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L’emergenza abitativa a Torino tra svendita del pubblico e residenze private per studenti

Nonostante nella sola Torino le prime stime parlino di circa 40.000 studenti fuori sede che il prossimo anno non riusciranno a tornare in città (praticamente quasi tutti, visto che sono poco più di 41.000 i totali fuori sede), perché impossibilitati a pagare affitto ed utenze a causa della crisi sociale ed economica, né il governo né la regione Piemonte hanno messo in campo misure strutturali per tutelare il diritto allo studio e far fronte a un’emergenza abitativa che già prima della pandemia era fortissima.

Nessuna abolizione è stata fatta delle tasse universitarie o dei criteri di merito per l’accesso alle borse di studio, a causa dei quali moltissimi studenti non hanno ricevuto l’erogazione della seconda parte; nessun fondo per il blocco degli affitti e delle utenze per i fuori sede; nessun piano strutturale di edilizia pubblica per garantire a noi studenti di tornare a settembre a far lezione in presenza ampliando gli spazi delle aule e costruendo nuove residenze universitarie pubbliche.

Anzi, Confindustria – con anche la compiacenza del rettore di UniTo Geuna e di quello del PoliTo Saracco, del presidente della regione Piemonte e dell’Edisu, come di quelle organizzazioni studentesche che hanno cantato vittoria per le briciole che ci hanno fatto cadere dal tavolo – hanno continuato con le vere priorità della loro agenda politica, cercando di sfruttare il più possibile questa crisi come opportunità per i loro profitti e scaricandone il peso soprattutto sulle fasce giovanili.

Gli ingenti finanziamenti buttati nella didattica a distanza vanno infatti a continuare quei processi decennali di aziendalizzazione degli atenei, e di privatizzazione della ricerca e dei servizi studenteschi annessi, che negli ultimi trent’anni hanno prodotto una polarizzazione tra atenei di serie A e di serie B, e a rendere l’istruzione universitaria un servizio di un’azienda, sempre meno accessibile a grandi fasce di studenti.

Processi portati avanti con una precisa volontà politica che si riconferma anche nel piano per l’università dell’ex CEO Vodafone Colao.1 Questo virus ha evidenziato ed inasprito contraddizioni presenti già da tempo in quella che ci hanno abituati a chiamare “normalità”, e che è invece il vero problema.

Con più di 32.610 sfratti dal 2008 ad oggi, infatti, il problema del caro affitti e dell’insufficienza di strutture pubbliche a Torino non nasce con questa pandemia ma è strutturale, e colpisce anche gli studenti: la sproporzione tra il numero di posti letto di Edisu, l’ente regionale per il diritto allo studio universitario (quello che in piena pandemia ha sfrattato 80 neolaureati ex borsisti), e l’offerta di posti nelle residenze private già attive e in costruzione, che è più del doppio, lo dimostra ampiamente.

In tutto il Piemonte Edisu ha appena 2.124 posti letto attribuibili attraverso i bandi per il servizio abitativo e solo 1.943 sono disponibili a Torino e provincia. Posti che caleranno ancora il prossimo anno, se si dovranno seguire le normative sanitarie di una sola persona anche in stanze doppie o triple, e che in ogni caso non sono in grado di soddisfare le nostre necessità dal momento che ogni anno viene esclusa una percentuale sempre maggiore di beneficiari di posto letto, seppur idonei.

Nel 2016/17 su 4.896 idonei alla borsa fuori sede in tutto il Piemonte, solo 2.056 hanno beneficiato di posto letto (42%), mentre nel 2017/18, su 5.176 studenti idonei fuori sede, solo 2.109 (41%). Percentuali che crollerebbero drasticamente al 4,7% se si rapportasse l’offerta di posti letto Edisu a Torino e provincia, al numero totale di studenti fuori sede iscritti negli atenei di quest’anno.

