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Cina: class action contro aziende giapponesi per lavoro forzato

Cittadini e legali cinesi hanno intentato una causa contro aziende giapponesi che nel corso del Secondo conflitto mondiale hanno utilizzato prigionieri di guerra come forza-lavoro nelle aree cinesi occupate o altrove.

I 37 firmatari dell’iniziativa chiedono ciascuno un indennizzo di un milione di yuan, poco meno di 120.000 euro, da Mitsubishi Materials Corp. e Nippon Coke & Engineering Co. (ex Mitsui Mining Co.),come pure le scuse per essi e per le loro famiglie.

Toccherà al Tribunale intermedio numero 1 di Pechino decidere se prendere in considerazione le richieste e avviare il procedimento legale, che non a caso viene presentato in questo periodo in cui è alta la tensione sulla disputa territoriale che riguarda isole contese tra i due paesi e mentre Pechino sta considerando di indire giornate di ricordo per commemorare la sconfitta del Giappone e il massacro di Nanchino.

Il Congresso nazionale del Popolo potrebbe dichiarare il 3 settembre “Giornata della vittoria della guerra di resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese” e il 13 dicembre “Giornata nazionale per ricordare le vittime dell’aggressione giapponese nel massacro di Nanchino negli anni Trenta”.

Queste possibilità saranno discusse dal comitato permanente del Congresso che si concluderà domani, che potrebbe approvarle oppure delegarne l’approvazione all’assemblea plenaria di marzo.

L’invasione giapponese, l’annessione della Manciuria e la sconfitta delle truppe cinesi in altri episodi del conflitto combattuto tra il 1937 e il 1945, parte del più vasto scenario asiatico della Seconda guerra mondiale, restano profondamente radicate nella coscienza cinese. In particolare a inasprire i rapporti con Tokyo è il massacro di civili conosciuto come “stupro di Nanchino” che costò la vita tra violenze terribili a forse 300.000 abitanti dell’allora capitale della repubblica cinese. La disputa resta aperta sulle circostanze e ragioni dell’evento e sul numero delle vittime, ma per Pechino la negazione stessa del massacro nella storiografia ufficiale nipponica rappresenta un affronto, come pure il negazionismo rispetto alle cosiddette “donne di conforto” al servizio sessuale delle truppe giapponesi, o il numero enorme di cinesi (fino a 15 milioni) e di coreani utilizzati per garantire il funzionamento delle aziende nipponiche durante il conflitto.

Fonte: Misna

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