Il paradosso è: la Fiat non ha voluto una trattativa nazionale, ma dovunque si presenta esattamente con le stesse richieste. E lo stesso ricatto: «o fate quello che dico, o non faccio l’investimento».
Ora tocca alla Bertone, storica «carrozzeria» di Grugliasco che – come tante altre nel mondo e Pininfarina in Italia – è entrata in crisi all’inizio del nuovo millennio. La fabbrica è praticamente ferma da otto anni; i lavoratori hanno lottato per tenerla aperta, accettando sacrifici (lavorare in altri stabilimenti, anche della Fiat, lontani dal luogo di residenza). Tra i responsabili della sua crisi c’è anche il Lingotto, che –ben prima dell’arrivo di Marchionne – aveva promesso delle commesse (di fatto, l’Alfa Romeo 159, poi finita a Pomigliano).
Quando fu promulgata la legge «Prodi bis», tra gli interessati all’acquisto si fece avanti anche la Fiat. Che ottenne – 18 mesi fa – condizioni di assoluto vantaggio. Centomila metri quadri coperti e «la migliore verniciatura l’Europa» (parole di Marchionne all’epoca) per appena 13 milioni di euro. Solo il valore immobiliare, oggi, è di 51 milioni; un bel guadagno, non c’è che dire.
Il prezzo «alquanto favorevole» aveva una logica: la Fiat si faceva carico di un problema (1.200 dipendenti, oggi scesi a 1.091) e si prendeva un «giacimento» di competenze professionali di prima categoria. fare macchine di lusso, sportive, ecc, è completamente diverso dal fare macchine «di serie». Diverso il lavoro, le mansioni, la tempistica (operazioni che durano da 4,5 minuti fino a 30, invece del minuto del ciclo Panda o Punto); al punto che servono addirittura meno «pause» (20 minuti in Bertone, contro i 40 che c’erano a Mirafiori).
Qui dovevano essere montate – l’accordo era stato raggiunto – le Jeep Gran Cherokee e la Chrysler 300, poi da Torino hanno di nuovo cambiato idea: costruiremo una Maserati classe E (una lussuosa relativamente «piccola»). Qui la newco era già stata fatta (Officina Automobilistica Grugliasco) e da 18 mesi si attendeva di ricominciare a produrre. Restava solo da decidere come. In una fabbrica così diversa, e dove la Fiom ha il 65% di iscritti e consensi, si pensava che la Fiat avrebbe avanzato un’idea diversa di organizzazione del lavoro. Invece niente: modello Pomigliano e Mirafiori, clausola di «esigibilità» compresa. Anche se in una fabbrica dove non si produce da otto anni nessuno può parlare seriamente di «assenteismo».
E dire che a Grugliasco le Rsu si erano riunite, avevano preparato una proposta, l’avevano fatta votare in assemblea per avere «un mandato pieno» a trattare. Niente. La Fiat , dice Giorgio Airaudo, segretario nazionale con delega per l’auto, sembra vittima di «un meccanismo ideologico, con una rigidità che fa a pugni con la flessibilità che viene richiesta».
La trattativa ora è ferma. Il Lingotto ha incassato il «sì» scontato di Cisl e Uil, che però qui non contano nulla.
La Fiom «sente» che nella controparte, però, ora c’è un clima differente. Le «batoste mediatiche» che l’hanno messa all’angolo sono state serie. E le vendite – crollate rispetto a un anno fa – hanno incrinato non poco il carisma di Marchionne «salvatore della patria». Perciò i metalmeccanici insistono: questa settimana si riunisce di nuovo la Rsu, la prossima si fanno le assemblee. E poi si torna a trattare. Testardamente.
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