potrà sollevare una questione di legittimità costituzionale per accertare se il bilanciamento operato dal governo tra le ragioni dell’impresa e del lavoro da un lato, e quelle della salute e della salvaguardia dell’ambiente dall’altro sia stato «ragionevole» ed abbia rispettato i limiti imposti dalla nostra costituzione.
Dovrà, in sostanza, la Corte accertare se la previsione di proseguire con la produzione al fine del risanamento non si rifletta in una violazione degli articoli 32 (diritto alla salute) o 41, secondo comma (ove si stabilisce che l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»).
Nel secondo caso, invece, si dovrà accertare se il governo con un suo atto che ha forza di legge possa assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento siderurgico e autorizzare il possesso dei beni dell’impresa della società Ilva spa., facendo così venir meno quanto disposto in senso contrario dalla procura tarantina. La Corte sarebbe dunque chiamata a risolvere un conflitto tra poteri dello stato.
Mi rendo conto che in una situazione drammatica com’è quella che si è venuta a creare tutto possa apparire fuori dall’ordinario, ma ragionando in punto di mero diritto ci sarebbe da stupirsi se non si seguissero le vie che il nostro ordinamento definisce per assicurare che ogni potere e ciascun atto del nostro ordinamento siano conformi al dettato costituzionale. Che vi siano in questo caso i presupposti per sollevare in via incidentale (nel corso di un processo) la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere evidente. Non penso neppure che il giudice possa ritenere manifestamente infondata un’eventuale richiesta proposta in tal senso dalla procura.
In ogni caso rientra pienamente tra i poteri delle parti (in questa caso della procura) chiedere al giudice di sollevare la questione dinanzi alla Corte: perché in questo caso non dovrebbe? Anche il conflitto tra poteri dello stato è uno strumento molto spesso utilizzato dai giudici – potere diffuso – per tutelare le proprie competenze giurisdizionali. Ora, chiedersi se il decreto avente forza di legge sia stato emanato senza violare le ragioni della giurisdizione mi sembra quantomeno legittimo. La giurisprudenza costituzionale ha affrontato casi simili, ma non identici (dando ragione ai giudici nei casi di atti normativi d’interpretazione autentica, posti in essere al solo fine di violare le prerogative della giurisdizione).
Di fronte dunque ad una questione incerta il buon senso dovrebbe indurre a chiedere una soluzione esplicita al giudice preposto dal nostro ordinamento alla soluzione di tali conflitti. In fondo dovrebbe essere interesse di tutti – anche del Governo – garantire la legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge e il rispetto delle competenze costituzionalmente definite. Anche e soprattutto quando si interviene su questioni non solo politicamente controverse, ma anche costituzionalmente discutibili.
Dovrebbe infatti essere evidente a chiunque che il caso di Taranto coinvolge pienamente il piano costituzionale. La tutela del lavoro, i limiti all’iniziativa economica privata, la salvaguardia dell’ambiente, il diritto alla salute si pongono al centro del sistema di valori che il nostro testo costituzionale ha voluto affermare.
La vicenda dello stabilimento siderurgico pugliese ha mostrato quanto difficile sia contemperare tra loro questi principi. Il nostro ordinamento costituzionale dice che spetta al legislatore, in prima battuta, adottare norme idonee a definire il rapporto tra i diritti, compete poi, in seconda battuta, ai giudici applicare e interpretare l’equilibrio stabilito in sede legislativa, alla fine, tocca però alla Corte costituzionale l’ultima parola. È essa a stabilire se il governo, operando nell’ambito dei poteri attribuiti, ha operato un bilanciamento «ragionevole» e dunque costituzionalmente compatibile.
Questo compito la Corte svolge in via ordinaria, sarebbe opportuno che si esprimesse anche in questa vicenda drammatica. Per garantire la superiore legalità costituzionale anche nel caso Ilva.
da “il manifesto”
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