Già lo strumento ISEE e i criteri meritocratici che permettono di partecipare al bando di accesso alle borse di studio Edisu dimostrano di escludere ogni anno un numero sempre maggiore di potenziali beneficiari. Infatti non solo la soglia ISEE di 23.000euro è troppo bassa, ma lo strumento stesso è incapace di dare davvero una fotografia oggettiva della situazione economica dei richiedenti.

Mentre i criteri meritocratici rispecchiano il classismo presente all’interno della società, perché vanno a penalizzare tutti quegli studenti-lavoratori che per necessità materiali hanno meno tempo da dedicare al conseguimento dei crediti necessari.

Se da un lato l’assenza di residenze universitarie pubbliche, unito all’aumento del costo degli affitti per studenti (a Torino tra il 2018 e il 2019 l’affitto di una singola è aumentato del 25%) e delle tasse universitarie produce una tendenza all’elitarizzazione delle università, dall’altro lato favorisce addirittura un passaggio di soldi pubblici – derivanti dalle borse di studio per il servizio abitativo – nelle tasche di palazzinari e proprietari privati.

Infatti, gli studenti idonei a ricevere un posto letto ma che non possono beneficiarne per limiti oggettivi di disponibilità, possono scegliere tra l’inserimento nella graduatoria unica di scorrimento (per cui però non vi è garanzia che si liberi un posto letto durante l’anno accademico) o presentare la dichiarazione di onerosità del domicilio, che gli permette di monetizzare l’importo relativo al servizio abitativo (2.500 euro) e di usarlo per coprire almeno una parte delle spese d’affitto.

Eppure, nonostante l’emergenza abitativa sia così forte, le rappresentanze studentesche, dopo che non hanno fatto nulla per garantire i nostri interessi, se ne escono ora deresponsabilizzando il governo e incentivando come soluzione quelle stesse politiche di autonomia regionale e d’ateneo che sono state portate avanti da decenni tanto dalla destra che dal centro sinistra, e che sono la causa dei nostri problemi.

Infatti il governo continua a dimostrare di non avere alcuna volontà politica di fare investimenti statali nell’edilizia pubblica e, in assenza di questi, i Comuni e le Regioni – per attrarre investitori privati, che altrimenti mai avrebbero investito in città – avviano commistioni pubblico-privato. Dove il privato ha tutto da guadagnare dalla svendita di spazi e strutture pubbliche, mentre il pubblico, piegato al servilismo più becero di questi speculatori straccioni, ha tutto da perdere (i casi dell’Ex-Moi, o della Cavallerizza Reale, spezzettata e deprezzata, sono emblematici).

L’ultimo annuncio è quello della società Camplus (arteria della Fondazione Centro Europeo Università e Ricerca, che con le sue stanze da 13.000euro l’anno è accreditata come rete di collegi d’eccellenza dal MIUR) che aprirà a settembre la sua dodicesima residenza nella Palazzina A. Moro, di proprietà di UniTo.

Ma anche le modalità di costruzione delle residenze Mollino e Codegone, vicine al Politecnico, riconfermano una vera e propria tendenza del pubblico a svendersi in favore del privato: costruite tramite project-financing, come per la Palazzina Moro, queste residenze sono infatti finanziate dal MIUR e da PoliTo (la Mollino al 100%, mentre la Codegone solo al 50%), che ne detengono la proprietà ma ne gestiscono assieme all’Edisu solo il 60%, mentre il restante è in mano per 24 anni alla Camplus, che può amministrare quei posti letto come meglio crede.

Guardando ai quartieri e agli spazi in cui maggiormente si concentrano i cantieri di residenze private che negli ultimi anni si sono moltiplicati a Torino, trova conferma anche un’altra tendenza: la maggior parte degli studentati sorgerà infatti sulle rovine di quegli ex stabilimenti industriali che hanno chiuso o delocalizzato a causa della funzione che l’Italia ha assunto all’interno della nuova divisione internazionale del lavoro all’interno dell’Unione Europa.

