Il coro stucchevole di una informazione tutta embedded sul carro di Draghi, accompagna il ridicolo teatrino di una classe politica che sgomita per salire su quel carro, o che comunque rispettosamente si inchina al suo passaggio.
Il grande Massimo Troisi diceva: ma se il problema erano i treni in orario non era meglio un bravo ferroviere che un dittatore?
Se il problema è prima di tutto la pandemia – E LO È – non era meglio un grande medico che un grande banchiere?
Se Zingaretti davvero volesse non governare con la Lega gli basterebbe porre una pregiudiziale su migranti, tasse, sanità lombarda, antifascismo. Invece il segretario del PD vuole fermamente un governo euro-atlantico, cosa su cui Salvini oggi è totalmente d’accordo.
Se Grillo volesse davvero il programma che ha annunciato sui post, a partire da quella tassa sui grandi ricchi – che Conte e il M5S in Parlamento hanno già bocciato – andrebbe da Draghi a dire “no, grazie”. E vedremo con quale determinazione si esprimeranno i mal di pancia di LeU, che ha già detto sì a Draghi, nel governare con Berlusconi e Salvini.
A loro volta Bagnai e gli ex sovranisti della Lega sono folgorati sulla via di Draghi, come il predicatore televisivo di fronte al padrone multinazionale nel profetico film Quinto Potere.
E l’unico “no” (per ora) a Draghi in Parlamento, quello di Meloni, parla coi toni di un “sì”.
La verità è che, a forza di cercare un capo che comandi e di esaltare gli affari gli imprenditori ed il mercato, la democrazia malata italiana e la sua classe politica indecente si inchinano al padrone che tutto riassume: il capo dei banchieri.
E non si illudano i vari leaderini che, una volta installato al potere, Draghi distribuisca un poco di miliardi e poi ritorni nell’ombra. Andando al governo oggi l’uomo dal profilo più alto d’Italia potrà guidare il paese un anno come Presidente del Consiglio e poi altri sette come Presidente della Repubblica.
Esattamente otto anni, come l’incarico di capo della BCE. Con la differenza che il mandato della Banca Europea non è rinnovabile, quello della Repubblica sì.
Non siamo di fronte ad una crisi di governo, ma ad una crisi di sistema, che le classi dirigenti italiane, come sempre nella nostra storia, affrontano affidandosi ad un padrone. In modo che cambi tutto affinché non cambi davvero nulla. Tutti i governi sono politici e quelli tecnici fanno la politica migliore per i ricchi, i banchieri, i padroni.
Non partecipare ai battimani, non accodarsi al corteo fantozziano dei partiti che oggi si prostrano al direttore, sperando di poter continuare domani far finta di essere alternativi, dire NO a Draghi è oggi prima di tutto un atto di vitalità democratica.
Poi bisognerà finalmente costruire un’alternativa ai governi e al potere di Confindustria, banche, multinazionali. Ci vediamo in piazza.
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