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La guerra della verità

Gli utenti non sono i poveri imbecilli descritti da chi nella stampa scritta o parlata si ritiene maestro di pensiero, castigatore non criticabile, geneticamente veritiero.

La diffamazione dei social si è fatta così enorme, a cominciare dai tempi del Covid, che prima o poi doveva venire qualcuno e chiedere: ma chi controlla i controllori?

Che bisogno c’è di una Congregazione del Sant’Uffizio che concede imprimatur preventivi e davanti a cui occorre inginocchiarsi, con la scusa che gli utenti cadrebbero così facilmente in tentazione?

Gli utenti sono appaiati agli elettori: se non votano come vogliamo noi, devono avere un baco nel cervello.

La battaglia dei verificatori contro la disinformazione ha i suoi siti internet, e i suoi sponsor e finanziatori. Bbc Verify, a esempio, ha rapporti stretti con l’Istituto di Studi Strategici della Nato e non solo verifica ma fa propaganda e censura.

Chiunque critichi la politica occidentale sulla guerra in Ucraina o sullo sterminio perpetrato da Israele a Gaza diventa bersaglio delle campagne contro la disinformazione.

I verificatori sono numerosi ovunque.

Una delle principali collaborazioni italiane di Meta è stato per anni Open, il sito di fact checking fondato da Enrico Mentana nel 2018.

È stato anche il più controverso, nella guerra di Ucraina.

È noto per aver più volte diramato false notizie diffuse dai fedeli di Zelenskij e per aver demonizzato Putin, ignorando le preoccupazioni del Cremlino fin dai primi allargamenti a Est della Nato.

Le Congregazioni di fact checking scoprono certo notizie false, ma ne producono anche in proprio, come quando accusano giornalisti indipendenti, professori universitari e intellettuali di essere di volta in volta filo-putiniani o antisemiti.

Oggi la situazione è diversa e peggiore.

I grandi giornali e le principali reti Tv non hanno più soldi per pagare inviati di guerra come ai tempi del Vietnam.

A ciò si aggiunga, non meno grave, l’impossibilità di raccogliere notizie su tutti gli Stati combattenti.

Difficile sapere quel che si pensa e si dice in Russia sul conflitto in Ucraina e a Kursk, dopo l’oscuramento in Europa delle Tv russe.

Impossibile scrivere reportage su Gaza perché l’ingresso dei giornalisti nella Striscia è proibito da Israele, che anche in questo caso viola il diritto internazionale.

Ogni servizio Tv su Gaza e Cisgiordania dovrebbe ricordare il divieto, e ringraziare i giornalisti palestinesi e Al Jazeera per i loro reportage e per i pericoli mortali che corrono (più di 220 uccisi a Gaza).

Se si vogliono notizie è solo ai social che ci si può rivolgere: in particolare a Telegram, per quanto riguarda sia l’Ucraina sia Gaza e Cisgiordania.

E anche quando i media tradizionali hanno notizie più approfondite, meno rozze, c’è un muro che ostacola l’accesso online, un paywall: è il prezzo proibitivo dell’abbonamento annuale.

A questo punto si capisce come mai i media tradizionali siano i primi a esercitare pressioni perché resti in piedi, almeno in Europa e in Italia, il fact checking che Elon Musk e Mark Zuckerberg hanno abolito (tranne per specifici reati).

Ne va della sopravvivenza dell’establishment giornalistico, e del suo bisogno di proteggersi dalla marea spesso indistinta, ma gratuita, dei social.

* da IlFattoQuotidiano

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