Da un lato, il processo iniziato negli anni ‘90 di deindustrializzazione forzata di Torino – ma che riguarda tutto il Paese – ha relegato il Piemonte a diventare satellite della Lombardia e a ricoprire una posizione semiperiferica rispetto alle regioni italiane con produzioni ad alto valore aggiunto che sono direttamente agganciate ai centri economici dell’UE; mentre dall’altro ha obbligato la classe dominante a riconvertire l’ex capitale dell’industria italiana verso il settore terziario, cercando nuove aree per l’attrazione e valorizzazione di capitali soprattutto privati.2

Tutte queste residenze private assumono allora la funzione di “studentificare”, cioè, sfruttando l’attrattività degli atenei verso studenti fuori sede, gentrificare e mettere a valore nuovi spazi attraverso e a spese degli studenti, nel tentativo di riconvertire Torino a città universitaria, per portarla a competere con le altre metropoli.

Non è un caso quindi che questi studentati si concentrino principalmente in quei quartieri popolari come Aurora e Barriera di Milano, dove si registra il numero più alto di sfratti e che, per la vicinanza alle sedi universitarie, fanno gola a molti imprenditori,3 causando negli ultimi anni un aumento delle speculazioni immobiliari e la stretta di operazioni repressive, sgomberi e militarizzazioni.

Questa dinamica – che da un lato vede forti investimenti nel settore delle residenze private per studenti facoltosi e dall’altro buona parte dei fondi statali si utilizzano per l’organizzazione della didattica a distanza, in un contesto nel quale nessuno ha intenzione di ampliare gli spazi delle università affinché possano essere frequentati da tutti nel rispetto delle misure anti-Covid – sembrerebbe essere in contraddizione.

Difatti, i palazzinari e gli speculatori che investono nelle residenze avrebbero tutto l’interesse a spingere verso lezioni in presenza, le quali obbligherebbero gli studenti fuori sede a spostarsi e a cercare una stanza in città, mentre le grandi aziende del mondo del digitale tendenzialmente lavorerebbero lungo una direzione che si oppone alle lezioni in presenza, così da giustificare l’utilizzo delle piattaforme da loro sviluppate.

Sappiamo, inoltre, quanto gli atenei siano più sensibili alle esigenze delle aziende che alle necessità degli studenti ma non possiamo prevedere oggi come si risolverà questa apparente contraddizione, siamo certi però che se i rapporti di forza restano quelli che sono si troverà una sintesi che questa andrà ad approfondire le disuguaglianze di classe all’interno del mondo della formazione.

Uno scenario in cui chi potrà permetterselo riceverà una formazione adeguata, magari in presenza in aule ampie e igienizzate e alla sera potrà poi accomodarsi nel suo letto di lusso in centro città, mentre tutti gli altri continueranno ad avere problemi con l’affitto di quella stanza in cui oltre a dormirci dovranno anche seguire le lezioni a distanza, non è per nulla fantascientifico.

È per questa ragione che una forza come la nostra che sta coerentemente dalla parte degli studenti più svantaggiati non può che inserirsi in questa dinamica per rivolgersi direttamente a quei settori sociali che, in virtù dell’elitarizzazione dell’università, sono sempre di più espulsi dai gradi più alti dell’istruzione.

L’unica soluzione che abbiamo per cambiare la rotta ed invertire le priorità è quella di organizzarsi!

Vogliamo:

– che Stato e Regione finanzino un piano di investimenti pubblici strutturale che garantisca a noi studenti di poter riprendere gli studi in sicurezza e che riguardi tutto: dalle residenze alle mense, dalle aule studio alle biblioteche.

– che gli spazi di proprietà pubblica come quelli della Palazzina Moro siano espropriati ai privati e riconvertiti in luoghi accessibili realmente alla maggior parte degli studenti.

– che siano aboliti definitivamente i criteri di merito per accedere alle borse di studio e alle residenze universitarie: il diritto allo studio non è un privilegio.

– che si istituiscano canoni calmierati per gli affitti che non strangolino gli studenti e le loro famiglie.

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